Monica Pacini, Donne al lavoro nella Terza Italia. San Miniato dalla ricostruzione alla società dei servizi, Edizioni ETS, Pisa, 2009
recensione di Antonio Canovi
La foto di copertina recita: “Lavorante a domicilio sulla soglia di casa”. Che non si pensi – l’avvertenza si rende necessaria – ad una donna in qualche modo reclinata sulla propria condizione domestica. La signora raffigurata guarda soddisfatta e divertita al mondo che gli scorre davanti, le gambe ciondolanti un po’ come si vedeva fare negli anni ‘50 alle ragazze che se ne stavano aggrappate sulla motoretta guidata dal fidanzato. Ma qui è la donna ad esser protagonista: seduta come si trova sull’asse della propria PFAFF, vuole dirci che questa macchina da cucire è tutta sua e, insomma, dentro casa più non la rinchiuderanno.
Siamo in un mondo locale che cambia – “San Miniato dalla ricostruzione alla società dei servizi” – analizzato attraverso l’esperienza di donne che stanno soggettivamente cambiando. Così per Annamaria, colta – in una tra le foto poste a corredo del volume – mentre se ne sta allungata sulla sedia davanti al vecchio camino di una semplice casa contadina, lei a braccia conserte in stivali e minigonna, al fianco i genitori in vesti che sono del lavoro quotidiano. E in quel dondolar domestico di ginocchia scoperte s’indovina qualcosa di più della rivalsa nei confronti della povera mezzadria toscana, il senso di una libertà intima, mostrata finalmente al mondo.
Il libro di Monica Pacini ha questa forza bella e rara, nell’economia di una ricerca dall’impianto storiografico rigorosissimo: il commento del dato statistico trova il controcanto di un’annotazione di costume, la descrizione di un determinato contesto sociale prende vita nelle sembianze di questa o quell’altra voce narrante. Quadri storici e narrazioni di memoria vengono riannodati al nostro tempo presente, per esserci restituiti con un garbo preciso che non è distanza, anzi, chiede ai lettori di farsi parte in causa nella medesima storia. Così per il capitolo sul lavoro a domicilio, passaggio cruciale quanto poco meditato nei processi di modernizzazione della donna italiana, dove siamo significativamente interrogati: “un passato senza futuro?”. Od ancora, nel modo in cui si problematizza l’approdo alla società dei servizi, prima mostrandoci come è cambiato il lavoro delle donne e poi invitandoci a sentire meglio ciò che “corre sotto pelle, prende corpo nella vita quotidiana e sui banchi di scuola”.
Una metafora, quest’ultima, che sembra attagliarsi bene alla scrittura storica prescelta da Monica Pacini per la sua appassionante monografia: mentre squaderna sempre nuovi dati informativi, ci fa sentire necessaria l’assunzione della prospettiva di genere per declinare la vicenda storica di una comunità locale.