di Chiara Chimisso e Alessandro Coltré
Pubblichiamo un resoconto del lavoro di ricerca svolto ad Artena (RM) da Chiara Chimisso e Alessandro Coltré. Chimisso e Coltré hanno raccolto le storie di vita di una trentina di persone anziane realizzando un «quaderno di comunità» per documentarne la memoria e raccontare le trasformazioni vissute dal paese e dal territorio circostante nell’ultimo secolo. Nel volume, le trascrizioni delle interviste sono accompagnate da un ricco apparato iconografico costituito da foto di famiglia rinvenute negli archivi privati delle persone intervistate e da illustrazioni originali realizzate da Chimisso. Oltre a presentare i temi principali che emergono dalle interviste, l’articolo illustra le motivazioni, le finalità, le modalità di svolgimento, gli esiti e i possibili sviluppi di un progetto “aperto” che ha dovuto anche fare i conti con le limitazioni imposte dalla pandemia di Covid-19.
In prossimità di molti svincoli autostradali ci sono dei cartelli che promuovono città, siti di interesse culturale e località da visitare. Sei in un paese meraviglioso, la campagna promossa da Autostrade per l’Italia ha l’obiettivo di «promuovere il turismo di qualità valorizzando lo straordinario patrimonio artistico, culturale, ambientale ed enogastronomico italiano». Percorrendo l’Autostrada del Sole, a Sud di Roma, uno di quei cartelli recita Artena. A passo di mulo, mentre dall’auto in corsa si intravede una cascata di case arroccate su un costone calcareo. L’insegna in prossimità del casello di Valmontone ritrae l’animale simbolo di questa cittadina dei Monti Lepini che conta poco più di tredicimila abitanti, Artena. È qui che si concentra la nostra attività di ricerca con le fonti orali.
Andare oltre lo spot
Quel cartello racchiude le rappresentazioni più diffuse di questo paese: il piccolo borgo fuori dal tempo, il mulo come unico mezzo per raccogliere i rifiuti nel centro storico, l’isola pedonale più grande d’Europa, il paese-presepe, la vita che sembra essersi fermata a un secolo fa, come riportano molti portali che promuovo i centri storici. Nonostante gli accenni alla storia del paese siano rintracciabili nei portali istituzionali, nelle brochure di presentazione di Artena e in tanti siti che invitano a scoprire i piccoli centri, il marketing territoriale sembra lasciare poco spazio a narrazioni che approfondiscono il passato contadino e le peculiarità del paese.
Chi scrive abita il territorio che ha deciso di indagare: siamo due giovani attivisti della zona con un percorso di formazione alla facoltà di Lettere dell’università di Roma, «La Sapienza». Quattro anni fa abbiamo deciso di intraprendere una ricerca indipendente in cui fosse possibile scoprire qualcosa in più sulla storia di Artena. Quello che ci ha fatto camminare assieme sin dall’inizio è stata la volontà di andare oltre lo spot; oltre slogan e recensioni che spesso schiacciano le narrazioni dei paesi su immagini posticce e stereotipate, col rischio di allontanare le sfumature delle città che attraversiamo. Ci siamo chiesti: «Le storie di vita possono farci capire meglio la storia di Artena? Le fonti orali possono farci scoprire aspetti inediti e poco esplorati del passato?». Partendo da queste domande abbiamo focalizzato il nostro lavoro sulle persone più anziane di Artena, in quanto testimoni diretti della civiltà contadina e delle trasformazioni sociali del secolo scorso. La nostra attenzione si è concentrata sulle persone nate tra gli anni ‘20 e ‘40 del Novecento. Sono cittadine e cittadini che portano con sé collegamenti, informazioni, immaginari, ricordi e modi di dire capaci di problematizzare la presepizzazione di Artena, offrendo suggestioni e spunti interessanti sulla storia contemporanea del paese. In maniera del tutto autonoma, senza fondi e senza alcun budget, dopo aver studiato attentamente progetti, saggi e manuali di storia orale, abbiamo percorso Artena con il registratore sempre acceso.
Il quaderno di comunità
Il primo esito di questa ricerca è un quaderno azzurro che contiene più di 30 voci di donne e uomini di Artena. Gli abitanti più anziani e i loro vissuti sono dunque il centro di questa raccolta dal titolo M’è rimasto impresso. Voci di Artena per un quaderno di comunità.
Nelle prime pagine troviamo degli appunti di storia e di geografia del paese con informazioni utili a orientare lettrici e lettori. Sfogliando questa prima parte si possono trovare pillole di storia su Montefortino (così si chiamava Artena fino al 1873). Segnata da assedi, da eccidi e da domini differenti da parte di casate nobiliari, la storia di Montefortino racconta di saccheggi subiti a opera delle truppe di Federico II di Svevia nel 1241, di distruzioni e assalti da parte del potere papale nei secoli successivi, a causa dell’attività antipapalina dei signori dell’epoca, la famiglia Colonna. Dal 1614 Montefortino lega il suo nome alla famiglia Borghese. Questo passaggio di casata segnerà l’inizio di una rigenerazione del borgo con nuove piazze, palazzi di grande pregio architettonico e opere pubbliche di rilievo.
Tra gli obiettivi di questo quaderno c’è quello di amplificare la voce di chi non è stato né principe, né feudatario, né signore. La voce di chi ha abitato Artena da colono, da contadina, da allevatrice, da militante politico, da bambina in fuga dalle bombe degli alleati, da giovane bracciante costretto a dare ai proprietari terrieri un quarto del suo raccolto. Un secolo di storie e di storia, di intrecci tra grandi avvenimenti e episodi locali raccontati da chi non ha avuto spazio nel racconto pubblico su Artena. Dopo una ricognizione sulla storia antica, il quaderno prosegue con una prefazione di Martina Germani Riccardi, poetessa e antropologa nata ad Artena, lettrice per la narrativa italiana di Mondadori. Subito dopo, le nostre rispettive introduzioni spieghiamo l’origine del progetto e accompagnano chi legge alla scoperta delle storie orali. Le storie sono 25 e comprendono tutte le interviste realizzate, in cui troviamo coppie, fratelli, sorelle, a volte amici degli intervistati principali, arrivando così a oltre 30 testimonianze orali. Al centro di questo taccuino c’è dunque la forma dialogica: scambi di sguardi, cenni e parole affidano a un registratore il compito di custodire un patrimonio sonoro che è anche e soprattutto il risultato di una relazione tra chi fa domande e tra chi risponde, tra chi indaga il vissuto di una persona e chi decide di narrare le proprie esperienze, intrecciando autobiografia e grandi eventi, memorie private con memorie collettive, la casa e l’intimità con lo spazio pubblico. Una foto, un oggetto, l’arrivo del caffè sul tavolo, un bicchiere di vino, un cenno, una richiesta di chiarimento, hanno svolto un ruolo di primo piano nella composizione delle storie, trasformandosi a volte in elementi indispensabili per innescare il racconto di un episodio accaduto tanti anni fa. La trascrizione è quindi stata lavorata mantenendo sulla pagina il dialogo tra i due curatori e gli intervistati. La parte finale è affidata a degli approfondimenti scritti da ricercatrici, insegnanti e attivisti locali. Troviamo un contributo sulla geomorfologia di Artena dove vengono messi in rassegna alcune grotte e rifugi comparsi durante le interviste; in alcune storie, ad esempio, alcune grotte occupano un posto centrale nelle memorie legate ai bombardamenti della seconda guerra mondiale e ai relativi sfollamenti della popolazione. Questa geografia viene ripresa e approfondita da Beatrice Carocci, geologa e studiosa di ricerche sul monitoraggio di frane, dissesti e cambiamenti climatici. Ci sono altri lavori esterni con cartografie idriche di fine ottocento e con mappature delle varie fonti d’acqua. Quello dei fontanili è uno dei temi maggiormente presenti nelle interviste.
Foto e illustrazioni
In alcune interviste gli album fotografici di famiglia sono stati essenziali per avviare la discussione; in altri casi, prima del nostro arrivo nelle abitazioni, alcune persone ci hanno fatto trovare il tavolo della cucina pieno di cibo, caffè e una costellazione di foto, cartoline e lettere. Con il consenso degli intervistati questo materiale è stato scansionato per poi essere selezionato e incluso nella raccolta. A rendere il volume simile a un taccuino ci sono anche delle illustrazioni realizzate da Chiara Chimisso. Sono acquerelli che tratteggiano elementi significativi usciti fuori durante le interviste. Alcuni episodi raccontati dagli artenesi più anziani vivono ora come disegni: ci sono pozzi, aerei ricognitori, giocattoli, civette che preannunciano cattive notizie, targhe toponomastiche e tanto altro.
I temi
ALESSANDRO: Permesso, buonasera! Piacere, eccoce qua.
PIA: Che me raccontate belli?
CHIARA: Mah, tutto bene! Ti hanno spiegato un po’ quello che stiamo facendo?
PIA: Sì, le interviste!
ALESSANDRO: Noi stiamo a raccoglie un po’ le storie delle persone più anziane di Artena per capire un po’ come se viveva prima…
PIA: Spero di ricordarmi perché io c’ho tanti anni. L’ho vissuta questa vita. Durante la guerra, il bombardamento, la casa distrutta perché io abitavo su al paese.
Molte interviste sono iniziate in questo modo, molti discorsi sono germogliati parlando della seconda guerra mondiale. Non siamo entrati nelle case delle persone con una scaletta ben definita, abbiamo preferito appuntare alcune considerazioni dopo ogni conversazione, cercando di individuare parole, temi ed episodi ricorrenti nelle voci dei vari intervistati. Col susseguirsi delle interviste abbiamo ricevuto suggestioni differenti e spunti di indagine diversi rispetto a quando abbiamo cominciato a lavorare al progetto. Come accennato, considerata l’età degli intervistati, la seconda guerra mondiale è uno dei temi con cui prendono avvio molte delle interviste, ma non si resta assestati sul racconto bellico: il passaggio della guerra, considerato tema di massima rilevanza per gli interlocutori, durante le conversazioni lascia il posto a episodi avvenuti prima e dopo il conflitto mondiale. Sono aneddoti che consegnano una pluralità di temi: la condizione della donna, la sessualità, la coscienza di classe, l’emigrazione, il lavoro. Ma non solo: c’è anche tanta geografia, ci sono mappature di luoghi e spazi che in molti casi non esistono più, ci sono racconti su piazze e fontanili che oggi non vengono utilizzati, ci sono voci che spiegano la genesi di alcuni spazi sociali che invece oggi sono alla base della vita cittadina.
Per capire meglio alcune delle tematiche possiamo farci guidare direttamente dagli intervistati, co-autori a tutti gli effetti di questo quaderno:
GIULIANA: [fa il gesto per indicare le botte] Era ‘no monnaccio. Io teneva dodici anni, a quanto ero sviluppata. Era ‘na vita tribolata, tutti a zappà sino alla sera alle sette. Stracchi morti, zuzzi. Poi Colleferro comenzesse a mette gli operai… […] Maroma se arizzeva subito. Caricheva due, tre conche d’acqua, riempeva la bagnarola. Alla fontana emo a piglià l’acqua e paremo era geluso. Paremo se faceva le camicie moderne, era donnaiolo, ‘mbriaco e tireva a maroma. Fratemo Clemente e ziemo, fratello de’ maroma a paremo diceste: «Che ce tiri n’ara vota, resci tu de casa». Sempre impauriti stemo. [Era un mondo difficile. Avevo dodici anni, avevo raggiunto l’età dello sviluppo. Era una vita piena di tribolazioni, tutti a zappare i campi fino alla sera alle sette. Stanchi morti, sporchi. Poi a Colleferro cominciarono a assumere gli operai. Mia madre si svegliava presto. Caricava due, tre conche d’acqua e riempiva la bacinella. Andavamo a prendere l’acqua alla fontana e mio padre era geloso. Mio padre comprava le camicie moderne, era un donnaiolo, ubriacone e picchiava mia madre. Mio fratello Clemente e mio zio, fratello di mia madre disse a mio padre: “Se la picchi un’altra volta esci di casa”. Eravamo sempre impauriti.]
MARIA: I tempi de prima. La guerra è bella a ricordalla, ma a passacce è brutta. […] Tutte le ragazze ricamavano. Dalle monache le ragazzette più grandi parlavano già de amore. Non se volevano fa sentì dalle monache, parlavano de fidanzati, de ommini. E na’ vota na’ monaca se avvicineste e diceste: «Guardate che se me tolgo sto cappello so una donna come voi». […] Magari alla scola ero intelligente, però non ce so potuta ì. […] Teneva pure du porci, bisognava dacce da magnà. [I tempi di una volta. La guerra è bella da ricordare, ma a passarci è brutta. […] Tutte le ragazze ricamavano. Dalle suore le ragazze più grandi parlavano già d’amore. Non volevano farsi sentire dalle suore, parlavano di fidanzati, di uomini. E una volta una suora si avvicinò e disse: «guardate che se mi tolgo questo cappello sono una donna come voi». Magari a scuola ero intelligente ma non ci sono potuta andare. […] Avevo anche due maiali, bisogna dargli da mangiare.]
Le voci delle sorelle Maria e Giuliana Pomponi possono far capire quali siano alcuni temi della raccolta: c’è il ricordo della guerra, che a raccontarla suscita piacere, ma che in sostanza resta atroce; spartiacque di ogni individuo della comunità. C’è la violenza domestica, l’abbandono scolastico e la vita contadina. C’è il lavoro, tema che viene fuori anche per il legame con la vicina e giovane Colleferro, cittadina nata nel 1935 attorno alla fabbrica di esplosivi, la Bombrini Parodi Delfino. Le interviste sono anche memorie di contadini-operai, di persone che, come riportato in molte storie, hanno trovato l’America a Colleferro, un’occasione per non emigrare, per migliorare le condizioni di vita, ma anche per sviluppare una coscienza di classe.
La città delle pietre e la città dello spazio sociale
L’uso delle fonti orali ci ha aiutato a diffondere nella comunità la percezione della differenza tra luogo e spazio sociale. Quando raccontiamo una città questi due termini, spazio e luogo, assumono significati diversi, come spiegato da Gabriella Gribaudi durante una scuola Aiso di storia orale che si è tenuta qualche anno fa a Genazzano, paese distante qualche chilometro da Artena. «La città è uno ‘spazio sociale’ formato dalle pratiche messe in atto dai suoi protagonisti; le pratiche sono delle operazioni, delle attività originali e imprevedibili che esprimono il modo di vivere, e di sopravvivere, degli abitanti». Prendendo come punto di riferimento gli studi dello storico gesuita Michel De Certeau, la professoressa Gribaudi spiega che un «luogo si trasforma e diventa spazio quando gli elementi di cui è composto iniziano a muoversi, a interagire tra loro, a compiere delle azioni». Ascoltando i racconti di chi attraversa una città, un quartiere, una frazione o una contrada, la storia orale lavora per ricostruire il rapporto tra la città delle pietre e la città dello spazio sociale. Le narrazioni che celebrano il borgo di Artena hanno sempre puntato al racconto della città delle pietre: con questo quaderno abbiamo puntato invece ai luoghi praticati, abbiamo cercato di appuntare i movimenti e gli slanci degli abitanti. Grazie alle voci degli artenesi abbiamo raccolto storie di conflitto sociale e di mobilitazioni che difficilmente troviamo nei libri di storia locale o nei dibattiti cittadini. Cesare Priori, membro del sindacato dei pensionati della Cgil, ex militante del P.C.I. di Artena illustra la figura del quartarino, guardiano della famiglia Borghese addetto alla requisizione di un quarto del raccolto lavorato dai contadini:
CESARE: Pensa che prima si spartiva a metà, al 50 per cento. Dopo le lotte dei contadini, l’alleanza dei contadini, i compagni vecchi, col sindacato ci fu la vittoria di spartire a un quarto. I guardiani erano tremendi, a parte che era il loro mestiere difendere i Borghese.
Alcuni intervistati hanno dialogato con noi delle occupazioni dei terreni della famiglia Borghese, alcune voci hanno spiegato il sistema della sorta, una spartizione del territorio agricolo di Artena per il quale, alla fine, «la terra migliore la davano ai boattieri», racconta Settimo Centofanti, simpatizzante del Partito Socialista che ha spiegato la suddivisione delle terre a vantaggio dei boattieri, bovari privilegiati che avevano accesso a favori e a grandi appezzamenti di terra. E alla fine il contadino «doveva solo guardà la stella, rimaneva senza terra, tutto l’anno a tribbolà e a lavorà, rimaneva senza niente in mano», sintetizza Giuseppe Candela, figlio di contadini, bracciante e poi postino del paese.
Il progetto: modalità di coinvolgimento della popolazione
Abbiamo iniziato a raccogliere le voci di Artena nel 2017 e abbiamo utilizzato i nostri percorsi di studi, convinti che l’intersezione dei saperi sia un valore aggiunto, soprattutto quando si lavora con l’oralità. Per coinvolgere la popolazione abbiamo cominciato con iniziative informali: passaparola, messaggi ad amici e conoscenti a cui chiedevamo la disponibilità a fare una chiacchierata con nonni, zii e parenti anziani. Per facilitare la partecipazione è stata realizzata anche una campagna di divulgazione con manifesti, locandine e contenuti digitali dal titolo Artena racconta.
Nelle fasi preparatorie e durante il progetto abbiamo comunicato le intenzioni di questa ricerca e le modalità con cui l’avremmo portata avanti, esponendo in modo chiaro le modalità di restituzione: stampare un quaderno di comunità e aprire un archivio sonoro nella biblioteca comunale. Come raccontato da Giulia Zitelli Conti per il percorso di public e oral history sul quartiere Pilastro di Bologna in Ti dò il tiro, aver esplicitato dall’inizio i luoghi fisici dove poter recuperare e riascoltare quanto detto durante le registrazioni ha allontanato dubbi, reticenze e incertezze attorno al progetto. Altro elemento che ha determinato una buona partecipazione è stato il grado di separazione tra noi e gli intervistati. Si tratta di un livello di distanza molto basso se consideriamo la nostra provenienza: Artena e Colleferro. È stata determinante anche la presenza di informatori: gli amici e i parenti degli intervistati che ci hanno segnalato le voci da registrare si sono spesso fermati con noi ad ascoltare. In questo modo il clima delle interviste è sempre stato piacevole e informale, tanto da dimenticare spesso di avere il registratore attivo sul cellulare. Proseguite per tutto il 2018 per essere poi trascritte interamente nel corso del 2019, le interviste avrebbero dovuto essere accompagnate da una serie di incontri pubblici nel 2020 per arrivare ad aprire un archivio partecipato da arricchire grazie al coinvolgimento della comunità.
L’idea era quella di offrire uno spazio fisico e virtuale dedicato alle storie orali del territorio, dove raccogliere anche fotografie e altro materiale proveniente per lo più dalle case delle persone. Un obiettivo che in realtà non è stato completamente raggiunto perché l’arrivo del Coronavirus ha ovviamente fermato tutto: nessuna possibilità di contatto, pochi spostamenti e nessun tipo di incontro in piazza o in casa. Le generazioni al centro di questa raccolta sono quelle che più di tutte hanno dovuto fare i conti con la pandemia da Covid-19. In questo progetto a essere compromessa è stata anche tutta la fase di condivisione e di partecipazione nelle piazze di Artena, dove erano previsti momenti di discussione sulle storie raccolte, e in cui sarebbe stato possibile aggiungere altri racconti, segnalare nuovi elementi da indagare. Le pagine bianche alla fine del quaderno sono un invito a proseguire questo lavoro, guidato sin dall’inizio dalle Buone pratiche per la storia orale di Aiso e stimolato dalla curiosità per le vite degli altri, «per l’intelligenza delle persone nel farsi storiche di se stesse», come ripete spesso il professor Alessandro Casellato. Con questa curiosità ci impegniamo a far circolare il quaderno e a tenerlo aperto insieme alla comunità.