di Gloria Nemec
A partire dagli anni ’80, una buona storiografia sociale si è addensata sull’area del monfalconese con l’intento di documentare – anche attraverso l’uso di fonti orali – la qualità della vita, del lavoro, delle opzioni politiche della classe operaia della navalmeccanica tra fascismo e secondo dopoguerra. La forte integrazione del proletariato della cantieristica in area alto-adriatica era stata uno dei fondamenti della lotta resistenziale e banco di prova dell’internazionalismo proletario. Nessun dubbio che l’occupazione nei Cantieri fosse una benedizione per chi fuggiva da una dura miseria rurale e dalle devastazioni di due guerre mondiali, né che l’inserimento in un contesto culturale di classe fosse fattore di emancipazione. A lungo rimasero ignorati i temi relativi alla sostenibilità delle mansioni e ai rischi per la salute, stentarono a trovare legittimazione politica e acquisizioni scientifiche fondate su rilievi ambientali. Sino agli anni ’70, la nocività dell’ambiente di lavoro era contemplata attraverso un elenco di situazioni pericolose, dalla rumorosità all’uso di vernici sino al rischio di infortuni mortali; ma a inizio decennio, con l’ingresso in Italcantieri di Medicina del lavoro di Trieste, si apriva la strada per indagini più specifiche, anche se all’uso del termine “amianto” si preferiva la generica definizione di “polveri”.
I lunghi periodi di latenza – sino a 40 anni – prima della comparsa degli effetti più devastanti dell’esposizione, sino al mesotelioma pleurico, avevano oscurato l’eziopatogenesi delle forme morbose, favorendo in ambiti operai una percezione fatalistica del rischio. L’andamento epidemico dei tumori si rivelava nel decennio successivo, inducendo una moltiplicazione di convegni e ricerche, di risonanza locale e nazionale. La legge 257 del 1992 finalmente comportava la messa al bando dell’amianto, precisava le diverse situazioni di rischio ed esposizione, istituiva vantaggi previdenziali, a fronte di una crescita spaventosa dei decessi per patologie correlate (stimati in 4400 all’anno).
Attorno a tale “strage silenziosa” si sono mobilitati vari specialisti (ingegneri, medici, avvocati, sindacalisti) e si sono realizzate forme di risarcimento simbolico (i processi) e monetario; ma è mancato l’ascolto dei protagonisti e delle famiglie colpite, del tutto assente un’indagine qualitativa sulle ricadute comunitarie, le forme di elaborazione del lutto, la trasmissione del trauma alle generazioni successive.
L’attuale ripresa delle ricerche, grazie al progetto promosso dall’Associazione “Ubaldo Spanghero”, in collaborazione con la CGIL – Camera del Lavoro CGIL di Gorizia e con l’INCA CGIL – provincia di Gorizia, intende dare centralità alle memorie familiari attraverso una raccolta di testimonianze. È in corso di formazione il gruppo di intervistatori, accompagnato dal tutoring di Gloria Nemec. Il primo avvio delle interviste consente di mettere a fuoco una griglia tematica complessa: le ristrutturazioni familiari e comunitarie dopo la malattia e morte di un congiunto; l’assenza – “il vuoto di un’amputazione”- può comportare silenzi e rimozioni nella vita dei quartieri operai e del territorio; la condivisione della sofferenza può essere parziale e lasciare ai margini lutti tristemente solitari; le fratture di classe\sindacali\di genere rispetto alle posizioni nell’organizzazione del lavoro possono aver determinato gerarchie anche nelle forme di risarcimento ed elaborazione del lutto, come nel caso delle donne colpite per esposizione nell’ambiente familiare, o in quanto pulitrici, cuoche, ecc.; di rilevante interesse anche i temi relativi al rapporto con le celebrazioni sulla scena pubblica, alla trasmissione nei confronti delle giovani generazioni, all’evoluzione del discorso sul diritto alla salute dentro\fuori i cantieri.
Per ragionare su tutto ciò con la cittadinanza e dare impulso alla raccolta di testimonianze è stato organizzato il seminario del prossimo 27 maggio a Monfalcone – sala convegni di Marina Lepanto. Si confronteranno studiosi di diverse discipline: le storiche Annamaria Vinci, Gloria Nemec, Chiara Fragiacomo; l’avvocato giuslavorista Giancarlo Moro; l’ingegnere ed esperto di sicurezza sul lavoro Umberto Laureni; lo psichiatra e psicoanalista Paolo Fonda; il medico del lavoro Luigi Finotto, direttore del Dipartimento di prevenzione.