Report di Stefano Bartolini
Dal 17 al 19 maggio si è tenuta nel capoluogo partenopeo la prima scuola AISO del 2019, in collaborazione con il Dipartimento di scienze sociali dell’Università di Napoli Federico II, ancora una volta all’insegna della sperimentazione e della ricerca dei nessi tra la storia, la memoria e il “luogo”. Al centro della lente di ingrandimento dei partecipanti il Rione Sanità, quartiere storico e rappresentativo del concetto stesso di città come risultante della stratificazione di lungo periodo, dello spazio urbano come “tempo consolidato”, con i propri abitanti che ne formano la “comunità mnemonica”.
La geosplorazione del quartiere, come già avvenuto alla scuola AISO del 2018 nella Valle del Dragone a Montefiorino in Emilia-Romagna, è stata non a caso un elemento caratterizzante della tre giorni. Dai “Bassi”, oggi come ieri spazi carichi di vita e di lavoro, ai pozzi dell’acqua scavati nel tufo alla Basilica di Santa Maria dove vive padre Alex Zanotelli alle tante attività artigiane fino ai luoghi delle “Quattro giornate”, quelli disseminati di targhe alla memoria e quelli ripresi nel famoso film di Nanni Loy, abbiamo incrociato chi vive e lavora alla Sanità. Un esperienza arricchita dagli incontri svolti “in classe” con l’aiuto dell’associazione Napoli inVita, che ci ha fatto conoscere artigiani, operatori sociali, operai e operaie, educatrici, il documentarista Antonio Caiafa – che ha raccontato il lavoro delle guantaie – e l’esperto di storia del Rione, profondo conoscitore dei luoghi e delle persone, Francesco Ruotolo.
Le tecniche della video intervista sono state approfondite insieme a Alessandro Freschi, con il quale abbiamo parlato di accorgimenti e strumentazione tecnica, misurando le analogie e le differenze fra le pratiche dello storico orale e le professionalità di chi lavora come videomaker. Il tutto sotto la sapiente guida di Gabriella Gribaudi, storica, e Anna Maria Zaccaria, sociologa, che hanno introdotto ai temi della storia e della memoria urbana e gestito le interviste.
Sono emerse anche criticità di tipo organizzativo, che ci sollecitano a migliorare e a standardizzare alcuni aspetti della nostra offerta formativa, soprattutto se si tiene conto della numerosa partecipazione giovanile, attratta dalla storia orale e sociale e desiderosa di apprendere le tecniche dell’intervista. Le differenze fra i partecipanti, per provenienza di studi e per conoscenze pregresse sui luoghi e la loro storia, ci invitano d’altra parte a migliorare la parte introduttiva di taglio storico tradizionale, al fine di fornire le informazioni più complete sul contesto che ci si appresta a indagare, ed a costruire momenti di formazione efficaci e ristretti nella pratica dell’intervista.
L’immagine del quartiere che ci siamo trovati in mano alla fine – e che abbiamo discusso in un’utile assemblea plenaria che ci ha permesso di fare il punto su quanto emerso – era venata di nostalgia e di forti elementi di orgoglio, dei diversi mestieri e per la stessa comunità rionale, per lo più dipinta in forme non conflittuali. Certo ci si soffermava su episodi critici soprattutto in relazione ai giovani, verso i quali traspariva la preoccupazione per il futuro, ma nel complesso i testimoni che abbiamo incontrato hanno teso a restituirci l’immagine di una comunità coesa e pacifica, quasi di “paese”. Si è parlato dei tragici guasti provocati dalla droga, soprattutto nel passato, ed è emersa la speranza verso l’incipiente apertura al turismo, ma la camorra è rimasta nell’ombra, innominata, così come i conflitti interni e il mutare delle identità politiche. Una narrazione, forse in parte anche una forma di resilienza, che ci ha fatto capire quanto ci siamo limitati a dare una spolverata in superfice e che spinge lo storico orale a scavare più a fondo.