Non avevo bene idea di che cosa ne avrei ricavato; speravo che mettendo insieme i loro frammenti, le cose diverse che ognuno di loro sapeva o credeva di sapere, avrei capito meglio qual era la storia. Volevo riempieri i buchi della memoria difensiva. Volevo i nudi fatti.
“Ah!” disse mia madre con un risolino quando le spiegai i miei propositi. “I fatti. Non saranno mai i fatti, lo sai, vero?”
“Certo che lo so. Ti ricordo che ho studiato letteratura.”
“E sai anche che ci saranno almeno cento versioni diverse di tuo padre a seconda di chi parlerà.”
Sì, lo sapevo. (p. 49)
Nel 2020 esce per Bompiani il libro di Marta Barone Città sommersa, un romanzo autobiografico della giovane scrittrice – classe 1987 – sulla storia degli anni Settanta nella città di Torino attraverso la ricostruzione della vita di suo padre.
L. B., il padre dell’autrice, era un uomo nato nel 1945 in Puglia che da giovane si era trasferito a Torino, dove era diventato medico e aveva militato in Servire il popolo; nel 1986 veniva accusato di essere parte dell’organizzazione Prima linea e nel 1987 nasceva sua figlia Marta. Prima che venga a mancare, Marta Barone non conosce granché del passato politico di suo padre, del resto neanche se lo domanda e glielo domanda. Il suo interesse nei confronti della vita di L. B. emerge poco dopo la sua morte, ovvero quando l’autrice ritrova in casa della madre la memoria difensiva che l’avvocato del padre aveva presentato in Cassazione prima del terzo processo per “partecipazione a banda armata”.
Possibile che non avessi visto su di lui nessun segno, mai, del passato? Cosa avevo ignorato, cosa avrei potuto chiedergli? Avrebbe cambiato qualcosa? […] Chi sei? pensai, e quel pensiero suonò quasi come un grido. (pp. 83-84)
Inizia così un viaggio nel passato di L. B., nella sua vita pubblica prima del processo (1986) e in quella privata prima della nascita della figlia (1987), attraverso i documenti dell’epoca e i racconti di oggi di alcune delle persone a lui vicine negli anni della giovinezza. Chi stimola i ricordi e le memorie di questi uomini e di queste donne attorno alla figura di L. B. è la figlia, ormai trentenne, che, ripercorrendo la storia del padre, decostruisce e costruisce anche se stessa.
Cercando di ricostruire mio padre ero stata obbligata a volgermi all’indietro, a ricordare cose che credevo già di ricordare, a tentare di ricostruire cose cancellate; ero stata costretta a esaminare il mio passato che mi sembrava tutt’intero, evidente. La storia di mio padre, dunque, come una grande conchiglia madreperlata, sotto la valva conteneva la mia: la mia, che già credevo di possedere e in cui invece trovavo una nuova linea, una nuova verità. La mia vita vera, qualsiasi cosa avessi deciso di farne. (pp. 286-287)
Città sommersa è un romanzo che ci parla di tempi: passato e presente vengono intrecciati magistralmente nei racconti di sé e dell’altro e nella narrazione della città, Torino, protagonista del libro insieme ai suoi uomini e alle sue donne. Città sommersa è un romanzo di memoria, o meglio di memorie: le memorie individuali, familiari, collettive, pubbliche emergono e si intersecano nelle storie di L.B. e di Marta e in quelle delle persone che hanno animato uno dei gruppi politici degli anni Settanta. Città sommersa è un romanzo di generazioni: quella di L. B. e di chi ha fatto attività politica durante la stagione dei movimenti e quella di Marta Barone e degli oggi trentenni, spesso figlie e figli di genitori con un passato da militanti. Città sommersa è un romanzo che ci parla anche di storia orale, innanzitutto perché ci sono le interviste, seppure nel testo non vengano chiamate così: nelle pagine di questo bellissimo libro ci sono spesso citazioni virgolettate, a volte nella forma dialogo, delle testimonianze che l’autrice ha raccolto – se le storie di vita sono state realmente donate alla Barone, come dichiara lei stessa nei ringraziamenti finali, non è chiarito quanto di quello che è stato riportato nel testo, nomi e parole, sia reale o romanzato. La storia orale, inoltre, entra in questo libro perché l’autrice-intervistatrice si mette in gioco in prima persona, costruendo il suo corpus di interviste e conducendo chi legge a (ri)conoscere le emozioni che possono accompagnare una raccolta di storie di vita, o almeno quelle che finora hanno accompagnato il mio percorso di storica orale.
avevo paura che non si fidasse di me. Ma anche che non ricordasse con abbastanza precisione, o non avesse voglia di farlo. Avevo paura di invaderla; avevo paura di dire cose inopportune. Ma quel fremito, quel richiamo… (p. 67)
Quando ho comprato Città sommersa non credevo di trovarmi davanti a un romanzo di memorie né tantomeno di ritrovarmi in buona parte di esso: me lo avevano suggerito durante la presentazione della mia ricerca sull’antifascismo militante degli anni Settanta e avevo deciso di leggerlo perché sapevo che era un libro su quel decennio scritto da chi non lo aveva vissuto, una mia coetanea.
“Tu sei di un altro mondo. Tu guardi a queste cose con sbalordimento, con ironia. Ed è comprensibile. […] È importante che tu conosca il linguaggio, per capire” (pp. 116-117),
dice all’autrice uno dei suoi intervistati di Servire il popolo – ah, quante volte mi sono sentita dire che non posso capire gli anni Settanta perché non c’ero! Città sommersa, in effetti, parla anche di quel periodo storico e in particolare dell’Unione dei marxisti-leninisti, meglio conosciuta come Servire il popolo, uno dei gruppi della sinistra extraparlamentare della stagione dei movimenti di cui, tuttavia, ci si è ancora poco occupati. Questo libro ha infatti il merito di colmare un vuoto nella letteratura critica sull’argomento, avendone fatto una ricostruzione degna di nota grazie ai racconti delle sue militanti e dei suoi militanti. Devo ammettere che non mi aspettavo di trovarci Servire il popolo: sia perché è un’organizzazione la cui storia desta (la mia) curiosità ma di cui non è facile trovare traccia, sia perché, dopo la scoperta delle carte processuali di L. B., credevo ci si concentrasse su Prima linea e invece questa rimane sullo sfondo.
Tuttavia, ancor più sbalorditivo e intenso è stato ritrovarci pezzi della mia storia. Ho la stessa età dell’autrice e ho un padre che ha militato nella sinistra extraparlamentare, ma che ha sempre taciuto quando si trattava di parlare di quegli anni, “non ricordo… non è importante…”, mi ha sempre detto. Inoltre, io che non ho mai fatto politica, ho deciso di lavorare proprio sul decennio Settanta, ricostruendone la memoria attraverso le fonti orali. L’ho fatto perché curiosa, per interesse, per conoscere un periodo storico di cui poco sapevo e anche, rendendomene conto solo più tardi, per comprendere la mia storia familiare e personale.
“Ma perché vuoi raccontare questa storia? […]” Non era la prima volta che mi chiedevano perché, e ognuno cercava di trovare una spiegazione. […] A nessuno veniva in mente la spiegazione più semplice: che si trattava soltanto di un atto di interesse. (pp. 272-273)
Ho letto Città sommersa d’un fiato e, a distanza di tempo da quando l’ho finito, lo sento ancora con forza: la potenza della storia orale in un romanzo?
Marta Barone, Città sommersa, Bompiani 2020, pp. 304, €18,00