di Patrick Urru
Questo articolo fa parte della rubrica “Interviste sull’intervista” per la quale rimandiamo all’introduzione di Francesca Socrate qui.
Questa intervista è stata registrata a Roma, l’11 ottobre 2021, nella sede della Rivista di Studi Politici Internazionali. Un incontro che nasce dalla volontà di raccogliere maggiori informazioni sulla Società per la storia orale: associazione di storici orali costituitasi a Roma nel 1982. La scarsità di notizie e un certo scetticismo nei confronti di una realtà considerata distante dalla «scuola italiana di storia orale», mi hanno spinto a contattare la professoressa Melchionni, la persona che ha contribuito maggiormente alla nascita di questo gruppo, guidandolo per tutto il periodo di attività. L’intervista è stata l’occasione per conoscere i progetti realizzati, ma anche per ragionare insieme su che cosa significhi fare storia orale, e in particolare con le élite.
Il testo che segue è il risultato di un processo di revisione che ha coinvolto i contenuti e la forma dell’intervista. Non si tratta quindi di una trascrizione integrale, parola per parola, ma di una selezione di alcuni passaggi del nostro incontro. La revisione dei contenuti ha prodotto dei tagli essenzialmente relativi alle parti in cui abbiamo parlato del mio progetto di dottorato e di esperienze ad esso collegate. Gli interventi formali, invece, più cospicui, hanno riguardato lo stile del testo, nel tentativo di rendere lo scritto più leggibile, eliminando gli intercalari oppure cambiando l’ordine delle parole all’interno di alcune frasi. Inoltre, ho riformulato alcune mie domande per renderle immediatamente comprensibili, evitando il più possibile le perifrasi. Il fatto di aver scelto di eliminare alcune parti dell’intervista, preservando però l’ordine degli eventi così come sono stati raccontati, mi ha spinto a inserire alcune parole di congiunzione per garantire una coerenza interna del testo. Questi inserti, questo non detto, così come l’aggiunta dei nomi completi delle persone menzionate e dei titoli dei volumi a cui si è fatto riferimento durante l’incontro, non sono stati racchiusi tra parentesi quadre.
Un lavoro di editing condiviso con l’intervistata e che ha richiesto una sorta di distacco dall’intervista registrata; una vera e propria separazione da una dimensione parallela che ha le sue regole e i suoi tempi. Estraniarsi da tutto questo è stato molto complicato, perché, mentre la mano digita le parole sulla tastiera, il pensiero è rivolto al «contesto situazionale» che arricchisce il testo di immagini, sguardi ed emozioni. Sulla base della mia esperienza, questo accade anche se l’ascolto dell’intervista è lontano nel tempo e si rilegge ciò che si è trascritto, perché l’esperienza dell’incontro è un ricordo che non abbandona mai l’intervistatore. In definitiva, il testo che propongo è il risultato di una mediazione tra leggibilità e oralità, con una preferenza per la prima. Si spiega così l’assenza di ogni riferimento a elementi soprasegmentali e prossemici, all’interazione con gli oggetti presenti sul tavolino accanto alle nostre sedute, e al time code.
Maria Grazia Melchionni Direttrice della Rivista di Studi Politici Internazionali e Jean Monnet Chair of History.
Patrick Urru Bibliotecario e dottorando del corso “Culture d’Europa. Ambiente, spazi, storie, arti, idee” dell’università di Trento.
PATRICK: Professoressa Melchionni, come si è avvicinata alla storia orale?
MARIA GRAZIA: Forse la stupirà, ma mi è capitato di fare storia orale senza conoscerla ed è capitato in occasione delle ricerche legate alla mia tesi di laurea. Il mio maestro, Mario Toscano, mi aveva affidato l’archivio del conte Carlo Sforza, perché facessi una tesi sul Trattato di Rapallo. Mi aveva detto di frequentare la contessa Valentina Errembault de Dudzeele, moglie di Sforza, perché avrebbe potuto darmi molte informazioni utili. Io stavo già lavorando sul diario del conte Sforza, in collaborazione con Toscano, e iniziai a frequentare la casa della contessa, in via San Teodoro. Ho un bellissimo ricordo della contessa che mi raccontava molti episodi, non solo inerenti alla mia tesi di laurea, ma anche in generale, dell’esperienza del marito, del loro soggiorno in Cina e poi dei fatti relativi agli anni 1920-21, anni in cui Sforza fu ministro degli Esteri. La contessa desiderava affidare i suoi ricordi a una persona che l’ascoltava con grande interesse, come facevo io in quel momento, perché la biografia del conte Sforza, affidata al suo segretario, Livio Zeno, non dava segni di compiutezza e la contessa era preoccupata che forse la pubblicazione non sarebbe uscita e quindi voleva trasmettere i suoi ricordi.
Sempre in quei mesi, feci un’altra intervista importante, con Vincenzo Torraca, giornalista all’epoca del Trattato di Rapallo. Un giornalista importante, molto informato sugli avvenimenti, che aveva anche conosciuto molto bene Sforza. Quando lo incontrai era direttore del teatro Eliseo, un personaggio molto interessante, di grande spessore.
Ma in quel periodo non sapevo assolutamente nulla di storia orale. Intervistai la contessa e Torraca senza registratore, prendendo qualche appunto. Con Torraca, per esempio, non avevo minimamente confidenza e usai il metodo dei diplomatici, mantenendo una grande concentrazione durante l’intervista per poi prendere appunti in ascensore, mentre andavo via, perché temevo che prenderli in sua presenza potesse metterlo in difficoltà, frenare il flusso dei ricordi. Esperienze da autodidatta insomma.
Scoprii la storia orale negli Stati Uniti, una decina d’anni dopo, nei primi anni Settanta, in occasione di un viaggio. Lì è molto facile imbattersi nella storia orale, perché molti musei hanno delle sezioni dedicate alle fonti orali, a cominciare da Ellis Island. Ma anche le varie comunità etniche, nelle grandi città come New York, per esempio, hanno dei centri in cui si raccolgono le testimonianze della vita della comunità. E poi visitai l’Oral History Office alla Butler Library della Columbia University.
PATRICK: Ha visitato l’Oral History Office?
MARIA GRAZIA: Sì, l’Oral History Research Office, perché ero proprio lì, risiedevo nel centro per i visitatori della Columbia University. Visitai la Butler Library, il centro, e mi incuriosì molto. Fu allora che scoprii l’Élite Oral History, la storia orale dell’élite, e, al mio rientro in Italia, ne parlai con quello che è stato il mio secondo maestro, dopo la morte del professor Toscano, Giuseppe Vedovato. All’epoca insegnavo Storia dei trattati e politica internazionale e nella letteratura relativa agli affari internazionali era frequente trovare l’indicazione di testimonianze soggettive. Quindi proposi a Vedovato di fare qualcosa in questo ambito, ma lui mi disse: «No, ma queste cose da noi non vanno bene», temeva, come politico, che potesse tradursi in una “fiera delle vanità” da parte dei politici e quindi la cosa finì lì. In quel periodo ero anche molto impegnata, non avevo tempo di occuparmene, e quindi la cosa fu messa da parte. Anche perché erano anni, gli anni Settanta nell’università, in cui c’erano tanti problemi, anche di sicurezza. In quegli anni, erano molto spesso i giovani sulla breccia, perché erano meno vulnerabili dei professori.
Ripresi il discorso della storia orale all’inizio degli anni Ottanta. Vedovato era uscito di scena per ragioni di età e io ero in attesa di andare altrove, perché la facoltà di Scienze politiche non voleva associati, aveva fatto una scelta pregiudiziale, e quindi avevo tempo da dedicare a cose di mio interesse. Avevo l’idea di costituire un’associazione che facesse progetti di ricerca orale nel campo delle élite, su due temi in particolare che mi stavano a cuore: le origini della Repubblica e il processo di integrazione europeo. Con Vedovato mi ero occupata molto di studi europei, era il filone principale dei nostri studi. Parlai di questa idea con Mario D’Addio, direttore dell’Istituto storico, e lui mi suggerì di parlarne con De Rosa, disse: «Ma perché non ne parla con Gabriele De Rosa, lui con le sue lunghe interviste a Luigi Sturzo, è una persona che avrà certamente interesse per questa iniziativa», e così feci.
Con De Rosa avevo già un buon rapporto, perché aveva pubblicato la mia monografia, La vittoria mutilata: problemi ed incertezze della politica estera italiana sul finire della grande guerra, ottobre 1918-gennaio 1919, nella sua collana di storia, nelle Edizioni di Storia e Letteratura. Accolse con grande entusiasmo questa idea e quindi cominciammo a pensare a quelli che potevano essere i colleghi da sensibilizzare, da presentire, perché l’idea era quella di creare un gruppo di docenti qualificati che, con il loro prestigio e con le iniziative che avrebbero portato avanti, accreditassero la storia orale nell’ambiente accademico. A quell’epoca, la storia orale era appannaggio degli etnologi, dei sociologi che la coltivavano con metodologie e obiettivi specifici, e in campo storico, era appannaggio di un piccolo gruppo di ricercatori che si qualificavano come “storici scalzi” e si erano dati la missione di riscrivere la storia dal basso. La nostra idea era totalmente diversa, perché si trattava di raccogliere le testimonianze dei protagonisti, degli attori e dei testimoni degli eventi storici, non solo per integrare le fonti scritte, ma per negoziarne con loro l’interpretazione, e per altri scopi che sarebbero emersi dall’esperienza stessa.
All’epoca, l’Istituto di studi storici di Scienze politiche era un tempio, nel senso che c’erano i migliori storici del tempo: Pietro Scoppola, Franco Valsecchi, Renzo De Felice, De Rosa, Armando Saitta, insomma, c’erano tanti bei nomi che entrarono quasi tutti a far parte di questo gruppo. Altri vennero da Lettere, come Paolo Spriano per esempio. Spriano diede un grande contributo, lui aveva fatto lo storico orale a Torino. E poi c’era Guglielmo Negri che allora era il capo dell’Ufficio studi della Camera dei deputati, che si definiva uno storico di frodo, cacciatore di frodo in campo storico, ma che ha scritto cose storiche molto belle. Sono molto grata a Negri, perché mi fu molto vicino e mi diede subito il consiglio giusto per le mie ricerche, mi disse: «Maria Grazia, devi mettere dentro tutto l’arco costituzionale», e infatti era chiaro che doveva esserci, soprattutto per il progetto sulle origini della Repubblica.
Cominciammo così, con l’idea di coinvolgere subito anche le istituzioni, di avere un rapporto con la Discoteca di Stato. Ci preoccupammo subito di fare una convenzione con la Discoteca, con l’Archivio centrale dello Stato e lì il nostro interlocutore fu il direttore Renato Grispo. Tutto iniziò molto bene e il primo progetto che mettemmo in campo fu quello delle origini della Repubblica. Ricordo che io ed Enrico Serra, che si era occupato di testimonianze orali, facemmo la prima intervista a Giuseppe Brusasca.
PATRICK: Vedo che ha organizzato le schede delle interviste a mo’ di schedario.
MARIA GRAZIA: Sì, queste sono le schede delle interviste. Ci sono quelle sul progetto del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST), l’intervista a Luigi Berlinguer… Le schede sono un po’ mischiate con quelle del progetto sull’Europa. Questa è la scheda di Brusasca, questa è l’intervista ad Antonio Giolitti. Le schede andrebbero ancora un po’ ordinate. Questo fu quindi l’inizio. Forse le interesserà sapere quale fu l’accoglienza che gli altri storici orali esistenti sul campo riservarono alla società. Sapevo della loro esistenza ed ero informata, perché, come le dicevo, ero abbonata alle riviste e quindi seppi che si sarebbero riuniti a Terni per il loro secondo congresso e andai a questo convegno.
PATRICK: Vale la pena ricordare che nel frattempo, 1982, era nata la vostra associazione, la Società per la storia orale.
MARIA GRAZIA: Sì, esatto. Quindi, andai al convegno ed entrai in questa sala che era abbastanza affollata. Mi sono stupita quando li ho sentiti parlare della creazione della Società per la storia orale, perché dissero: «Ma questa è una cosa indegna, le mani delle istituzioni sulla storia orale!». Fu uno scandalo, la creazione della Società per la storia orale aveva fatto scandalo e fu vista come un tentativo di accaparramento da parte delle istituzioni di questa realtà che invece non gli somigliava. A quel punto, io non osai presentarmi, per il timore di essere aggredita, perché la discussione era effettivamente molto accesa. Anche se, devo dire, l’intervento di Luisa Passerini lasciava una porta aperta a una possibilità per gli “storici scalzi” di avere un rapporto con le istituzioni, prima o poi.
Le prime reazioni del mondo accademico e politico furono invece positive, molto positive, più da parte del mondo politico che del mondo accademico, in quest’ultimo ci furono delle resistenze. Il mondo politico, invece, era molto ben disposto, perché, indubbiamente, Vedovato qualche ragione l’aveva, quando diceva che il tutto si sarebbe potuto tradurre in una “fiera delle vanità”, però devo dire che non accadde in modo negativo, perché i politici si comportarono seriamente, si prepararono molto al momento delle interviste e le cose andarono molto bene. Poi, possiamo discutere in relazione a singole interviste, ogni personaggio ha avuto un atteggiamento particolare, ma era soprattutto un atteggiamento collaborativo. Certo, i politici più politici sentono il potere alternativo del microfono e si difendono. Io ricordo, per esempio, un’intervista con Paolo Emilio Taviani che quando gli facevo domande scomode, mi dava risposte aggressive, proprio per bloccarmi e non farmi andare oltre, e bisognava ritornare su quell’argomento in altro modo. Ha avuto comunque un atteggiamento serio e collaborativo, assolutamente.
Le dicevo, invece, delle resistenze da parte del mondo accademico, perché la presenza dei testimoni era considerata scomoda. Al massimo si gradiva un intervento di uno storico che avesse utilizzato testimonianze, ma l’idea di avere il testimone al convegno, per esempio, era considerata una situazione scomoda. C’è un episodio molto importante in questo senso, in occasione del convegno che si svolse a Roma per i 30 anni dei Trattati di Roma. Era il 1987, nel frattempo avevo terminato la mia ricerca fatta con l’ambasciatore Roberto Ducci sui Trattati di Roma. Le interviste che abbiamo raccolto sono state pubblicate nel volume La genèse des Traités de Rome.
PATRICK: Il libro raccoglie le interviste che avete realizzato?
MARIA GRAZIA: Sì. Questo è un libro importante, molto diffuso anche all’estero, perché ci sono le interviste ai personaggi più importanti delle sei delegazioni che hanno partecipato. Interviste in francese, tranne una che era in inglese, che sono state trascritte a cura della Fondazione Jean Monnet. Sono state le segretarie di Monnet che mi hanno fatto le trascrizioni. Noi avevamo le cassette ed era molto difficile, perché c’erano molti nomi e ci volevano persone che avessero una certa familiarità con un certo tipo di nomi. Sono state due segretarie di Monnet che hanno trascritto le cassette dal francese.
PATRICK: E questa pubblicazione raccoglie le trascrizioni?
MARIA GRAZIA: Sì, in francese.
PATRICK: Avete rivisto le trascrizioni con gli intervistati?
MARIA GRAZIA: Le abbiamo riviste e mandate agli intervistati che ci hanno firmato l’approvazione e poi sono state depositate: una copia a Firenze, all’Istituto universitario europeo (IUE), una copia alla Fondazione Jean Monnet e una copia l’ho data alla Discoteca di Stato. Poi è stato stampato il libro a Losanna dalla Fondazione Jean Monnet. Uno di questi personaggi che abbiamo intervistato, Émile Noël, all’epoca era un personaggio molto vicino a Monnet e molto vicino anche al Presidente del Consiglio francese, Guy Mollet, e quindi fece da trait d’union durante questo negoziato. Era il Segretario generale della Commissione europea, un segretario storico, perché lo è stato dall’inizio della creazione delle istituzioni fino a quando è andato in pensione, credo alla fine degli anni Ottanta, se ricordo bene, un segretario storico. La storia orale dell’élite fu una scoperta anche per lui e il programma di raccolta di fonti orali della Commissione si basa proprio su questa esperienza di Noël, perché fu lui che volle introdurre questo aspetto.
Quando nel 1986-87 si stava preparando il convegno di Roma sui Trattati, incontro organizzato da Enrico Serra che allora era a capo del Servizio studi del Ministero degli Esteri, Noël disse: «Invitiamo i testimoni». Dopo un po’ però Serra disse: «Sa, forse sarebbe meglio non invitarli», «Ah», disse lui, «allora la Commissione non partecipa, quindi non contribuisce». Allora i testimoni furono invitati. Furono invitati e ci furono delle discussioni, perché gli storici si presentarono lì con le loro ricostruzioni nelle quali i testimoni non si riconoscevano. Allora ci furono degli attacchi da parte dei testimoni nei confronti di alcune relazioni, e il giorno dopo ci furono delle prese di posizione. Ricordo proprio che Noël disse: «Ma noi non contestiamo quello che gli storici fanno nei loro archivi, però loro devono anche tener conto di quello che è stata l’esperienza di chi ha vissuto questi avvenimenti». Anche questo dibattito è stato pubblicato negli atti del convegno. Insomma, una cosa è la realtà in cui si sono svolti gli avvenimenti e una cosa è quello che risulta da tante fonti scritte, che per il fatto di essere scritte non sono più vere di quelle altre, perché poi sappiamo benissimo che il documento scritto è anche quello una fonte soggettiva, soprattutto quella di carattere politico. Poi però c’è stata un’evoluzione, indubbiamente adesso le testimonianze hanno un peso riconosciuto.
PATRICK: Posso farle una domanda, rimanendo sempre sul tema Europa?
MARIA GRAZIA: Sì.
PATRICK: In un suo articolo uscito nel 1988 sulla rivista Rassegna degli archivi di Stato, Lei fa riferimento a un progetto di raccolta della memoria dei cittadini europei. Non so se il progetto dedicato ai Trattati di Roma c’entri con questo. Si parla del gruppo di collegamento degli storici europei che ha accolto una proposta avanzata dal Consiglio dei ministri europei della cultura tenutosi a Milano nel 1985.
MARIA GRAZIA: È l’inizio di quell’iniziativa di Noël. Dunque, Noël è stato intervistato nel 1983-84, qualcosa del genere, dopodiché c’è questo consiglio di Lussemburgo e poi si è creato questo Groupe de liaison degli storici europei, i quali non volevano assolutamente sentir parlare di fonti orali, però gli viene dato questo incarico. La parola “cittadini” si perde un po’, perché in realtà si tratta di un progetto di raccolta di testimonianze relative al processo di integrazione europea. Può essere stato anche preso in considerazione un coinvolgimento dei movimenti europei, ma l’attenzione era rivolta soprattutto agli attori e ai testimoni dei fatti che hanno caratterizzato la formazione e la vita delle istituzioni europee.
PATRICK: Certo, prendendo in considerazione vari ambiti: economia, politica, società.
MARIA GRAZIA: In vari ambiti, però, il gruppo di liaison era un gruppo molto conservatore e, in realtà, questa iniziativa comincia a svilupparsi, non con il Groupe de liaison, ma con l’Action Jean Monnet. Io divento cattedra Jean Monnet nel 1992 e sono stata capofila della parte italiana. Il capo dell’Azione Jean Monnet, Jacqueline Lastenouse, molto vicina a Noël, fa partire questo progetto di ricerca oralistica in tutti i paesi membri dell’epoca e in ogni paese c’era un capofila; quindi, io sono stata capofila per l’Italia.
PATRICK: Per la parte italiana.
MARIA GRAZIA: Per la parte italiana. Ho distribuito a varie cattedre Jean Monnet esistenti nel paese il compito di fare determinate interviste. Poi però questo progetto è continuato ed è ripassato nelle mani del Groupe de liaison, perché, cosa è successo, tanto per dirle le cose europee. Questi gruppi di collegamento che sono stati molto importanti, all’inizio c’erano soltanto quello giuridico, quello economico, e quello dei politologi, erano dei gruppi che servivano alla Commissione per avere informazioni. In seguito, è stato chiesto di fare anche un Groupe de liaison di storici. Quando però è sorta l’Azione Jean Monnet, che è venuta un po’ dopo, nel 1991-92, se ricordo bene, la funzione di questi gruppi è diminuita, anche la necessità per la Commissione, che ha puntato tutto sulle cattedre Jean Monnet. Era una realtà più ampia e capillare, fatta di cattedre, ma anche di moduli, poli, una realtà molto più utile, perché legata al funzionamento dell’università, agli studenti, al progetto Erasmus. Le cattedre sono state importantissime per far decollare i progetti Erasmus, perché è stato dalle relazioni fra i docenti che si è sviluppato il flusso degli studenti.
I gruppi di collegamento però non hanno voluto saperne di questa perdita e soprattutto volevano mantenere qualcosa da fare, per cui li è stata data la rivista, Journal of European Integration History, e poi, da ultimo, si sono fatti dare le interviste, anche per avere qualche risorsa. Continuano a portare avanti i progetti di storia orale della Commissione, però, devo dire, che non sono degli storici orali, fanno delle interviste, ma così. A me è capitato di vederne due che secondo me erano due personaggi sprecati, da cui si poteva avere molto di più.
PATRICK: Certo. Le ho parlato di questo progetto sulla memoria dei cittadini europei, perché sempre nel suo articolo Lei fa riferimento a un programma ampio che doveva coinvolgere vari Stati e che prevedeva un lavoro di raccolta di interviste basato su una metodologia comune.
MARIA GRAZIA: Beh, non c’è stato un lavoro in questo senso.
PATRICK: Capisco. Si faceva riferimento anche a un metodo di trascrizione comune, quell’aspetto mi aveva incuriosito.
MARIA GRAZIA: Non lo so se c’è stato un lavoro in questo senso, non negli anni in cui me ne sono occupata io. Certo, qui in Italia ho chiesto di fare determinate cose, seguendo quei criteri minimi che avevamo definito. Ho fatto circolare un libricino dal titolo Istor: colui che racconta in veste di testimone. Manualetto per praticare la storia orale. Devo dire che ho ricevuto dei testi accettabili. Poi, certo, la preparazione individuale dipende da tante cose, uno non può indagare, insomma, fatta l’intervista è quella che è. Ho avuto anche dei rapporti con referenti di altri paesi, per esempio, la Spagna, sono stata a Madrid una volta. Lì c’era una storica orale abbastanza brava, che ha tenuto in mano il filone spagnolo, ma adesso non mi ricordo il nome.
Adesso questa raccolta continua, perché tutte le istituzioni ormai tendono ad avere un loro archivio orale, anche la Fondazione Jean Monnet, per esempio. La sua mediateca si è arricchita sempre di più, va arricchendosi di testimonianze orali e lì hanno proprio una persona dedicata alla raccolta di interviste che sono conservate nel migliore dei modi, anche perché hanno le risorse per poterlo fare. Poi la Commissione, grazie a queste testimonianze, questi materiali, pubblica dei volumi sulla sua storia.
PATRICK: Certo. Partendo proprio dalle interviste.
MARIA GRAZIA: Utilizzandole, sì.
PATRICK: Certo. In quel periodo utilizzava il manualetto Istor?
MARIA GRAZIA: Sì, chiaro che avendo scritto quello, facevo quelle cose.
PATRICK: Certo. Quel manualetto mi ha ricordato molto la tradizione americana.
MARIA GRAZIA: Sì, certo, il mio modello era quello.
PATRICK: Una certa sistematicità, il prendere in considerazione tutti gli aspetti della storia orale, non solo della raccolta, ma anche della conservazione. Un’attenzione per questo aspetto che c’è già fin dall’inizio, fin dalla nascita della Società per la storia orale, no?
MARIA GRAZIA: Sì, assolutamente. Consostanziale proprio. Poi si tratta di trascrivere fedelmente, l’editing è minimo nella trascrizione. Ai fini della pubblicazione qualche cosa si può fare, perché, indubbiamente, la pubblicazione richiede una maggiore fluidità del testo. Poi, ho sempre conservato le copie, cioè la copia della prima stesura con le correzioni dello storico orale e del testimone. Prima facevo le mie modifiche e poi mandavo il testo al testimone per la correzione e poi conservavo anche la copia “ripulita”.
PATRICK: Certo. Lei ha sempre conservato entrambe.
MARIA GRAZIA: Entrambe, assolutamente, è importante questo.
PATRICK: E poi l’aspetto della conservazione, cioè dove conservo questa intervista e il materiale. Anche questo elemento emerge ed è un elemento importante, perché, in un certo senso, dà continuità alla ricerca che non rimane fine a sé stessa.
MARIA GRAZIA: No, certamente. Questa questione devo ancora risolverla, devo ancora decidere a chi dare questo materiale.
PATRICK: Dove conserva al momento questo materiale?
MARIA GRAZIA: A casa. Poi lo darò a chi mi dà garanzie di conservarlo bene, non solo le interviste, ma anche la biblioteca. Vede, queste sono tutte le schede di libri e riviste sulla storia orale che ho raccolto fino al 2000. Adesso vedrò cosa fare, forse donerò tutto alla Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA). Deve essere anche un posto in cui c’è un pubblico che utilizza questo tipo di cose.
PATRICK: Sì, un’istituzione che le promuove anche. Promozione che è anche restituzione, un elemento importante della ricerca. Lei ne parla nel manualetto Istor. Come restituisco, non solo all’intervistato, ma anche agli altri, ai ricercatori, a chi è curioso.
MARIA GRAZIA: Lei andrà alla Discoteca di Stato in questi giorni?
PATRICK: Vorrei andare, sì.
MARIA GRAZIA: Veda un po’ come funziona adesso, chi è il direttore adesso. Io ero stata da loro qualche anno fa in occasione di un convegno. C’era un direttore simpatico, abbiamo fatto una cosa carina, c’era anche un giornalista, Dino Pesole. Un anniversario di qualche cosa, non mi ricordo più niente, comunque non importa, era stata una cosa carina, fatta bene. Però, il ricordo che ne ho è che non c’è una persona dedicata che fa solo quello. Nella vita ci vogliono queste situazioni perché una cosa funzioni, un luogo dedicato, una persona dedicata che tiene in mano quella sezione, che tiene tutti i contatti, in modo che uno sappia a chi rivolgersi.
PATRICK: Certo. Una persona di contatto che può gestire il fondo, che può gestire le interviste, che lo fa in modo consapevole, con una certa conoscenza, ma anche sensibilità nei confronti della fonte che ha in mano e che riesce anche a fare da ponte tra la ricercatrice o il ricercatore che ha depositato questo materiale e chi è interessato. Questo sì, devo dire che è difficile da trovare in Italia.
MARIA GRAZIA: In questo momento. Forse a livello locale è più facile avere dei punti di raccolta, però è importante che ci sia anche un’istituzione centrale. L’Archivio di Stato non ha la possibilità di creare una sezione, perché c’è la Discoteca e loro dicono che è compito della Discoteca di Stato.
PATRICK: Sì, poi in questo modo ogni istituzione fa da sé. Oggi ho scoperto che ci sono delle fonti orali nell’archivio della Camera dei deputati.
MARIA GRAZIA: Certo, sì. Noi avevamo dei rapporti con Giuliana Limiti, con il Senato. Sono stati i primi quelli del Senato che, devo dire, lavorano, sono forse meno oberati dalle richieste dei loro utenti interni e quindi curano di più l’archivio. Però anche la Camera dei deputati adesso ha una sua raccolta. Siamo comunque lontani, il Ministero degli Esteri, per esempio, loro dovrebbero fare una raccolta di fonti orali. Tutti quelli che terminano la loro carriera, una volta facevano un rapporto di fine missione, adesso dovrebbero fare un’intervista di fine missione, in cui danno conto di tante cose della loro attività. Ma come al solito le risorse non sono sufficienti per creare anche questo strumento. Adesso hanno digitalizzato l’archivio dei documenti, non so come e fino a che punto, curano la raccolta di documenti, ma per le fonti orali nulla di tutto questo.
PATRICK: No, infatti. Proprio oggi ho scoperto queste interviste all’archivio della Camera dei deputati, mi sono un po’ meravigliato, non ne sapevo nulla. Però non so come siano state raccolte e sono anche poche in realtà, almeno dalla lista che ho visto. Sono state registrate in audio, ma alcune anche in video.
MARIA GRAZIA: Ma quando hanno cominciato?
PATRICK: Mi sembra intorno alla fine degli anni Ottanta, forse 1989-90, primi anni Novanta. Però ne hanno pochissime, mi ricordo che c’era Pajetta nella lista degli intervistati.
MARIA GRAZIA: L’Istituto Sturzo ha fatto una raccolta importante quando ha salvato l’archivio della DC che era allo sbando, De Rosa ha salvato questo archivio e ha anche varato un progetto di raccolta di testimonianze sulla storia della DC, anche a livello locale, un grande progetto. Avevo partecipato ad alcune riunioni, però poi le ricerche le hanno fatte dei gruppi di giovani, io ho partecipato alla fase preliminare, organizzativa, poi il lavoro sul campo l’hanno fatto i vari gruppi, nelle varie città. Forse può trovare qualcosa quando va allo Sturzo.
PATRICK: Sì, allora chiederò, grazie.
MARIA GRAZIA: Chieda, hanno senz’altro tutto su quella ricerca. Il segretario generale di allora era Flavia Nardelli, lei ha coordinato questo progetto con De Rosa naturalmente, che aveva salvato gli archivi e si era preoccupato appunto di fare anche una raccolta di testimonianze orali, prima che sparissero tutte le tracce.
PATRICK: Penso che sarebbe interessante riprendere il lavoro che Lei ha portato avanti sull’Europa, mi è piaciuto molto.
MARIA GRAZIA: Sarebbe da continuare. Ho fatto una serie di interviste con i negoziatori, ma anche con altri, perché, per esempio, ci sono molte interviste fatte ad Antonio Giolitti che è stato commissario. Poi, bellissime le interviste che ho fatto con Antonio Ruberti che è stato un personaggio bellissimo per me, ed entusiasta di partecipare a questo progetto. L’ho intervistato sotto due profili: come ministro dell’università e della ricerca scientifica e come ex rettore della Sapienza, e anche come commissario europeo per la ricerca scientifica. Interviste bellissime che sono state pubblicate, perché la figlia, insieme a un professore del CNR, ha fatto un volume in ricordo del padre e questa mia intervista si trova in quel volume. L’intervista è proprio bellissima, perché Ruberti ci teneva, l’ha fatta con grande interesse, con grande entusiasmo e ha detto delle cose interessantissime, era stato un grande rettore.
Poi ho condotto una ricerca sulla Fisica, perché avevo qualche soldo da spendere del fondo di ricerca e allora ho finanziato questo progetto, perché agli intervistatori bisogna pur dare qualcosa, non si possono sempre avere volontari o comunque sono dei giovani che hanno bisogno di qualcosa. Un’altra ricerca è stata quella sulla Scala di Milano. Erano gli anni in cui tornavo da Milano a Roma. In quel periodo ero a Scienze politiche a Milano dove insegnavo Storia del Risorgimento, ma continuavo a occuparmi di Europa nella Scuola di specializzazione e poi tornavo a Roma dove avrei chiesto la cattedra Jean Monnet per fare la Storia dell’integrazione europea.
PATRICK: In che anni siamo?
MARIA GRAZIA: Siamo nel 1990-92. Quindi, a Milano è partita la ricerca sulla Scala e a Roma invece ho fatto partire la ricerca sulla storia delle ricerche scientifiche in Italia, la politica della ricerca in Italia. In quell’occasione è stata molto importante la ricerca fatta con Ruberti ed è stato lui che mi ha dato lo spunto per questa ricerca alla scuola di fisica, perché quando gli ho chiesto dove erano le menti più brillanti della Sapienza, lui mi ha detto che erano o a Lettere o a Fisica. E allora ho detto: «Sì, certo, Fisica, lì ci sono gli allievi di Fermi e ce ne sono ancora». Allora in quel momento è nata l’idea di intervistare questo gruppo di fisici della Sapienza. E ne è venuta fuori una bella ricerca, alla quale avrei dovuto partecipare. Ero responsabile del progetto e avrei dovuto anche partecipare alle interviste, mi sarebbe interessato molto, però ho visto che non ce la facevo. Prima di tutto, perché questi personaggi erano sempre lì dietro all’ultimo esperimento, bisognava corrergli indietro, letteralmente. Poi, avevo moltissimo da fare, perché con i progetti sull’Europa viaggiavo molto. A Fisica c’era questa ricercatrice, Luisa Bonolis, era una fisica e viveva lì dal mattino alla sera nel loro istituto e quindi lei poteva incontrare gli intervistati nel momento giusto, ma non è solo per questo che ho chiesto il suo aiuto in questo progetto. La mia esperienza mi ha insegnato che il testimone colloca il suo racconto a livello al quale pensa che si trovi colui che lo deve ricevere, quindi, se l’intervistato ha di fronte una persona che ha la sua preparazione di fondo per ascoltare questo tipo di testimonianza, si può evitare che la narrazione si appiattisca su un livello divulgativo. È evidente quindi che era importante che fosse un fisico a intervistarli. A volte sono riuscita a partecipare anche io alle interviste e il fatto che fossimo in due è stato molto interessante.
Le raccontavo prima della mia ricerca sui Trattati di Roma, con i negoziatori, una ricerca che è nata nel momento in cui ho avuto la possibilità di incontrare l’ambasciatore Ducci. Avevo in mente una ricerca di questo genere da tempo, perché nei miei studi avevo letto un volume sull’accordo quadripartito per Trieste, scritto in lingua inglese, che si basava proprio sulle interviste ai quattro negoziatori. Il confronto delle testimonianze dei partecipanti l’ho trovato molto interessante, molto utile per analizzare il negoziato. Quindi mi è venuta l’idea di fare una ricerca di questo tipo sui Trattati di Roma. A un certo momento, il successore del mio maestro Vedovato, che era andato in pensione, aveva invitato l’ambasciatore Ducci, una delle figure di prua del Ministero degli Esteri, uno dei diplomatici di spicco; lui e Gaia, i due Roberti, Roberto Ducci e Roberto Gaia. Questo professore li ha invitati tutti e due, prima uno e poi l’altro e mi aveva chiesto di occuparmi di loro, nei rapporti con gli studenti, assisterli durante un corso integrativo. Il professore mi aveva estromesso da tutto una volta che era subentrato a Vedovato, però qualcosa dovevo pur fare. Quindi, ho proposto il mio progetto di raccolta di interviste e a Ducci piacque moltissimo, lo divertiva. Ha organizzato gli incontri con gli intervistati nelle sei capitali in quattro e quattr’otto, con alcune telefonate, da sola ci avrei impiegato qualche anno e chissà con quale risultato. Questo ha permesso lo svolgimento delle cose, ma è stato anche utilissimo nello svolgimento del progetto. Ci fermavamo sempre almeno due giorni nel luogo dell’incontro, il primo era dedicato a una pre-intervista e poi approfondivamo la ricerca nel giorno successivo. Non c’era nessun problema di creare l’atmosfera, perché gli intervistati erano colleghi di Ducci, si davano del tu, quell’atmosfera si creava immediatamente, cioè, si trovavano immediatamente nella situazione migliore per rievocare quel periodo. D’altra parte, la mia presenza era importante, non solo per certi aspetti metodologici, ma soprattutto perché io ero l’interlocutore nei confronti del quale aveva senso raccontare una cosa come nuova, altrimenti molto avrebbe potuto essere taciuto, detto fra le righe, sottinteso, inutile da dirsi, capito? E poi anche la diversità delle domande che potevo porre io.
PATRICK: E forse anche un rapporto…
MARIA GRAZIA: Un rapporto diverso anche dal punto di vista generazionale, c’era anche questo, sì, certo. Insomma, è stata molto felice questa ricerca, è riuscita bene, non abbiamo avuto nessun dispiacere.
PATRICK: Che non è male!
MARIA GRAZIA: Non è male, da nessun punto di vista. Poi questo grande aiuto della Fondazione Jean Monnet di cui Ducci era membro e che poi a sua volta mi ha introdotto nella Fondazione. Anche il rapporto con la Fondazione è stato interessantissimo, è stato ed è. Questa è la storia della ricerca sui Trattati di Roma, però anche la ricerca di cui le parlavo prima, con i fisici, è importantissima. I risultati sono stati pubblicati su questo volume, Fisici italiani del tempo presente, ci sono tutti i fisici, anche l’ultimo premio Nobel, Parisi.
PATRICK: Volevo proprio chiederle se c’era anche lui.
MARIA GRAZIA: Come no! Ce n’era anche un altro, adesso non mi ricordo il nome, era molto vicino al Nobel. Nelle interviste raccontano anche il come e il perché, come vanno queste nomine e questi conferimenti del Nobel; gli americani sono molto aggressivi nella competizione per questi riconoscimenti. Uno degli aspetti interessanti è che nelle loro ricerche presentano i risultati, ma nelle interviste raccontano anche come e perché sono diventati fisici, attraverso quali percorsi, qual è la vita di questa comunità. Una comunità molto coesa e sono poche le comunità scientifiche che hanno un rapporto così stretto al loro interno, si sposano anche tra di loro, una cosa incredibile. Raccontano anche come sono arrivati lì lì per trovare qualcosa e poi hanno sbagliato, questo non lo dicono quando presentano i risultati nelle loro pubblicazioni scientifiche. A un certo punto, uno di loro aveva cercato di far tradurre il volume, ma poi si vede che non ha avuto tempo per seguire la cosa. Io sono riuscita a farlo pubblicare da Marsilio poi basta, la traduzione in inglese sarebbe stata utile, ma ci avrebbero dovuto pensare loro.
Un’altra bella intervista che è stata pubblicata è stata quella con Riccardo Monaco, perché anche lì è stato fatto un volume su di lui e mi hanno chiesto di inserire questa intervista. Riccardo Monaco era capo dell’Ufficio trattati del Ministero degli Esteri nel dopoguerra e ha fatto una bellissima intervista, molto lunga, perché lui ha seguito gli affari europei in quel primo periodo, gli anni della piccola Europa, quando le persone che hanno tenuto in mano la costruzione europea erano poche centinaia in tutto l’insieme della piccola Europa. Quindi è stata un’intervista importante, persone che volevano lasciare traccia di quello che avevano vissuto, essendo coscienti dell’importanza di questo. Un’altra intervista molto bella è stata quella con Mario Pedini che si è occupato molto di Africa, di cooperazione allo sviluppo.
Un personaggio che non ho mai intervistato e che avrei voluto intervistare, ma che era stato restio, è stato il mio secondo maestro, Giuseppe Vedovato, perché anche lui era un bel testimone. A parte il fatto che Vedovato ha scritto moltissimo, diciamo che si è intervistato da solo in lungo e in largo, ma poi continuava a rimandare e alla fine non l’abbiamo fatta. Lui ha lasciato un archivio molto completo, ha scritto moltissimo, quindi credo che avrebbe aggiunto poco dal punto di vista dei fatti, ma certo altre cose a volte possono sempre nascere dall’intervista e non soltanto riguardo ai fatti.
PATRICK: Quindi, abbiamo parlato della sua ricerca sui Trattati di Roma.
MARIA GRAZIA: Abbiamo parlato dei programmi della Commissione europea. Poi, l’attuale posizione della storia orale nell’accademia, mi sembra ormai una posizione consolidata.
PATRICK: Leggendo lo statuto della Società per la storia orale, ho visto che vi eravate dati un limite di 20 anni, come mai?
MARIA GRAZIA: Non so, questo limite l’ha un po’ fissato il notaio. Vent’anni sono un periodo abbastanza lungo, anche per l’impegno. Poi nulla ci avrebbe impedito di continuare volendo, però, tutto sommato, come Lei sa, è impegnativo questo lavoro. Quando mi sono trovata a Roma, c’è stato un momento che avevo anche più di due insegnamenti e poi i viaggi, gli impegni con la Fondazione Jean Monnet, questo e quello. Delle brave ricercatrici mi hanno aiutato a portare avanti il progetto sulla politica della ricerca scientifica, come, per esempio, Ilaria Lasagni. Una persona interessante che ho conosciuto a Milano durante un convegno sulle fonti orali, non mi ricordo dove, mi pare neanche proprio a Milano, ma in un altro luogo. Lei si occupava di storia orale e da allora l’ho seguita nelle sue ricerche, per esempio, ha fatto una cosa interessante, la storia del suo liceo. Ha scritto un libro di storia basato anche su interviste, sul liceo di Crema, un’antica scuola che nei secoli si è trasformata da scuola di un ordine religioso in una scuola comunale, poi statale, eccetera. Poi ha portato avanti alcune interviste nel Nord Italia, altre sono state fatte invece a Roma, alcune le ho fatte io, insieme ad Antonella Cristiani, che poi si occupava delle trascrizioni. Io non ho mai fatto trascrizioni devo dire, è un lavoro troppo duro, per carità, e poi non è facile farle.
PATRICK: No, non è semplice.
MARIA GRAZIA: Non è semplice, perché non bisogna modificare, ho sempre chiesto di non modificare neanche gli incipit, in prima battuta, semmai farlo al momento della bella copia, dopo aver fissato un criterio in relazione a ogni intervista. Però è faticoso fare la trascrizione.
PATRICK: Sì. Adesso sto trascrivendo tutte le videointerviste per il mio progetto di dottorato, perché non è mai stato fatto.
MARIA GRAZIA: Mamma mia! È un lavoro in sé.
PATRICK: Eh sì. Come le dicevo, sono quasi 210 ore di registrazione, insomma, è un bel lavoro.
MARIA GRAZIA: Adesso con l’intelligenza artificiale questo è un lavoro che dovrebbe poter essere molto semplificato, no?
PATRICK: Sto provando vari strumenti, anche il riconoscimento automatico del parlato.
MARIA GRAZIA: Non sono ancora perfezionati gli strumenti.
PATRICK: No, devo dire di no. Ne ho usati vari e alcuni danno anche delle soddisfazioni, ma sempre per avere una prima versione.
MARIA GRAZIA: Sì, ma bisogna stare molto attenti, perché gli errori possono essere macroscopici.
PATRICK: Certo. Io lo vedo come un aiuto per avere una prima versione “grezza” sulla quale bisogna ritornare con il massimo impegno e attenzione.
MARIA GRAZIA: Certamente, con il massimo impegno, riascoltando e correggendo. Sì, però è già qualche cosa.
PATRICK: Sì, è già una parte di lavoro risparmiata.
MARIA GRAZIA: Alla fine questi strumenti si perfezioneranno. Io vedo per esempio i traduttori. Anni fa, negli anni Ottanta, mio marito aveva una segretaria che doveva occuparsi di scrivere lettere indirizzate anche a dei professori stranieri e allora mio marito ha deciso di comprare un traduttore. Prendo questa cosa e comincio a digitare: “Caro professore”, e che cosa mi dice il traduttore? “Expensive professor”! Ecco, adesso non succede, adesso i traduttori sono meravigliosi. Guardi, sembra una barzelletta, ma le giuro che non è inventato, “Expensive professor”. Se tanto mi dà tanto. In un po’ di anni le cose sono cambiate totalmente.
PATRICK: Sì, anche con questi programmi di riconoscimento automatico, “imparano”, si vede facendo dei test a distanza di mesi.
MARIA GRAZIA: Vede che progrediscono.
PATRICK: Provo a utilizzare lo stesso programma con lo stesso audio che gli avevo dato mesi prima e vedo che riesce a riconoscere più parole.
MARIA GRAZIA: Poi ci sono anche le parole che non si riesce a capire bene.
PATRICK: Certo.
MARIA GRAZIA: O i “bianchi”, proprio la mancanza di parole per qualche incidente qualsiasi.
PATRICK: Sì, è un lavoro quello della trascrizione. Poi quando si trascrivono interviste fatte da altri, secondo me è ancora più complicato. Nel mio caso, vedo che ho bisogno di quel momento per entrare nell’intervista.
MARIA GRAZIA: Certo, perché è tutto nuovo. Non sa come va a finire e la deve ascoltare prima.
PATRICK: Ascoltare, entrare nell’argomento, familiarizzare proprio.
MARIA GRAZIA: Assolutamente. Sì, è molto più difficile se non è stata fatta l’intervista.
PATRICK: Sì, perché quando invece si trascrive la propria intervista, almeno dalla mia esperienza, è un po’ più semplice, non so come dire, ti richiama alla memoria quello che è successo e l’hai vissuto in prima persona, è più immediato, è un’operazione un po’ più immediata.
MARIA GRAZIA: Comunque la trascrizione deve essere rivista da chi ha fatto le interviste, assolutamente.
PATRICK: Sì, però se questa persona non c’è più, lì diventa difficile.
MARIA GRAZIA: No, ma dico dall’intervistatore.
PATRICK: Sì, certo.
MARIA GRAZIA: Io ho sempre rivisto l’intervista e le ho corrette prima di darle all’autore orale. Comunque, ho notato che i testimoni si preparano.
PATRICK: Sì, poi si vede bene anche la differenza tra chi è un po’ più pronto all’intervista.
MARIA GRAZIA: A suo agio.
PATRICK: Sì, mi viene da dire, quasi più allenato all’intervista. Diverso da chi invece sembra quasi preso alla sprovvista, anche se viene avvisato per tempo, coinvolto con telefonate e preparato.
MARIA GRAZIA: Io trovo molto importante sia la pre-intervista che la post-intervista. La pre-intervista, soprattutto quando non c’è un rapporto personale con il testimone, uno non può arrivare lì all’improvviso.
Adesso che ci penso, mi è venuto in mente che non le ho parlato di un altro libro importante, che ha avuto una grande diffusione, l’intervista a Oronzo Reale; il volume si intitola Oronzo Reale: 1902-1988. Storia di vita di un repubblicano storico. Una lunga serie di incontri, tutti i sabati andavo a casa sua e parlavamo. Mi ha raccontato tutta la sua vita, quando era ragazzo, il periodo fascista, la sua famiglia, i suoi fratelli, e poi la vita del partito repubblicano. Il libro è stato pubblicato sempre da Marsilio nella collana Ricerche.
PATRICK: In che anni siamo?
MARIA GRAZIA: Dunque, io ero tornata a Roma, quindi primi anni Ottanta, perché quando sono tornata a Roma ho intervistato Cesidio Guazzaroni che era suo nipote, ambasciatore, aveva sposato la figlia di Egidio Reale. Furono loro a volere la pubblicazione e hanno finanziato la stampa con la casa editrice Marsilio. È stato un volume molto commentato sui media, perché Reale era un repubblicano storico, quindi interessava. Il libro è stato presentato alla Camera, anche lì grande attenzione, c’era Stefano Folli, repubblicano anche lui, che ha condotto l’evento, è stata una bella presentazione, un libro molto interessante con un bell’apparato critico di note che ha fatto il mio collaboratore, Giampaolo Malgeri. Sì, quello è un bell’esempio di presentazione, perché c’è anche un problema di presentazione delle fonti orali.
PATRICK: Di restituzione della ricerca.
MARIA GRAZIA: Certo. In un’intervista di tipo politico come quella con Oronzo Reale, diventa importante l’apparato critico, perché lui cita avvenimenti, persone e quindi bisogna dar conto al lettore di tutto questo, altro lavoro in più. Però alla fine si ha una documentazione corposa, un’intervista che si è tradotta in un lavoro storiografico serio. E di questo secondo me c’è bisogno, peccato che non ci sia un gruppo che porta avanti questo filone della storia dell’élite.
Comunque, Lei, da come mi ha raccontato, è un tutt’uno, si occupa della conservazione delle fonti orali in biblioteca e lavora come ricercatore volontario su queste fonti, questa è una cosa che la può aiutare a rimanere sul tema in modo non troppo faticoso.
PATRICK: Sì, questo è vero, una figura ibrida.
MARIA GRAZIA: No, complementare, una complementarità giusta mi pare.
PATRICK: Sì. Negli Stati Uniti se ne parlava già negli anni Ottanta, mi sembra, il rapporto tra bibliotecari, biblioteche e storia orale. Il bibliotecario che, da una parte, si doveva occupare della fonte, ma che allo stesso tempo poteva diventare intervistatore per coinvolgere la comunità e soprattutto creare un rapporto tra l’istituzione e la comunità, e avvicinare le persone attraverso la storia orale. Nel 2018 è poi uscito un libro su questi argomenti, Oral History in Your Library.
MARIA GRAZIA: La biblioteca va bene soprattutto per fonti di vario genere, ma non tanto per le fonti politiche, perché queste possono avere bisogno di una particolare tutela, quindi gli archivi sono più adatti. Certe testimonianze, per esempio, possono essere segretate in tutto o in parte, quindi questo nelle biblioteche è già più difficile da garantire.
PATRICK: Sì, chi si occupa di queste fonti dovrebbe avere quella sensibilità di capire, ascoltandole e lavorandoci sopra, che certe informazioni non possono essere messe a disposizione. Quindi fare il lavoro dell’archivista all’interno della biblioteca.
MARIA GRAZIA: Sì, perché ci sono testimonianze che coinvolgono altri soggetti.
PATRICK: Sì, quello è un tema. Bisogna prestare particolarmente attenzione a quello. Nelle interviste che sto analizzando per il mio progetto di dottorato, mi sto accorgendo che vengono coinvolte persone ed espressi giudizi, in quel caso bisogna stare attenti a come gestire questo tipo di informazioni.
Direi che a questo punto abbiamo parlato di tante cose. Mi è chiara anche la posizione che la Società per la storia orale occupava all’interno del mondo della storia orale in Italia e anche i suoi rapporti con le altre realtà.
MARIA GRAZIA: Avevamo un buon rapporto con Rigoli, per esempio, abbiamo organizzato con lui questo convegno alla Discoteca di Stato. Ha ospitato degli articoli, anche i miei, sulla rivista Etnostoria. Non so se esiste ancora questo signore, Aurelio Rigoli, era etnologo forse. Sì, per i rapporti con le altre comunità, può darsi che Lei trovi qualche cosa nell’archivio di De Rosa, su suoi rapporti personali.
PATRICK: La ringrazio. Comunque, mi ritrovo molto in quello che scriveva Lei in quel manualetto Istor. Mi sento più vicino a questa “scuola americana”, a una certa sistematicità quando si vuole mettere in piedi un progetto di storia orale. Quindi, occuparsi subito, prima di iniziare, di ciascun ambito della storia orale: dove conservo le interviste, come trascrivo, come faccio le interviste, il problema della privacy o delle questioni delicate che possono emergere.
MARIA GRAZIA: E tutto questo poi è in relazione a un genere di storia orale che uno fa, perché, a seconda del genere, tutte queste modalità cambiano.
PATRICK: Cambiano, sì, però bisogna prendere in considerazioni tutti gli aspetti. E quindi io non mi trovo così vicino a un modo di fare storia orale che non prende in considerazione tutto questo, a partire dall’archiviazione.
MARIA GRAZIA: Perché per loro la finalità è diversa, non è scientifica, non è tecnica, ma è probabilmente un obiettivo che vogliono raggiungere con l’intervista, cioè, un uso che si vuole fare dei contenuti. Si vuole ottenere, probabilmente, un risultato sociopolitico, non un risultato scientifico, un risultato tecnicamente giusto.
PATRICK: Sì, io vado oltre, secondo me alla fine è tutto fine a sé stesso. Nel senso, in questo modo, senza archiviazione, non si dà profondità alla ricerca, ripeto non si dà futuro, non so, è come se usassi un documento d’archivio e poi lo buttassi nelle fiamme.
MARIA GRAZIA: Sì, ma io direi che la domanda non bisogna porsela alla fine, bisogna porsela all’inizio, cioè a che cosa serve questo documento che vado a produrre?
PATRICK: E questa domanda, dal mio punto di vista, non so, o non viene posta o viene posta alla fine e quindi cosa succede? Io, nel 2021, faccio fatica ad accettarlo, faccio fatica ad accettare un’impostazione di questo tipo che non prende in considerazione l’aspetto dell’archiviazione. Sarà che sono bibliotecario da ormai 12 anni, e che fa parte della mia formazione mentale, ma la questione della conservazione, la presenza di una documentazione di corredo e di una descrizione anche semplice, dobbiamo pensare a tutto questo.
MARIA GRAZIA: Ma ci sono dei campi in cui quello che viene considerato è proprio lo svolgimento dell’intervista in sé. Ci sono dei campi in cui questo può essere sufficientemente valido, per esempio, se io faccio interviste ad anziani, a scopo terapeutico, per aiutarli nella riconciliazione con sé stessi, vabbè, tutto finisce lì, nell’esercizio. Probabilmente, non ha senso raccogliere e conservare queste interviste, ciò che conta è il momento in cui avviene questo scambio, in cui avviene questo processo, e in cui si sviluppano degli effetti nella mente e nella sensibilità dell’intervistato, ma questa non è storia orale, questa è terapia psicologica. Chiediamoci qual è la finalità in base alla quale si decide di fare un progetto, si decide, e tutto nasce in quel momento lì. Quando si progetta si sa come bisogna trattare e come bisogna utilizzare e conservare, va tutto determinato a priori, sicuramente. Questi giochi che finalità hanno? Questo è il punto, la prima domanda da porsi è, a chi servono? E quindi tutto discende poi da queste risposte. Come si preparano questi giochi? Perché l’intervista si prepara, c’è uno studio approfondito del personaggio, della sua storia, della sua vita, del mondo in cui si è trovato e che l’ha circondato, dei vari problemi. Non è che uno va lì con un microfono, porge un microfono oppure va lì con delle domandine precise e puntuali, entrambi gli approcci sono sbagliati, perché poi non si sa che cosa nascerà dalla situazione di intervista.
PATRICK: La ringrazio, è stato veramente bello e interessante.
MARIA GRAZIA: È stato un piacere anche per me. Tanti cari auguri.