di Antonio Flauto
Pubblichiamo la recensione del libro di Luca Rossomando, Napoli a piena voce. Autoritratti metropolitani, Bruno Mondadori, Milano, 2012.
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Le voci di Napoli sono molte, diverse, contraddittorie, armoniche. Arrivano lievi come un sussurro, con la forza dirompente del canto, con la disperazione di un urlo, come una lontana eco, una dolce ninna nanna, un violento rumore, un richiamo irresistibile. L’inevitabile risultato è un coro eterogeneo di individui le cui parole attraversano e definiscono questa complessa città. Luca Rossomando ne offre un’ottima lettura: Napoli a piena voce, infatti, è il racconto, quasi una “testimonianza”, di una multiforme e intricata trama di esistenze; il libro, in sostanza, «racconta Napoli attraverso le storie di chi le abita: poveri e ricchi, manovali e artisti, commercianti e operai, fuorilegge e poliziotti» (p. XII).
Il testo, edito da Mondadori nel 2012, è il risultato di un lavoro collettivo sviluppato dai membri della redazione del mensile Napoli Monitor, un giornale di reportage e inchieste, che a cadenza biennale propone un libro che approfondisce alcuni temi legati al territorio, Napoli a piena voce è il terzo della serie. È firmato da Luca Rossomando, ma gli autori sono dieci: Marco Borrone, Andrea Bottalico, Alessandro Cutolo, Salvatore De Rosa, Carola Pagani, Salvatore Procaro, Riccardo Rosa, Viola Sarnelli, Davide Schiavon, mentre la copertina è realizzata da Cyop&Kaf. Il libro si compone di quindici capitoli, e raccoglie più di quaranta interviste, che si sono trasformate in monologhi, racconti intrecciati, storie di vite metropolitane. Ci sono tutte le classi sociali, dai contadini dell’agro aversano agli operai di Castellammare di Stabia, dalle detenute di Pozzuoli ai nobili che custodiscono il sangue di San Gennaro. Si toccano i luoghi più disparati, dai Campi Flegrei al Vesuvio, passando per Acerra e Pomigliano, arrivando fino a Castel Volturno e ai confini con Caserta, si tratta cioè di «un’area metropolitana che non ha ancora un nome né un’amministrazione, ma è la misura indispensabile per calcolare le trasformazioni in corso nel nostro ambiente da almeno trent’anni, e tutte quelle che avverranno in futuro» (p. XII). Un assunto che deriva dalla considerazione del fatto che «Napoli non è più da tempo la città racchiusa nei suoi confini municipali, in cui vive meno di un milione di abitanti, ma una metropoli che ne accoglie almeno tre milioni, e come tale andrebbe governata e soprattutto descritta» (p. XII).
Ad ogni modo, queste considerazioni, seppur necessarie al fine di inquadrare dal punto di visto teorico e metodologico il lavoro di Rossomando (che, tra l’altro, si ispira all’approccio e alla visione di Louis “Studs” Terkel, maestro della storia orale statunitense), fungono soltanto da premesse, in quanto i veri protagonisti del libro sono le voci, le storie, i racconti dei napoletani.
Le voci che compongono il libro, d’altronde è inevitabile, hanno subìto delle modifiche. Del resto, la trascrizione di testimonianze orali è una sorta di opera di “traduzione”. Per esempio, il “dialogo” con l’interlocutore è costretto a scomparire, a eclissarsi, le domande non ci sono più, lasciano lo spazio alla voce dell’intervistato, che costituisce il cuore pulsante del lavoro. Entrando brevemente nel dettaglio, alcune voci sono state tradotte dal napoletano all’italiano, «altre sono state rimontate al loro interno, invertendo l’ordine delle frasi pronunciate; a volte, quando nel discorso erano impliciti un verbo o il soggetto, invece di metterli tra parentesi li abbiamo aggiunti direttamente» (p. XIII). Tutte queste voci sono state disposte, costruite, modellate in una struttura ad hoc, in quanto l’obiettivo di Rossomando e degli altri autori è quello di mettere i racconti in relazione tra loro, di farli “dialogare”, come se si volesse costruire una trama, una struttura primitiva di parole e sentimenti capace di narrare e rendere testimonianza dei mutamenti socioculturali che hanno investito il territorio negli ultimi anni.
Il tentativo di mettere in armonia e far vibrare insieme voci così diverse, per molti aspetti, risulta riuscito. Il libro restituisce un lucido spaccato della realtà partenopea, riuscendo nell’intento di intercettare, attraverso la voce dei suoi abitanti, alcuni momenti chiave della storia recente della città di Napoli. La lettura non risulta mai pesante, anche nei passaggi più ostici, e resta coinvolgente in quanto gli autori sono stati capaci di conservare l’intensità, la passione, le peculiarità e gli infiniti dettagli delle storie, delle vite, che il libro racconta.
Questo libro, dunque, si può dire che rappresenti una “traccia”, una scia da seguire per provare, ancora una volta, a cogliere i tratti identitari di un territorio in costante divenire, vivo e pulsante come pochi. Un sentiero decisamente utile, tra i tanti che il panorama – non solo letterario – offre, per rendere udibili quelle parole che altrimenti sarebbero state destinate a perdersi nell’indistinto fruscio di fondo di una città indomabile, affollata di esistenze sempre affamate. Per continuare a sentire Napoli a piena voce.