di Patrick Urru
Il Legal Forum di Bratislava è arrivato quest’anno alla sua sesta edizione. Come ogni anno, la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Comenius ha ospitato la conferenza accademica internazionale dedicata alla teoria e alla pratica giuridica.
L’edizione 2020 è stata organizzata grazie al sostegno della Slovak Bar Association, organizzazione indipendente slovacca che riunisce migliaia di professionisti del settore forense.
L’obiettivo del convegno è quello di riunire la comunità scientifica per favorire la discussione e il confronto tra i ricercatori. Il simposio è stato diviso in due parti: una sessione plenaria, dedicata ad un tema specifico – quest’anno il ruolo dell’avvocato come “Difensore della Legge” – e molte sessioni parallele, in cui l’aspetto giuridico è stato affrontato da diversi punti di vista. Un incontro che non coinvolge solo avvocati, ma anche dottorandi, assegnisti e professori che, a vario titolo, si trovano ad affrontare una problematica giuridica all’interno del proprio campo di studi.
Le diciotto sessioni parallele sono state suddivise in due giornate, giovedì 6 e venerdì 7 febbraio, un programma molto denso in cui sono state considerate differenti questioni; cito solo alcune delle molte che hanno trovato spazio nelle due giornate: il lavoro, le questioni di genere, l’economia, il sistema partitico, la pubblica amministrazione, gli sviluppi tecnologici e l’ambiente.
Anche quest’anno, complice la presenza nel comitato scientifico del convegno del professor Antonio Merlino, professore alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Salisburgo, è stato ospitato un gruppo “internazionale” all’interno di alcuni panel dedicati esclusivamente alle questioni giuridiche riguardanti il contesto slovacco. Una modalità pensata per favorire i contatti con altri paesi, soprattutto Austria e Italia, ma anche Francia e Polonia. Le due sessioni che hanno ospitato le relazioni delle colleghe dell’Università di Trento, Salisburgo, Federico II di Napoli, Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne e la mia sono state: la 5, Development of Private Law Terminology in Slovakia e la 6, From Parliamentary Factions to the National Party. Models of Citizens’ Representations in Historical Development in Slovakia.
L’alto numero di sessioni in contemporanea, forse unico aspetto negativo della conferenza, mi ha permesso di seguire soltanto due incontri, oltre a quello in cui ho presentato la relazione. Nella prima, la 6, ho trovato molto interessante il tema trattato dalla ricercatrice dell’Università Federico II di Napoli, Virgilia Fogliame: la rappresentanza politica femminile in Italia e gli effetti delle recenti riforme sulle elezioni, da quelle comunali a quelle europee. Nella seconda, la numero 13, dedicata all’impatto dei cambiamenti climatici sugli ordinamenti europei e nazionali, ha suscitato un acceso dibattito la relazione della professoressa Anna Maria Rizzo dell’Università di Katowice. Si è discusso, infatti, dei presunti aspetti positivi degli OGM, che possono aiutare gli agricoltori ad affrontare gli effetti negativi del riscaldamento globale, e della necessità di cambiare gli attuali regolamenti per favorire la ricerca scientifica in questo campo.
La mia relazione, dal titolo “Archiving oral history: legal and ethical issues”, è stata ospitata nella sessione 5. Ho deciso di concentrarmi sulla questione dell’accesso ai documenti che contengono dati personali, e sulla difficoltà di trovare un equilibrio tra la necessità di non tradire la fiducia degli intervistati e la fruizione delle fonti orali all’interno di istituzioni pubbliche, come biblioteche e archivi. In sintesi, la difficoltà di operare una mediazione tra ricerca storica e privacy.
Prendendo spunto dal lavoro di Paola Carucci che negli anni ha dedicato molte pubblicazioni al tema, ho ripercorso brevemente l’evoluzione della terminologia usata nelle leggi archivistiche italiane, nei paragrafi dedicati alla consultazione e diffusione dei documenti che contengono dati personali e sensibili. Nello specifico, ho preso in considerazione i regolamenti del 1875, 1911 e 1963 in cui il cambio di terminologia è più evidente. Ho accennato al dibattito che ha animato giuristi, storici e archivisti negli anni Novanta, quando, pochi anni dopo l’emanazione della legge sul procedimento amministrativo (1990), è stato introdotto il regolamento sulla protezione dei dati personali (1996) che ha portato all’estremo il concetto di privacy, prevedendo la possibilità di distruggere i dati al termine del trattamento; come sappiamo, fortunatamente, nel 1999 viene introdotta la conservazione per scopi storici. Ho poi preso in considerazione i successivi regolamenti in materia di protezione dei dati personali e soprattutto il momento della pubblicazione del “Codice di deontologia e di buona condotta per i trattamenti di dati personali per scopi storici” con il riferimento esplicito alle fonti orali, caso più unico che raro nel panorama legislativo europeo e non solo. Successivamente, ho posto l’accento sull’importanza del lavoro svolto dall’AISO con la redazione del documento “Buone pratiche”, indicazioni fondamentali per i ricercatori e per gli istituti deputati alla conservazione di questo materiale tanto prezioso quanto delicato. In conclusione, ho esposto le problematiche legate al mio progetto di dottorato, con un riferimento particolare alla presenza di una liberatoria, a mio avviso troppo generica e semplificata, e alle soluzioni che la biblioteca può adottare per preservare al meglio l’intervistato senza impedire l’accesso alle fonti.
La biblioteca provinciale italiana “Claudia Augusta” di Bolzano custodisce una piccola raccolta di videointerviste (154) realizzate a partire dal 2004. Il mio progetto di dottorato si concentra sul primo nucleo di interviste, 148, che sono il risultato di un progetto triennale, 2004-2007, portato avanti dall’insegnante di storia Giorgio Delle Donne, per conto della Provincia Autonoma di Bolzano. Sul sito della biblioteca è disponibile un testo che illustra le motivazioni e le caratteristiche del progetto. Lo storico bolzanino ha voluto raccogliere le storie delle persone che sono arrivate in Alto Adige, soprattutto a partire dagli anni Trenta del Novecento, ma anche chi, in quegli anni, è nato in Provincia di Bolzano. Attraverso queste interviste, Giorgio Delle Donne ha tentato di capire che tipo di rapporto intercorre tra il gruppo linguistico italiano e quello tedesco e quale relazione esista tra queste comunità e il territorio in cui vivono. In estrema sintesi, cosa significhi vivere come minoranza, in un territorio che fa parte di uno Stato in cui si è maggioranza. Una questione affrontata da un punto di vista politico, culturale, linguistico e all’interno di vari contesti: sindacato, scuola, amministrazione pubblica, etc. Il mio lavoro, nei prossimi tre anni, sarà quello di analizzare a fondo questa raccolta di storie; mi occuperò quindi della realizzazione delle trascrizioni, dell’indicizzazione, della schedatura, e di tutte le questioni etiche e giuridiche legate all’accesso a questa tipologia di fonti da parte del pubblico. L’obiettivo è quello di proporre e adottare un insieme di principi metodologici per permettere alla biblioteca di proseguire il lavoro di raccolta in modo più sistematico.
La partecipazione al Forum di Bratislava, quindi, è stata sicuramente un’esperienza molto stimolante, un’importante occasione di confronto e scambio culturale. Sono rimasto piacevolmente sorpreso dal grande interesse per le tematiche che ho presentato al convegno, testimoniato dalle domande che sono seguite al mio intervento. C’è curiosità, infatti, intorno alla gestione delle fonti orali all’interno delle istituzioni culturali che hanno il compito di conservare questo materiale, ma soprattutto intorno alle responsabilità del ricercatore che decide di utilizzare questa documentazione. È ancora forte, inoltre, l’interesse per gli effetti del regolamento europeo, GDPR, sul trattamento dei dati personali e quindi anche sull’utilizzo delle fonti orali.