EDITORIALE
Bruce Spingsteen e la storia orale
Un grazie davvero speciale a Sandro Portelli non solo per l’articolo Bruce Springsteen: Wrecking Ball (“il manifesto”, 6 marzo 2012) ma anche per lo splendido lavoro di traduzione che da tempo fa con i testi del Boss, e per la presentazione milanese del suo nuovo disco: emozionante e appassionante con la musica come con la storia orale. Condivido la sua visione di un rocker “storico” nel senso che fa storia, che ascolta, osserva e impara, che cita le fonti (nel booklet ci sono anche tutti i riferimenti degli archivi e delle citazioni!) e che come lui stesso afferma lavora sulla memoria e sulla storia, anche la sua “thanks to my extended family whose stories, lives and voices continue to animate my work”. Un collega, diciamo… E poi We take care of our own potrebbe essere un po’ anche lo slogan dell’Aiso, o no? Buon ascolto e buon lavoro – buoni lavori, buoni mestieri come il nostro Jack of All Trades – a tutte e tutti. (saraz)
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PROSSIME INIZIATIVE AISO
Seminario “Famiglie e generazioni” – Venerdì 30 marzo 2012 – Casa della Memoria e della Storia, Via S. Francesco di Sales 5, Roma
L’AISO promuove una giornata di studi e lavori sul tema della Famiglia e della sua rappresentazione. Aprirà i lavori un intervento di Gloria Nemec su Generazioni e lutti. Sono previste relazioni di docenti universitari quali Gabriella Gribaudi, presidente AISO, docente alla Federico II di Napoli, Antonietta Censi, docente alla Sapienza. Interventi di Massimo Pistacchi, direttore dell’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi, e di Piero Cavallari, dello stesso Istituto. Ci parleranno dei Percorsi di acquisizione tutela e fruizione della documentazione audiovisiva dell’Istituto. Tre gli interventi riguardanti famiglie italiane nell’emigrazione: per lo CSER, Mariella Guidotti; per la Filef, Grazia Moffa (Università di Salerno); inoltre, Michele Fianco, che parlerà di Tate, colf e badanti della provincia di Roma. Parteciperà il regista Claudio Bondì con un suo filmato. Saranno proiettati diversi video familiari. Qui il programma completo.
Seminario “Ascoltare il lavoro” – 24 maggio 2012 – Università Ca’ Foscari Venezia
Il seminario “Ascoltare il lavoro” è un appuntamento annuale nato nel 2010 per discutere ricerche in corso sul tema del lavoro, nell’ambito della storiografia e delle scienze sociali. Invitiamo gli studiosi interessati a presentare una proposta di relazione (massimo 6.000 caratteri, con breve curriculum) entro e non oltre il 31 marzo 2012 all’indirizzo mail ascoltarelavoro@gmail.com. Qui il bando completo in pdf.
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ATTIVITA’ DEI SOCI
I soci AISO sono inviati a comunicare alla redazione le loro attività e pubblicazioni così che se ne possa dare notizia nel foglio volante.
Giulia Nataloni e Giorgia Venerucci
Segnaliamo il resoconto delle giornate di studio della prima edizione della Scuola Aiso 2011 pubblicato dalle nostre socie sulla rivista on line Storia e Futuro n. 28 febbraio 2012, Lo sguardo della storia orale: il percorso delle fonti orali nella narrazione storica.
Nick Dines
Felicitazioni al nostro socio Nick Dines che ha appena dato alla luce il libro Tuff City. Urban Change and Contested Space in Central Naples, frutto di una lunga ricerca sul campo a Napoli per studiare la “primavera napoletana” degli anni ’90. Nick (Università Roma Tre e John Cabot University) ci ha raccontato alcuni aspetti della sua ricerca sia in occasione del seminario sugli audiovisivi a Roma che nel convegno Memoria delle catastrofi a Napoli. In un prossimo foglio volante proporremo una recensione del suo libro (se l’autore fa dono di una copia all’AISO: costa 120 dollari!).
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DALL’INTERNATIONAL ORAL HISTORY ASSOCIATION
XVII Convegno internazionale IOHA a Buenos Aires
L’International Oral History Association e l’Asociación de Historia Oral de la República Argentina organizzano la XVII International Oral History Conference: “The Challenges of Oral History in the 21st Century: Diversity, Inequality and Identity Construction”, che si terrà a Buenos Aires dal 4 al 7 September 2012. Aggiornamenti sui paper accettati/rifiutati e sull’organizzazione sul sito della conferenza.
Rivista on-line “Words & Silences”
“Words & Silences” è la rivista on-line ufficiale dell’IOHA, sottoposta a peer-review internazionale. Il primo numero è dedicato a The Workings of Oral History. Tema del prossimo numero: “Collaboration”. Scadenza per la presentazione delle proposte: 30 maggio 2012.
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RESOCONTI
Seminario su Oral History, Memory and Art (Umm el-Fahem, Istraele, 20-23 febbraio 2012) A Umm el-Fahem, una cittadina araba in Israele (ai suoi confini il muro che la divide dalla Cisgiordania) si è svolto il seminario su Oral History, Memory and Art (20-23 febbraio 2012), organizzato dall’AISO e dalla Umm el-Fahem Art Gallery. Fondata da Said Abu Shakra, l’Art Gallery è un centro che, oltre a raccogliere e mostrare opere d’arte palestinesi, si propone di diventare un punto di riferimento per la costruzione della memoria dei palestinesi rimasti nel territorio di Israele dopo il 1948. Lo staff della gallery sta raccogliendo fotografie e storie di vita, e desidera confrontarsi con esperienze analoghe, discutere di ricerca e metodologia. Le relazioni (di arabi-israeliani, ebrei-israeliani, italiani, francesi…) hanno toccato diversi temi: archivi e storie di vita (l’archivio dei deportati nei Gulag sovietici, l’archivio sui migranti e rifugiati in Italia, l’archivio palestinese, gli archivi del ghetto di Varsavia…) memorie divise e conflittuali (il caso italiano della Resistenza e della guerra, i casi di Gorizia e Samarcanda). Al centro, ovviamente, l’esperienza dei palestinesi in Israele, che ci ha presentato lo stesso Said: non veramente israeliani in Israele, ma neppure palestinesi in Cisgiordania, dove gli arabi rimasti in Israele vengono considerati dei collaboratori del nemico, non godono di una piena cittadinanza in nessun luogo e vivono in un’identità ambigua. Si è parlato di memorie e narrative opposte e per ora inconciliabili: la festa dell’indipendenza, grande celebrazione della nascita di Israele, è memoria di sconfitta e di tragedia per i palestinesi (la nakba). Nel dibattito conclusivo si è riflettuto sull’uso della memoria nella riproposizione di divisioni e conflitti. Alcune relazioni si sono soffermate sui tentativi di confronto e conciliazione: interviste di ebrei a palestinesi, scuole bilingui in cui si cerca di dare pari dignità alle diverse storie e culture. Il seminario è stato molto di più di un’esperienza intellettuale, è stato una straordinaria immersione nella società israeliana e nella vita quotidiana di una cittadina araba.
Il programma del seminario con relazioni e relatori è on line nel sito dell’AISO. (gabr)
“Settimo. La fabbrica e il lavoro” (Milano, Teatro Studio Expo, 7-19 febbraio 2012), drammaturgia e regia Serena Sinigaglia
Uno spettacolo che parla di fabbrica e lo fa a partire dalla voci di chi ha lavorato nello stabilimento Pirelli di Settimo Torinese: il testo infatti è costruito intorno alle oltre 30 interviste a operai, tecnici e ingegneri di generazioni diverse raccolte da Roberta Garruccio (Università degli studi di Milano). Una ricerca commissionata da Fondazione Pirelli, tra 2010 e 2011, con l’obiettivo di documentare la chiusura di un impianto, la ristrutturazione di un altro e la progettazione complessiva di un nuovo polo industriale nello stesso comune.
“Ricevo un plico di trascrizioni in cui uomini e donne raccontano alla dottoressa Garruccio la loro vita e il lavoro – racconta Serena Sinigaglia – È una storia corale. Decido dunque di costruire una compagnia composta da otto attori e un’attrice. La drammaturgia sarà scandita da veri e propri cori, alla maniera del teatro classico”. E così è: lo spettacolo è la storia del primo giorno in fabbrica di un giovanissimo operaio, una vecchia impiegata lo guida alla scoperta dei 5 reparti di produzione. A ogni reparto – mescole, semilavorati, confezione, vulcanizzazione, finitura e controllo – corrisponde un coro, da cui ogni volta prendono voce i corifei, solisti che raccontano al giovane la loro storia e la fabbrica: la crisi, il nuovo polo, il progetto architettonico di Renzo Piano, la trattativa per risolvere gli esuberi, gli anni ’70, i sindacati, la donna, gli stranieri, la socialità, le nuove tecnologie e i nuovi metodi, le paure e le speranze. La scenografia e i costumi evocano il processo e il prodotto, senza che la Pirelli o le sue merci – gomme, cavi, fibra ottica – vengano mai pronunciate, con una capacità descrittiva ed evocativa che non scade mai in un tono didascalico.
“Tutte le parole dello spettacolo sono state realmente pronunciate e ascoltate da Roberta Garruccio” si dichiara in apertura: il testo teatrale che ne è uscito è infatti fondato su precise parole tratte dalle interviste – videoregistrate e trascritte – che Serena Sinigaglia ha mescolato e rimontato in una ricostruzione del tutto originale ed efficace delle voci che animano un luogo in cui si fa industria in Italia.
Un coro polifonico, un affresco plurale, un mosaico di voci: metafore spesso utilizzate da chi fa ricerca attraverso le fonti orali. Esattamente quello che questo spettacolo è riuscito a mettere in scena, grazie a una regista sensibile e una squadra di attori e tecnici davvero sapienti. (saraz)
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LIBRI RICEVUTI E SEGNALATI
Gloria Nemec (a cura di), La giustizia e la memoria. Luciano Rapotez, un caso giudiziario del dopoguerra, Trieste, Istituto regionale per la storia del movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, 2011
Avevamo conosciuto la storia di Luciano Ràpotez durante la tre giorni di Genazzano: Sabrina Benussi aveva mostrato e discusso con corsisti e docenti della Scuola Aiso il suo videosaggio Rapotez: un caso italiano. Vi raccontava la storia di una ingiusta detenzione e delle torture subite in carcere da un operaio comunista di Muggia nel momento del “ritorno” di Trieste all’Italia nel 1954. Fu un caso di “tortura di stato” che nessun magistrato ha mai voluto ammettere e sanzionare, nonostante i testardi ricorsi di Rapotez che ha dedicato tutta la sua vita a cercare giustizia. Il documentario era costruito attraverso interviste al protagonista e a tre commentatori d’eccezione: Moni Ovadia (che introduce il caso e lo racconta come se fosse uno storico che conduce una ricerca), Gherardo Colombo (che ne illumina i risvolti legali e giudiziari) e Marcello Flores (che lo contestualizza nel quadro storico). Rimaneva la curiosità di conoscere più a fondo quella vicenda, ovvero tutto quello che in un video di un’ora non poteva stare. Il libro curato da Gloria Nemec, La giustizia e la memoria. Luciano Rapotez, un caso giudiziario del dopoguerra colma quel vuoto. La vita di Rapotez è ricostruita attraverso una ventina di interviste ed è narrata nel libro in forma di dialogo: le domande della storica orientano il racconto del testimone, spingendolo a uscire dall’autorappresentazione consolidata dall’essere ormai Rapotez, da moltissimi anni, non solo un uomo pubblico, ma anche un simbolo. Nel breve Incipit di carattere metodologico, che precede una lunga introduzione storiografica, Nemec fa capire la difficoltà del suo lungo corpo a corpo con un interlocutore intenzionato a mantenere il controllo sulla conduzione dell’intervista: “Sarebbe ingenuo pensare che in tutto questo parlare Rapotez mi abbia detto tutto. La consegna del silenzio fu prassi a lungo operativa tra i militanti comunisti“. Per rischiarare alcune delle Fitte e tenebrose ombre del dopo-Liberazione a Trieste, la curatrice ha dato la parola al giurista Alessandro Giadrossi, che ricostruisce sulla carte d’archivio la storia dell’omicidio per cui Rapotez fu ingiustamente condannato e la sua successiva odissea giudiziaria. Tra le cose più belle, come spesso nelle storie di vita, sono le “divagazioni”, che in questo caso restituiscono la ricchezza di una cultura operaia di grande spessore: le ultime pagine, con il racconto dell’emigrazione in Germania all’uscita dal carcere e del lavoro come tecnico alla Siemens, sono un’altra storia non meno appassionante di quella che l’ha preceduta. (alcas)
Enrica Asquer, Storia intima dei ceti medi. Una capitale e una periferia nell’Italia del miracolo economico, Roma-Bari, Laterza, 2011
L’intimità alla quale fa riferimento il titolo è quella contenuta nelle pareti domestiche e che si snoda nelle camere e nei corridoi di abitazioni costruite negli anni Sessanta nelle periferie di due città italiane. Nonostante l’appartenenza delle famiglie protagoniste della ricerca al ceto medio dell’Italia degli anni del boom economico, la distanza spaziale fra Cagliari e Milano diviene antagonismo urbano, fra una città del Sud, periferica rispetto al boom economico, ed una metropoli del nord, protagonista del decollo industriale del dopoguerra. La prospettiva storiografica scelta è il viaggio etnografico, attraverso il quale raccogliere più che la realtà della vita quotidiana, la percezione dei cambiamenti economici e sociali profondi che la classe media ha attraversato negli anni del “miracolo” italiano: il protagonismo della classe media nel decollo industriale, l’emancipazione femminile, il cambiamento dei ruoli fra coniugi, il consolidamento della separazione fra vita privata e vita collettiva, la ridefinizione degli spazi urbani. Per questa ragione, come la stessa autrice indica nella sua premessa, il lavoro di ricerca svela un processo di «risemantizzazione della domesticità», che si muove nello spazio urbano delle nuove periferie, nelle quali il ceto medio coglie, per la prima volta, l’opportunità di differenziarsi dai ceti popolari attraverso l’acquisto di un appartamento, ma che il mercato immobiliare e le politiche urbane di fatto espellono sempre più lontano dal centro cittadino. (stef)
Maria Nadotti, Prove d’ascolto. Incontri e visioni, Roma, Edizioni dell’Asino, 2011
Un libro bellissimo. Un libro di interviste, ben fatte, con artisti, scrittori, intellettuali, soprattutto americani. Così nell’introduzione l’autrice riflette sul suo mestiere: “Oggi mi accorgo che dalle mie domande trapela spesso qualcosa che ha poco a che fare con il setting dell’intervista giornalistica, sono piuttosto conversazioni intime in cui l’asimmetria che regola il rapporto tra intervistatore e intervistato (il primo sa del secondo più cose di quanto questi non sappia di lui) diventa un dispositivo che favorisce lo scambio, invece di raggelarlo. […] Sicché l’intervista si trasforma in un momento di collaborazione, di lavoro a due che prende forma nel suo farsi e dà conto innanzi tutto di un incontro in situazione tra due specifiche persone, in un dato luogo e in un dato momento della storia e delle loro storie”.
Dall’intervista a Toni Morrison: “Vedi un rapporto tra la musica e la scrittura? Hanno in comune il ritmo, il suono, che però non sono di tutti gli artisti. Pochi, anche tra i neri, li hanno. Li riconosci all’ascolto, non alla lettura: Toni Cade Bambara è una di loro. Una combinazione felice di interno e esterno, di intimo e formale. Come nel jazz, che ha una struttura totalmente aperta ed è pieno di spazi in cui chi ascolta può entrare”.
Dall’intervista a John Berger: “Forse, oggi, solo un poeta può raccontare la Storia… Sì, sono i poeti a saper raccogliere quella polvere d’oro che è racchiusa nelle vite reali e nelle relazioni tra gli individui. I grandi discorsi, le teorie globali, incapaci di trattenere questa sabbia preziosa, rischiano di cadere nel vuoto di una macrostoria senza anima. I poeti, invece, non generalizzano mai.” (alcas)
Sabrina Marchetti, Le ragazze di Asmara. Lavoro domestico e migrazione postcoloniale, Roma, Ediesse, 2011
Seguire le rotte che da quarant’anni percorrono uomini e donne significa ridisegnare quella geografia coloniale che ha caratterizzato l’area afro-europea fra la seconda metà dell’Ottocento e la seconda metà del Novecento. Questo lavoro di ricerca, che raccoglie le narrazioni di donne eritree emigrate negli anni Sessanta e Settanta a Roma per trovare un impiego come domestiche presso famiglie del ceto medio-alto, prende avvio dal ricordo del passato coloniale. Dopotutto la loro formazione scolastica, come il loro apprendimento della cultura italiana sono maturati in un sistema educativo importato dall’Italia negli anni della colonizzazione, che ha rappresentato comunque un’opportunità di ammodernamento della società eritrea, ma anche una finestra dalla quale osservare tutto il mondo occidentale. Questo non vuol dire che non sia esistita la percezione della separazione e della gerarchizzazione fra colonizzatori e colonizzati, sebbene essa non rappresenti un tema centrale nel ricordo. Al contrario è la realtà postcoloniale a sottolineare le differenze. Quando negli anni Sessanta si apre il flusso delle donne eritree verso l’Italia, le bellezze narrate dalla letteratura, dalla stampa e dalla cinematografia si dissolvono di fronte ad una società italiana che non accoglie, ma anzi fagocita, emargina e sottomette ad un rapporto padrona-serva. Ogni momento della vita quotidiana, ogni rapporto, ogni spazio domestico si tingono di giudizi razziali: la “brava serva” sebbene sia eritrea, la “serva pulita” nonostante sia nera. Giudizi che si intrecciano con i cambiamenti sociali che l’Italia attraversa in questo periodo e che sono evidenti nella sostituzione in atto fra italiani e immigrati in particolari impieghi professionali ritenuti non più adatti a propri connazionali. (stef)
Antonio Canovi, Marco Fincardi, Guastalla in chiaroscuro. Il racconto storico di una piccola comunità in guerra (1938-1945), Reggio Emilia, Aemilia University Press, 2011
Si tratta del prequel del libro che gli stessi autori hanno pubblicato tre anni fa su Guastalla nel dopoguerra (La Repubblica sulle rive del Po: Guastalla dalla Liberazione al 1948, Bologna, Cleub, 2009). Come quello, è costruito quasi esclusivamente sul montaggio e il commento di interviste (una quarantina) frutto di una lunga consuetudine di Canovi e Fincardi alla ricerca storico-sociale con le fonti orali in provincia di Reggio Emilia. La guerra si conferma uno straordinario acceleratore/catalizzatore delle dinamiche sociali: belle le pagine iniziali sulle percezioni dello spazio, sui confini impalpabili ma evidentissimi agli occhi dei narratori tra città e campagna, e sul penetrare della modernità – lavoro industriale, consumi, mobilità – nella vita comunitaria. Ma, in questo libro, la guerra è soprattutto un formidabile produttore di narrazioni e memorie. Ai due autori le testimonianze orali interessano non solo perché ci informano sulla storia dei fatti (e non è poco: non sono poi molti i saggi di storia sociale della seconda guerra mondiale condotti dentro gli orizzonti di città, cittadine e paesi) ma soprattutto per il significato che essi assunsero per i loro testimoni. Ad esempio, i racconti sugli incontri con i “nemici” che vengono dal cielo (aerei, paracadutisti, volantini, bombe) sono analizzati come cartine di tornasole delle ambigue e mobili identità collettive che si producono in tempo di guerra.
Guastalla è un ombelico del mondo: uno dei mille possibili. Già capitale per duecento anni di un minuscolo ducato, il suo territorio è stato investito fin dall’Ottocento dalle grandi trasformazioni introdotte dal capitalismo agrario e dal socialismo bracciantile. Anche da questo libro si conferma un luogo tutt’altro che “periferico”: un posto certo “speciale” per chi vi abita – la presunta “diversità” antropologica dei guastallesi è uno dei fili rossi che attraversa tutte le testimonianze – ma anche per chi lo incontra per la prima volta attraverso le suggestioni di questi racconti. Con inaspettate scoperte (o conferme): chi sapeva, ad esempio, che proprio a Guastalla si sarebbe dovuta riunire, il 15 dicembre 1943, l’assemblea costituente con cui Mussolini voleva legittimare la Repubblica Sociale Italiana? (alcas)