In questo numero:
NOTIZIE AISO
Nuovo portale Aiso
LIBRI & VIDEO
Patrimoni sonori della Lombardia, L’ordine della follia, Val Chisone in guerra, Pianure migranti (tra Reggio Emilia e Argentina), La Cina è ancora lontana (vista dall’Algeria),
IN SCENA
Esuli, profughi, rifugiati e…(in una parola) migranti
RESOCONTI
Memory Studies and Oral History (Athens), Il lavoro narrato (Milano)
BANDI IN SCADENZA
Partenza senza ritorno? Migrazione ed esilio come forme esperienziali
LAVORI IN CORSO
Memoria delle deportazione: un progetto italo-sloveno
INCONTRI A…
Torino, Alessano e Melpignano (LE), Isola Povese (PG), Bellinzona
DA NON PERDERE
“Come un uomo sulla terra”: migranti africani e polizia libica su Rai3 il 9 luglio
ULTIMO SALUTO A
Ivan Della Mea
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NOTIZIE AISO
Nuovo portale Aiso – È in fase di progettazione e costruzione il nuovo portale dell’Aiso. Il sito, completamente rinnovato anche graficamente, intende configurarsi come un punto di riferimento per tutti gli studenti, ricercatori e semplici appassionati di storia orale. Un punto di ritrovo, di collegamento, di informazione e approfondimento. Un luogo dove trovare tutte le novità, i ocnsigli, i materiali, i link utili ad una ricerca che si basi sulle fonti orali. La gestione sarà collegiale e condivisa e cercherà di incanalare le competenze specifiche di tutti i membri dell’associazione. Al suo interno, oltre alle informazioni istituzionali sull’associazione, i suoi soci e attività, verranno creati due ampi spazi dedicati alle risorse on-line e alle proposte della redazione. Dalla prima sezione sarà possibile accedere a tutti gli strumenti on-line, siti, cataloghi, archivi riguardanti le fonti orali e già presenti in rete. Si cercherà quindi di riunire all’interno di un unico portale tutte le risorse necessarie alla ricerca. Sarà inoltre fornita la possibilità (con tempistiche ancora da definire), a singoli ricercatori e istituti, di inserire la descrizione dei materiali da loro posseduti all’interno di un catalogo gestito direttamente dall’AISO. Nella seconda sezione, grazie anche alla collaborazione di una parte dei redattori del notiziario, si proporrà agli utenti un’ampia serie di materiali utili all’aggiornamento e alla ricerca: bibliografie, recensioni, dibattiti e approfondimenti su attrezzature e metodologie di registrazione, catalogazione e conservazione dei materiali sonori e video.
Una parte dei contenuti del Notiziario, quindi, migreranno direttamente sul sito, verranno ampliati e resi più approfonditi. Il Notiziario diventerà più snello, una specie di promemoria e sommario delle “nuove uscite” pubblicate sul sito. (Alessandro Cattunar)
LIBRI & VIDEO
Renata Meazza e Nicola Scaldaferri (a cura di), Patrimoni sonori della Lombardia. Le ricerche dell’Archivio di Etnografia e Storia Sociale, Squilibri, Roma 2008.
Un volume con un ricco apparato iconografico, un cd (74 minuti) con canzoni e ballate della tradizione lombarda e altri documenti sonori raccolti dall’Aess, e con un dvd (95 minuti) che raccoglie materiali inediti (ritratti, feste religiose, rituali urbani, carnevali, scarpinanti), curato da Rossella Schillaci.
Un volume che restituisce e ricostruisce l’ampia e multiforme esperienza di questo archivio, e degli uomini e le donne che per esso e con esso hanno lavorato.
Un volume dedicato all’ispiratore e fondatore dell’archivio, Roberto Leydi (1928-2003). Un volume che si apre con una meravigliosa intervista a Sandra Mantovani, sua compagna di vita e di lavoro: le sue parole ci accompagnano attraverso l’immediato dopoguerra quando comincia la collaborazione con Nando Ballo all’«Avanti!», fino agli anni sessanta e settanta, quando Leydi lavora con Gianni Bosio, gli imbonitori e i cantastorie, Franco Coggiola, Ivan Della Mea, il gruppo di Piadena, Mario Lodi, Giovanna Marini, Bruno Pianta.
E proprio quest’ultimo nel primo saggio ci racconta come nasce nel 1972 l’Ufficio cultura del mondo popolare, poi Aess, e quali ambiti sono stati maggiormente approfonditi: la pianura e la risaia, la montagna e la miniera, i carnevali alpini, la musica da piffero, la piazza urbana.
Anche Guido Bertolotti ripercorre la storia dell’archivio e delle ricerche sul campo svolte dai numerosi collaboratori, in quasi quarant’anni di attività, con particolare attenzione alle metodologie, alle pratiche, alle questioni di stile che caratterizzano il “mestiere” etnografico, nel quale «la competenza si coltiva nella pratica sul terreno […] inizialmente a fianco di ricercatori più esperti a cui, soprattutto, si ruba con gli occhi, come l’apprendista nella bottega dell’artigiano». E oggi il carattere distintivo dell’Aess resta, secondo Bertolotti, quello intuito e lasciato in eredità da Leydi: «l’enfasi (forse un po’ lombarda) del “fare”, di un fare artigianale, in un certo senso e nel senso più nobile».
Di questo volume collettaneo, con saggi sulla ritualità pubblica religiosa e profana, sulla lingua dei canti tradizionali, sulle fiabe, mi piace segnalare il contributo di Serena Facci sull’utilizzo della musica tradizionale all’interno di percorsi didattici a scuola, in continuità con l’insegnamento di Diego Carpitella di avvicinare gli studenti alle tradizioni folkloriche attraverso i documenti sonori o visuali. E il saggio dell’autrice appare come un’utilissima guida rivolta agli insegnanti per utilizzare i materiali pubblicati nel cd allegato e curato da Nicola Scaldaferri: questo ripropone il vinile, Cultura tradizionale in Lombardia, curato da Roberto Leydi nel 1972, oltre ad altri documenti presenti in archivio; i brani sono raggruppati in modo da creare unità di argomento (mondine, minatori, racconti cantati, danza e strumenti, il coro e la montagna, filastrocche e canti gioco).
Il progetto nasce da una lunga e felice collaborazione con il LEAV-Laboratorio di Etnomusicologia e Antropolgia Visuale dell’Università di Milano. (Sara Zanisi)
Marco Adorni, Margherita Becchetti, Ilaria La Fata, Mario Ponzi, L’ordine della follia, DVD, Provincia di Parma e Centro studi movimenti, Italia 2009, 65’.
Secondo una modalità di lavoro che caratterizza il Centro studi movimenti di Parma (di cui testimonia anche il bel sito internet www.csmovimenti.org), questo documentario è la traccia di un percorso di ricerca collettivo (Se trent’anni vi sembran pochi. 1978-2008 La legge Basaglia ieri e oggi), sviluppato attorno all’esperienza e al significato di quella grande battaglia per la dignità e la democrazia che in Italia è evocata, per sineddoche, dal nome di Franco Basaglia (e Franca Ongaro).
Il documentario, centrato sulla vicenda dell’ospedale psichiatrico di Colorno (1969-71) – meno nota, anche perché più breve, di Gorizia (1961-69) e Trieste (1971-79) –, si dipana montando in contrappunto le interviste a cinque medici che, all’epoca appena laureati, vissero al fianco di Basaglia quella stagione di critica della psichiatria tradizionale che porterà al diffondersi delle correnti antipsichiatriche, alla fondazione di Psichiatria democratica (1973) e poi alla legge 180. In questa temperie davvero rivoluzionaria, il concetto stesso di malattia mentale viene ripensato radicalmente; il modello manicomiale, esempio di istituzione totale, è messo in questione come la società di cui è il prodotto. A Colorno, Basaglia la mattina fa riunione con i medici, il personale e i pazienti per decidere collettivamente (cioè democraticamente) delle attività della giornata – racconta uno dei suoi collaboratori, avendo cura di sottolineare l’enormità della cosa. Per i giovani medici che vi partecipano è un’esperienza umana e scientifica di quelle che segnano una cesura, che marcano un prima e un dopo, ancora oggi che hanno sessant’anni. Degli altri invece non sappiamo. La scelta di circoscrivere l’indagine a chi l’«istituzione» la dirige (fosse anche per distruggerla), rischia suo malgrado di coincidere con lo sguardo oggettivante del potere (psichiatrico). I pazienti, gli umiliati e offesi cui Basaglia voleva ridare dignità, compaiono solo in qualche foto mostrata rapidamente. Restano insomma muti, laddove invece il più basagliano Matti da slegare (Agosti e Bellocchio, 1975) e recentemente Un’ora sola ti vorrei (Alina Marazzi, 2002) riuscivano veramente a disarticolare l’ordine del discorso. (Andrea Brazzoduro)
Barbara Berruti e Andrea D’Arrigo, Una valle in guerra. Foto di gruppo in Val Chisone, Provincia di Torino, Consiglio provinciale – Comune di Perosa Argentina, Italia, 2009, 75’.
Una valle, una comunità montana, un’area al confine tra il Piemonte e la Francia. Le persone che la abitano e che l’hanno abitata. Il documentario curato da Barbara Berruti e Andrea D’Arrigo si configura realmente come una foto di gruppo della popolazione di quest’area, della Val Chisone. Dieci storie, dieci racconti di vita che si intersecano, si incontrano in punti precisi, nodi della memoria radicati nei luoghi, nelle date, nei compagni di viaggio. I ricordi degli anni del fascismo, periodo della gioventù e dell’inconsapevolezza. Periodo di rinunce e di compromessi da cui emergono però anche figure positive, come i Gütermann, fabbricanti di seta di Friburgo che negli anni trenta aprirono una filiale a Perosa Argentina. Una fabbrica per la macerazione e la pettinatura dei cascami di seta che diede lavoro a più di 1200 persone. Una fabbrica che per molto tempo volle dire lavoro, sicurezza, servizi sociali e protezione. E poi la guerra, la violenze e la dura ma necessaria presa di coscienza che segue l’8 settembre del 1943. La decisione di partire, di andare partigiano, di unirsi ad uno dei numerosi gruppi clandestini che si stavano formando. La liberazione, infine. I racconti dei testimoni si soffermano sulla vita quotidiana, sulla motivazione delle scelte compiute e sulle persone (amici, capi partigiani, compagni di battaglia) che hanno segnato il cammino. I ricordi e i primi piani dei protagonisti si alternano e si mescolano con i luoghi degli eventi e della memoria ripresi oggi, a colori, e con le fotografie conservate e riportate alla luce, fotografie in bianco e nero, che illustrano, arricchiscono e completano le narrazioni.
Il documentario – semplice ma rigoroso nell’impostazione e curato dal punto di vista visivo – nasce con fini soprattutto didattici. Le varie sezioni in cui è suddivisa la narrazione sono introdotte da alcune brevi didascalie che permettono allo spettatore meno esperto di contestualizzare i racconti dei testimoni. È anche possibile accedere ad un apparato di materiali collegati, innanzitutto le schede biografiche dei testimoni, e usufruire della possibilità di consultare integralmente tutte le interviste in formato dvd recandosi all’Istoreto. (Alessandro Cattunar)
Antonio Canovi, Pianure migranti. Un’inchiesta geostorica tra Emilia e Argentina, Diabasis, Reggio Emilia 2009.
Mi sembra ieri che Antonio parlava di questa idea di fare un viaggio di ricerca in Argentina. Ora l’idea è già diventata un libro. E’ uno dei casi in cui tra il dire il fare non c’è di mezzo il mare, neppure se si tratta dell’Oceano Atlantico. E già questo fa parte dell’esperienza della migrazione che è al centro del libro. L’Oceano per molti dei reggiani trapiantati in Argentina è un braccio sottile di mare che non li separa poi troppo della terra da cui loro o i loro genitori sono partiti alcuni decenni fa. Soprattutto se arriva un ricercatore, inviato da un gruppo di comuni della bassa pianura emiliana, a riattivare legami e ricordi, a dare un segno tangibile che l’Italia non li ha dimenticati. Gli si fanno incontro; lo coccolano e se lo passano di città in città; gli raccontano storie di famiglia, orgogli comunitari, saperi locali. La recente crisi economica – non l’ultima, mondiale, in cui siamo immersi, ma quella del 2001 che ha squassato proprio l’Argentina, facendo conoscere lo spettro della fame al paese della pampa fertile e dei grandi allevamenti – è all’origine di questo lavoro che nasce programmaticamente come ricerca-azione, strumento di conoscenza e attivatore di prossimità e solidarietà, all’interno di un progetto che si intitola “Argentina chiama Italia”. Ulteriore, palese conferma della versatilità della storia orale.
Canovi comincia l’immersione in Italia, scovando un capo del filo negli archivi e nelle memorie locali, e prosegue in Argentina, riprendendo in mano il filo e seguendolo lungo gran parte del paese. Incontra persone, raccoglie storie, assaggia i cibi e ascolta i suoni, cammina, osserva luoghi e paesaggi. Poi, tornato a casa, restituisce il suo viaggio in un racconto che ricorda le ricerche-reportage di Mario Maffi. Ecco l’incipit del libro, che ne condensa il tono complessivo: “A Buenos Aires, pardon Capital Federal, capita di sentire all’improvviso un fischio delicato, che si ripete come una cantilena. E’ la prima cosa che ho registrato […]. Me lo sono tenuto da conto e ho imparato a riacciuffarlo, nel traffico fragoroso della città. Camminando lungo strade infinite, per me che arrivavo dall’Italia, riconoscere quel fischio di primavera mentre calava misterioso dalla chioma di un albero è diventato un esercizio di addomesticamento. Stavo in America e insieme in un qualche posto amico”.
A corredare il libro c’è un cd-rom, curato da Daniele Castagnetti, che contiene documenti, fotografie e brani di interviste. (Alessandro Casellato).
Malek Bensmaïl, La Chine est encore loin, Unlimited/Cirta films/Ina, Algeria-Francia 2008, 118’.
Il titolo scelto da Malek Bensmaïl per il suo nuovo documentario (La Cina è ancora lontana), richiama inevitabilmente almeno quelli di Godard (La chinoise) e di Bellocchio (La Cina è vicina), entrambi del 1967, confermando in questa tela di rimandi le raffinate analisi di François Hartog sulla cesura intercorsa tra due diversi regimi di storicità: la prospettiva di una palingenesi (in quegli anni “la Cina”), un tempo vicina, si è ormai indefinitamente allontanata. Tuttavia Bensmaïl, nato a Constantine (Algeria, 1966) ma dal 1988 residente a Parigi, rende le cose meno lineari quando, nella sequenza finale del documentario, svela (al pubblico estraneo alla cultura arabo musulmana) che si tratta di un hadith del Profeta che in Algeria si impara sui banchi di scuola: «bisogna cercare il sapere fino in Cina». Ma se per Mohamed la conoscenza sta alla “Cina” come il poligono inscritto nella circonferenza di Cusano, nell’Algeria di oggi la Cina è una presenza visibile e concreta, con le centinaia di migliaia di operai delle imprese cinesi che monopolizzano i grandi lavori di edilizia pubblica e privata (terzo livello di lettura, economico).
Dopo un splendido documentario sull’ospedale psichiatrico di Constantine (Aliénations, 2004), Bensmaïl si concentra questa volta su un altro tema chiave della società algerina: la guerra di liberazione e la sua memoria. Per far questo sceglie un punto di vista particolare: una classe della scuola elementare di Tifelfel (sud est). La scelta è quanto mai opinata, non solo perché schiva lo sguardo centrale e accentratore di Algeri, ma perché è proprio qui, in questo sperduto villaggio di berberi chaouïa delle Aurès che il 1o novembre 1954 sono stati sparati i primi colpi della “rivolta” che nel 1962 strapperà l’indipendenza alla Francia coloniale. L’attentato che doveva spaventare il caïd Saddok e convincerlo ad unirsi alla ribellione non si svolge però come previsto: nell’autobus insieme al caïd ci sono anche Guy e Jeannine Monnerot, una coppia di giovani idealisti francesi che tiene la scuola di Tifelfel. Gli ordini del Fln sono chiari (non toccare i civili francesi), ma la tensione è altissima (come il dilettantismo dei combattenti) e una mossa falsa basta per far partire una raffica che colpisce Saddok, Guy e tocca anche Jeannine. Errore o conferma della barbara ferocia degli insorti? Tra la versione dell’esercito francese subito diffusa a fini di propaganda (il massacro di inermi con l’immancabile stupro della donna bianca) e l’arcigna storia auto celebrativa del Fln (al potere da cinquanta anni), che cosa sanno i bambini di Tifelfel? Cosa dicono loro i maestri? E i nonni degli scolari, che hanno partecipato all’azione?
Bensmaïl è rimasto un anno nel villaggio per vincere la diffidenza degli abitanti e abituare i bambini alla telecamera. Posa così su Tifelfel uno sguardo partecipe e attento, ma il tentativo di eclissarsi dietro una scelta narrativa che gioca la scommessa dell’indistinzione tra documentario e finzione non convince sempre. Era importante invece mettere in luce la relazionalità dell’inchiesta, mostrare i mutamenti nel rapportarsi alla telecamera di bambini e adulti man mano che si familiarizzavano con il mezzo. Così confezionato, il documentario perde molto della libertà che caratterizza lo sguardo del suo autore e, unito con qualche infelice “effetto” di fotografia, risulta blindato. Docufiction. (Andrea Brazzoduro)
IN SCENA
Emilio Franzina, Esuli, profughi,rifugiati e…(in una parola) migranti. Lezione di storia cantata a due voci su centocinquant’anni di migrazioni dall’Italia e in Italia. Scritto e interpretato da Emilio Franzina con Patrizia Laquidara, voce e Mirco Maistro, fisarmonica.
Cosa succede quando un professore di storia contemporanea esperto in migrazioni e appassionato di musica popolare decide di esprimersi attraverso il teatro? Nasce una conferenza-spettacolo, una performance dove lo storico diventa attore, dove i musicisti diventano conferenzieri. Una lezione di storia sui migranti e sulle migrazioni diventa performance teatrale e concerto. Al contempo storico, cantore, chitarrista e narratore, Emilio Franzina, con Esuli, profughi,rifugiati e… (in una parola) migranti, si mette in gioco a tutto campo e traghetta il pubblico all’interno di centocinquant’anni di migrazioni. Migrazioni dall’Italia e verso l’Italia. Ma anche migrazioni interne. Migrazioni stagionali e temporanee dal Nord della penisola verso i paesi europei limitrofi (Francia, Svizzera, Germania). Lunghi e dolorosi viaggi per recarsi oltreoceano, decidendo di abbandonare definitivamente il paese d’origine per non tornarci più. Ma anche la fatica di adattarsi alla nuova società, la nostalgia, i ricordi. E, infine, le migrazioni contemporanee, a flusso invertito, in cui è l’Italia ad essere diventata terra d’immigrazione e di speranza.
Al centro della narrazione ci sono sempre i canti popolari, la loro saggezza, la loro complessità, il loro carico di emozioni, speranza e nostalgia innanzitutto. E ci sono i ricordi, le memorie, i racconti di vita raccolti attraverso le testimonianze, i diari, le lettere. Franzina li riporta in vita, li interpreta, li regala al pubblico cercando reazioni e partecipazione. Lo storico-cantore, seduto dietro un tavolo con la chitarra sotto il braccio e un bicchiere di vino rosso in mano, si appella alla memoria individuale e collettiva delle persone in sala, li coinvolge, li chiama in gioco direttamente, facendoli cantare, rendendoli parte delle spettacolo: le migrazioni, le esulanze riguardano in qualche modo tutti, tutte le famiglie ne hanno fatto esperienza o ne hanno memoria.
Franzina è accompagnato nel suo viaggio da Patrizia Laquidara, grande interprete e cantante d’altissimo livello, e da Mirco Maistro, fisarmonicista, fondatore del gruppo Hotelrif. (Alessandro Cattunar)
RESOCONTI
Memory Studies and Oral History – A two day workshop entitled “Memory Studies and Oral History” and exploring the relationship between the two fields took place in the central building of the University of Athens on 24 and 25 April 2009. It was organized by the Department of History at the University of Athens with the collaboration of the Hellenic National Audiovisual Archive as well as the Netherlands Institute at Athens, and within the framework of the European Doctorate in Social History.
Thirty one scholars took part in the workshop, presenting papers or discussing them. The meeting had a clear international and a very strong interdisciplinary character. It brought together scholars from numerous greek universities and institutions but also from universities and institutions in a number of other European countries, such as Britain, Italy, France, Belgium and Sweden. Most participants were historians and social anthropologists but folklorists, museologists and scientists working on relevant projects were represented as well. The workshop encouraged interaction among scholarly generations since both senior and junior scholars (among them PhD candidates and postgraduate students) had a prominent part in it. Furthermore, on both days the meeting was well attended not only by academics and researchers but also by many undergraduate and postgraduate students at various greek universities.
Twenty papers were presented in seven sessions that explored, as their titles went, “public memory as a contested arena”, “memories of working lives”, “memory sites”, “memory and visuality”, “museums, monuments and memory”, “memories between silence and oblivion” and “migration and memory”. Though invisible in session titles, oral history was clearly present in most papers, since questions on “memory” and “memories” were for the most part dealt with on the basis of individual oral autobiographical accounts of the near or the recent past. Furthermore, there was, as Stuart Woolf noted in his concluding remarks, an emphasis on twentieth and twentieth-first century Greece, but the geographical scope of the papers was on the whole a broader one. […] (il seguito del resoconto scritto da Maria Papathanassiou sarà visibile nel nuovo sito dell’Aiso, a settembre).
Il lavoro narrato – Metodologie, ricerche e raccolte, documentari. Ciclo di seminari organizzato dall’Associazione Duccio Bigazzi per la ricerca sulla storia d’impresa e del mondo del lavoro (Milano 20 aprile, 4-11-18-25 maggio, 8 giugno 2009).
Negli spazi freschi di restauro di villa Mylius (Fondazione Isec, Sesto San Giovanni), nel cuore di quel che resta dell’ormai malinconica “città delle fabbriche”, si sono svolti quattro incontri seminariali e una tavola rotonda con l’intento di avviare una riflessione interdisciplinare sulle modalità di narrazione/rappresentazione del lavoro. Nel complesso i ventitre relatori che si sono succeduti nell’arco di cinque pomeriggi hanno concentrato l’attenzione sulle pratiche di ricerca e di raccolta delle fonti audiovisive e sul loro utilizzo nella produzione di documentari, sollecitando a guardare a interviste, fotografie e filmati come a un testo-laboratorio per costruire racconto, memoria e storia, ma anche come all’oggetto di procedure di catalogazione e di allestimento di mostre, archivi e museiweb. Ricca di spunti, ma marginale rispetto al programma complessivo del corso, è risultata invece la riflessione sulle letture teatrali, antropologiche e cinematografiche del lavoro.
La presentazione di fondi archivistici e progetti curati da associazioni e fondazioni lombarde e piemontesi ha mostrato quanto vivo e fattivo sia l’interesse nei confronti delle fonti audiovisive, in particolare nell’ambito della storia sindacale e d’impresa, a lungo cauta e scettica nel muoversi su questo terreno. D’altra parte, questo formicolare di iniziative ha sollevato anche interrogativi di non poco conto: qual è il rapporto di mezzi e di intenti tra queste realtà operative e il resto d’Italia? In quale misura il rarefarsi della frequentazione di studiosi/studenti impone agli archivi il lavoro didattico-divulgativo sulle fonti come unica via d’uscita per crearsi un pubblico di utenti e una ragione di finanziamento? Quanto è diffuso e percepito il rischio che al processo di democratizzazione nell’accesso alla tecnologia faccia seguito una mera moltiplicazione dei casi di studio che spesso prescinde dalla conoscenza dello stato dell’arte dei singoli temi e delle singole discipline? Un interrogativo, quest’ultimo, che non a caso è rimbalzato più volte anche a margine del II convegno nazionale dell’Aiso: Una memoria fondata sul lavoro (Padova, 14-15 maggio 2009).
A conclusione del ciclo di seminari, i partecipanti sono stati invitati a dar vita a una sorta di non conferenza, uno spazio aperto di dialogo e di discussione in cui illustrare e far interagire le proprie esperienze di ricerca con i temi e i problemi messi in campo dal corso. Da più parti sono venuti stimoli ad approfondire questioni di metodo e di teoria; a mettere a fuoco la relazione tra ricerca storica e divulgazione e a fare i conti con le competenze di tipo organizzativo e manageriale sempre più necessarie per promuovere e sostenere progetti individuali e collettivi di ricerca in un contesto di scarse risorse, malgrado i recenti progressi della legislazione a salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (Monica Pacini).
BANDI IN SCADENZA
La Società tedesca per la ricerca sull’esilio (Gesellschaft für Exilforschung e.V.) pubblica il Call for papers per la sua prossima conferenza annuale sotto il titolo Partenza senza ritorno? Migrazione ed esilio come forme esperienziali (Abfahrt ohne Wiederkehr? Auswanderung und Exil als Erfahrungsform). La conferenza si terrà presso il museo Deutsches Auswanderhaus a Bremerhaven (Germania) dal 12 al 14 Marzo 2010. Si invita a presentare proposte di relazione per i seguenti temi:
1) Motivazioni dell’emigrazione e dell’esilio: povertà, pressione politica/religiosa/etnica, possibilità professionali all’estero, strategie famigliari (chi parte, chi rimane), occasioni in cui l’emigrazione si trasforma in esilio….
2) Continenti /paesi /città: casi studio/analisi comparate, reti d’aiuto personali o aiuto attraverso organizzazioni…
3) Aspetti sociali: apprendimento della lingua, scuola, formazione, integrazione o isolamento….
4) Aspetti culturali: tradizioni della popolazione locale e degli immigrati, influenze reciproche, acculturazione, cambio di paradigma e tematico nell’arte e nelle scienze, auto-isolamento…
5) Ritorno: caratteristiche, età, motivi di chi torna; ritorno temporaneo…
È prevista inoltre la possibilità di presentare tesi di laurea e di dottorato (max. 10 minuti) in un workshop separato. Si prega di spedire le proposte in lingua tedesca o inglese fino al 15 settembre 2009 a: Elisabeth Groh-Lenz, Speckertsweg 36, D-97209 Veitshöchheim, elisa.lenz@gmx.de. (Manja Finnberg)
LAVORI IN CORSO
Memoria delle deportazione: un progetto italo-sloveno – “Ghe jera el campo de concentramento… ghe jera tanti slavi. So che i jera trattai come [bestie]… mal, par via del magnar: no i podea gnanca ‘ndar a tor su e scorse de patate, parchè i li bastonava…!” [C’era il campo di concentramento… c’erano tanti slavi. So che erano trattati come bestie… male, riguardo al cibo: non potevano nemmeno raccogliere le bucce delle patate, perché li bastonavano…!]. Testimonianza relativa al campo di concentramento per internati civili jugoslavi di Monigo (Treviso). Ma si tratta davvero di una goccia in un oceano. A tutt’oggi nella “gioiosa et amorosa” Marca quasi nessuno sa che tra luglio del ’42 e marzo del ’43 all’interno delle caserme trevigiane “L. Cadorin” furono rinchiusi migliaia di prigionieri sloveni e croati, dei quali circa duecento perirono di fame, maltrattamenti e malattie.
L’Istresco (Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea della Marca trevigiana), l’associazione culturale “Magazzino La Chispa” e un pool di ricercatrici slovene stanno cercando di raccogliere i ricordi di chi nel capoluogo veneto all’epoca sapeva dell’esistenza del lager e, parallelamente, delle persone internate sopravvissute. Obiettivo primario del progetto è far diventare le odierne caserme un “luogo della memoria”, riportando a un ripensamento collettivo una brutta pagina di un passato “passato troppo in fretta”. (Alberto Tronchin)
INCONTRI A…
1. Torino – L’associazione documé, nata allo scopo di promuovere sul territorio la conoscenza dei documentari prodotti dal circuito indipendente, propone a Torino fino al 12 di luglio 2009 il ciclo di proiezioni gratuite “Il cinema documentario nei cortili“. I documentari scelti spaziano su varie tematiche sociali, con particolare riferimento al tessuto lavorativo e sociale torinese ma non solo. Il programma completo è reperibile all’indirizzo www.docume.org. (Silvia Inaudi)
2. Alessano e Melpignano (LE) – Nell’ambito del progetto culturale “Taranta nella Rete” si svolgeranno in provincia di Lecce i seguenti seminari di Maurizio Agamennone “Fonti sonore e fonti orali per lo studio delle musiche tradizionali: etnografia, rilevazione, documentazione e conservazione” (13 al 17 luglio 2009 – Alessano) e Alessandro Portelli “La metodologia di ricerca con le fonti orali: l’esperienza del Circolo Gianni Bosio” (17 e 18 settembre 2009 – Melpignano). E’ ancora possibile partecipare all’assegnazione di borse di studio per la partecipazione. Informazioni su: http://latarantanellarete.wordpress.com/ (Silvia Inaudi).
3. Isola Povese (PG) – Storie in movimento & «Zapruder» con il Cesp (Centro studi per la scuola pubblica) e con il contributo e patrocinio della Provincia di Perugia (Assessorato alle Politiche del lavoro, Formazione, Pubblica istruzione e Servizi per l’occupazione) organizza il Quinto SIMposio estivo di storia della conflittualità sociale Le altre narrazioni della storia. Linguaggi, pratiche e uso pubblico del passato Ostello “Fattoria Il poggio”, Isola Polvese, Lago Trasimeno (Pg), 3-6 settembre 2009. Questo il link: http://www.storieinmovimento.org/index.php?sezione=5&sottosez=archivioiniziative&idiniz=142
4. Belinzona – Il Centro di Dialettologia e di etnografia per l’area della Svizzera italiana organizza nell’ambito dei corsi estivi del 2009 una sessione dedicata alle Ricerche di fonti orali etnolinguistiche nella Svizzera italiana, aperta anche a studenti stranieri. La scadenza per le iscrizioni è il 24 luglio 2009. Programma completo e informazioni: http://www.ti.ch/DECS/dcsu/ac/cde/ce.asp (Silvia Inaudi).
DA NON PERDERE
Come un uomo sulla terra – Uno straordinario documentario di storia orale firmato da Riccardo Biadene, Andrea Segre, Dagmawi Yimer e costruito attraverso le testimonianze dei migranti africani che, cercando di raggiungere l’Italia, finiscono preda della polizia libica andrà in onda il 9 luglio 2009, su RAI 3, alle 23.40. Presentazione e anteprime in http://comeunuomosullaterra.blogspot.com/ (Alessandro Casellato).
ULTIMO SALUTO A
Ivan Della Mea – Il 14 giugno 2009 è morto Ivan Della Mea, uno dei padri della storia orale italiana. Ci piace ricordarlo attraverso le parole di Stefano Arrighetti e Giovanna Marini (in voce: http://www.radioarticolo1.com/jackets/audio.cfm?start=9&c=7) e di Alessandro Portelli (Per Ivan Della Mea, “il manifesto”, 16 giugno 2009):
“Quando morì Gianni Bosio, suo amico, interlocutore, maestro, Ivan Della Mea gli dedicò una delle sua canzoni più belle: “Se qualcuno ti fa morto.” Se qualcuno ti fa morto, diceva, un motivo c’è: ti commemorano, ti fanno elogi e monumenti di parole, ma se ti fanno morto è perché non credono più alle ragioni della tua vita […]” (il seguito nel blog di Alessandro Portelli http://alessandroportelli.blogspot.com/).