di Patrick Urru
Questo articolo fa parte della rubrica “Interviste sull’intervista” per la quale rimandiamo all’introduzione di Francesca Socrate qui.
Ho deciso di intervistare Giorgio Delle Donne un mese dopo l’inizio del dottorato. Giorgio è lo storico che ha raccolto le videointerviste che sono al centro del mio progetto di ricerca. Le registrazioni sono state raccolte tra il 2004 e il 2007 e sono conservate nella Biblioteca provinciale italiana “Claudia Augusta” di Bolzano. Circa 150 intervistati di lingua italiana che hanno dato un contributo significativo nei settori della cultura, della politica e dell’economia nella Provincia di Bolzano. Uomini e donne che, nella maggior parte dei casi, sono arrivati in Alto Adige a partire dagli anni Venti-Trenta del Novecento. L’intervista con Giorgio è stata l’occasione per avvicinarmi ai suoi studi e alle storie che ha raccolto. Un primo tentativo per cercare di comprendere la complessità inesauribile di un incontro, quello tra Giorgio e i suoi intervistati. Accorciare le distanze da conversazioni che non ho vissuto e che mi ritrovo ad ascoltare a distanza di anni, tentando di colmare quel vuoto che si percepisce quando si ha a che fare con interviste realizzate da altri.
La trascrizione che segue è il risultato della chiacchierata di quel pomeriggio, o meglio, una sua rappresentazione. Riduttivo parlare di tagli o aggiunte quando si descrive un testo di questo tipo. Rendere una videointervista attraverso uno scritto, è già di per sé un taglio. Inserire una punteggiatura che cerca di restituire un’eco dello stato d’animo di quel momento, è già di per sé un’aggiunta. Nonostante queste premesse, credo che sia importante sottolineare alcuni aspetti significativi che caratterizzano questa trascrizione.
Per ciò che riguarda la punteggiatura, in alcune parti del testo, ci si potrà accorgere della mancanza di uno o più punti di domanda. Come accennato in precedenza, la punteggiatura, tra le altre cose, dà indicazioni sull’intonazione, ma, trattandosi di informazioni schematiche, difficilmente può rendere conto delle molteplici sfumature dell’esecuzione orale. La mancanza del punto di domanda, definito spesso una tipica “marca dell’intonazione”, riflette l’astrattezza dell’assunto che identifica nel tono discendente-ascendente un modello per l’interrogazione. Ascoltando l’intervista, ci si potrà rendere conto che, in alcuni momenti, il tono “tipico” dell’interrogazione non è così marcato e quindi da qui la decisione di non usare il punto di domanda in quelle specifiche circostanze.
Ho segnalato le poche omissioni, di contenuto, con tre puntini all’interno delle parentesi quadre e ho chiesto all’intervistato di leggere la trascrizione prima della sua pubblicazione. Giorgio ha deciso di eliminare alcune ripetizioni, ma soprattutto di aggiungere alcune parole per chiarire dei passaggi oppure di correggere nomi di Enti e persone che avevo riportato erroneamente.
Infine, il dettaglio temporale vuole essere una sorta di ancora che consente di saltare da un punto all’altro. Un modo per creare un ponte tra video e scrittura e ridurre, per quel che è possibile, un’altra distanza.
Giorgio Delle Donne: Storico, esperto di storia dell’Alto Adige.
Patrick Urru: Bibliotecario e dottorando del corso “Culture d’Europa. Ambiente, spazi, storie, arti, idee” dell’università di Trento.
[00:00:01] PATRICK: Oggi è giovedì 19 dicembre 2019 e siamo in compagnia di Giorgio Delle Donne. Ci troviamo nel suo studio, in via Mendola 54, a Bolzano. […] Sono qui con Giorgio per chiedergli alcune informazioni sul progetto «Archivio orale» che ha creato lui un po’ di anni fa e che è l’oggetto della mia tesi di dottorato. Quindi, grazie Giorgio per avermi dato questa tua disponibilità e partiamo subito. Mi puoi dire quando e come è nato questo progetto di raccolta di fonti orali.
[00:01:06] GIORGIO: Allora, il progetto di raccolta di fonti orali è nato circa nel 2005, grosso modo, ed è stato l’ultimo tassello di un progetto che ho realizzato nel corso degli anni, a partire dal mio dottorato di ricerca svolto all’università di Venezia dall’89 al 92, riguardante la storia degli italiani a Bolzano, che definisco gli altoatesini, per distinguerli dagli abitanti di lingua tedesca, che per comodità definisco sudtirolesi. E, quindi, a partire da quel periodo, ho cominciato a raccogliere fonti riguardanti la storia degli italiani a Bolzano, non dell’italianità di Bolzano, ma degli italiani a Bolzano, creando indici elettronici delle riviste di lingua italiana: «Atesia Augusta», «Cultura atesina», la «Rivista della Venezia Tridentina» e altre cose che tu ben conosci, e realizzando grossi archivi, anche cartacei, raccolti all’Archivio centrale dello Stato di Roma.
[00:01:58] Al termine del dottorato, durante il quale ho lavorato per la Provincia in forma di prestazione professionale, cioè lavoravo su progetti e fatturavo, ho chiesto alla Provincia di avere un comando e per 15 anni, dal 92 al 2007, ho avuto un comando in Provincia. In quella situazione ho creato molti progetti di ricerca, riguardanti sempre la storia degli italiani in Alto Adige, la storia locale, ecc. Mi sono occupato anche dell’aggiornamento degli insegnanti e questo è stato l’ultimo lavoro che ho fatto per la Biblioteca provinciale, che è stata istituita nel?
[00:02:38] PATRICK: Con legge di istituzione del ‘99 e prima sede nel 2002-2003.
[00:02:46] GIORGIO: La Biblioteca provinciale in lingua italiana poi ha fatto proprie le mie ricerche che io avevo realizzato per l’Ufficio Educazione Permanente e Biblioteche, retto, prima da Pio Fontana, poi da Daniela Pellegrini Galastri e infine da Lucia Piva. Un ufficio che si occupava delle biblioteche scolastiche e delle biblioteche di quartiere e dei finanziamenti, anche alla biblioteca italiana, prima ancora dell’esistenza della Biblioteca provinciale di lingua italiana. Quando è stata istituita la Biblioteca provinciale in lingua italiana, tutti questi lavori sono passati di competenza alla Biblioteca provinciale e sono finiti sul server loro praticamente, sono ancora consultabili.
[00:03:30] PATRICK: Sono consultabili in sede, sì.
[00:03:32] GIORGIO: Un altro grosso lavoro che avevo fatto, nel ‘96-97, sempre per l’Ufficio Educazione Permanente e Biblioteche, da cui dipendeva e dipende anche l’Ufficio Audiovisivi, avevo raccolto tutti i cinegiornali e i documentari riguardanti la provincia di Bolzano realizzati a partire dagli anni Venti fino agli anni Sessanta.
[00:03:49] PATRICK: Dall’Istituto Luce.
[00:03:51] GIORGIO: Dall’Istituto Luce. Poi questi lavori sono stati catalogati da me, cioè io ho fatto la ricerca giù a Roma, perché all’epoca non c’era niente di digitale. Ho fatto la ricerca sul cartaceo a Roma, poi ho fatto duplicare questi documentari, questi cinegiornali e li abbiamo digitalizzati. Io ho creato gli indici e si è fatto un archivio online. Ma il primo grosso lavoro è stato il lavoro della Bibliografia della questione altoatesina dove ho raccolto, in 28 archivi e biblioteche in tutta Europa, circa 22.000 schede bibliografiche riguardanti la questione altoatesina. Parliamo di fine anni Ottanta, per la precisione il 1988, lavori che all’epoca erano all’avanguardia, ma che adesso sono preistoria da un punto di vista informatico, però all’epoca erano all’avanguardia.
[00:04:36] Quindi questo è stato l’ultimo progetto realizzato e l’interesse mio per quanto riguarda le fonti orali c’è sempre stato, fin dagli anni Settanta. Di fonti orali si parla nella storiografia italiana a partire dagli anni Settanta, il primo lavoro è stato quello di Luisa Passerini sulle fonti orali, riprendendo una metodologia di studi molto diffusa nell’area anglosassone. Io mi sono sempre occupato sia di ricerca storica, sia di didattica della storia e le fonti orali erano molto interessanti anche per la didattica della storia, perché era un modo alternativo di fare lezione. Si parlava all’epoca del “saccheggio del nonno”, era facile portare il papà, portare il nonno a scuola e farlo parlare delle sue esperienze di fabbrica, le esperienze della Resistenza, di militanza politica, ecc. Quindi, un argomento molto interessante, molto proficuo.
[00:05:36] Sicuramente questo argomento può essere affrontato in tanti modi. Il mio stile è quello di studiare prima l’apparato teorico rispetto ad un problema, quindi mi sono letto una cinquantina di libri sul problema della memoria, il rapporto tra memoria e identità, memoria individuale, memoria collettiva, i classici. Devo dire che in Italia a questa tematica si arriva molto tardi, si arriva negli anni Settanta-Ottanta. Il primo libro su questo argomento è il libro di Halbwachs che era stato pubblicato nei primi anni Settanta dalla Unicopli di Milano e che poi è rimasto praticamente una lettera morta. Per cui per 10-15 anni non hanno prodotto più niente.
[00:06:19] Io ho realizzato, sempre per la Biblioteca provinciale, una serie di conferenze intitolate Memoria e identità, dove chiamavo sempre due relatori, uno di ambito nazionale e uno di ambito locale. Memoria e identità da un punto di vista della classe, dal punto di vista di genere, ma la prima conferenza è stata quella con Remo Bodei e Valentin Braitenberg. Remo Bodei recentemente scomparso e Valentin Braitenberg, un grande amico, scomparso all’incirca 7-8 anni fa. Sempre svolte lì nella vecchia sede, la prima sede della Biblioteca provinciale italiana, in via Mendola. Quindi dopo aver letto una cinquantina di libri su questi argomenti ho deciso di fare un progetto che non era molto articolato. Nel senso che né al politico, né al funzionario dell’epoca interessavano molto i discorsi articolati, molto scientifici, bastava sapere cosa producevo. Per cui avevo proposto di intervistare circa 150 persone di lingua italiana che dovevano rappresentare quelle persone che 15 anni fa avevano già 60-70-80 anni, molte di queste ormai non ci sono più, e che avevano avuto un ruolo importante nella comunità italiana nell’ambito politico-culturale, giornalistico, scolastico, ecc. Quindi questo è il quadro di fondo all’interno del quale nasce questo progetto.
[00:07:40] PATRICK: Mi incuriosiva questa cosa che tu, sia per la laurea, diciamo così, sia poi per il dottorato ti sei occupato di questione altoatesina e di italiani in Alto Adige. Poi è nato anche questo progetto delle fonti orali, ma cosa vuol dire occuparsi di italiani in Alto Adige? Qual era il tuo obiettivo in queste due ricerche.
[00:08:11] GIORGIO: Era una cosa molto difficile, perché dopo il bagno ideologico del nazionalismo fascista, così come a livello nazionale era difficile parlare di sentimento patriottico dopo l’abuso che ne aveva fatto il Fascismo, per cui hanno ricominciato a parlarne negli anni Novanta, non a caso sotto lo stimolo e anche l’incubo del successo leghista. Quando negli anni Novanta cresce il successo leghista che mette in discussione proprio il concetto di Italia – all’epoca i leghisti non ce l’avevano con gli immigrati, ce l’avevano con i meridionali – mette in discussione proprio l’assetto unitario dell’Italia, allora molti, anche a Sinistra, anche molti democratici, cominciano a ridiscutere il concetto di patria in Italia che era un concetto che appunto dal ‘45 non era stato più preso in mano. Analogamente, nel mio piccolo, io ho parlato di storia degli italiani, ma non di storia dell’italianità, per la prima volta dopo il ‘45, perché fino ad allora chi ne parlava ne parlava in termini nazionalistici.
[00:09:07] Per cui, insomma, il discorso dell’italianità e della presenza degli italiani. Secondo me è giusto parlarne in termini storiografici con una ricaduta ovviamente anche dal punto di vista politico, nel senso sociale e non partitico del termine. La storia degli italiani in questa terra non comincia sicuramente col ‘18. Comincia prima, comincia negli anni Sessanta dell’Ottocento con la costruzione della linea ferroviaria del Brennero, comincia negli anni Settanta dell’Ottocento con l’acquisizione della Bassa Atesina di grossi appezzamenti di terreno da parte di imprenditori del Trentino, pensiamo alla zona di Vadena, di Bronzolo. Comincia negli anni Ottanta-Novanta dell’Ottocento a Merano, con la costruzione dei grandi alberghi dove le maestranze erano tutte trentine-nonese. Questa presenza, Merano, Bolzano e Bassa Atesina, è una presenza esclusivamente trentina, non era italiana nel senso di regnicoli, come si diceva all’epoca, non era gente proveniente dal Regno d’Italia. Erano tutti trentini che a causa della crisi economica del Trentino si spostavano all’interno del Tirolo storico, quindi non c’è stato l’impatto che ha avuto negli anni Trenta del Novecento l’immigrazione italiana, ovviamente.
[00:10:18] L’immigrazione italiana quindi comincia nella seconda metà dell’Ottocento e chiaramente riprende vitalità dopo l’annessione, in seguito al progetto fascista di cambiare gli equilibri numerici della popolazione. La politica fascista si può dividere in tre fasi. La prima fase, nella quale propongono di italianizzare i sudtirolesi, ma questa cosa non solo non italianizza i sudtirolesi, ma li radicalizza ancora di più nella loro identità etnica. Una seconda fase, nella quale Mussolini decide di alterare i rapporti numerici della popolazione e favorire l’immigrazione italiana. Una terza fase, che è quella delle Opzioni del ‘39.
[00:10:58] Quindi l’immigrazione italiana dopo il ‘19 comincia e il discorso molto importante da un punto di vista qualitativo, anche lì i primi ad arrivare sono i trentini, sono gli insegnanti, sono preti, sono esperti di economia, funzionari di banca, trentini oppure triestini, perché essendo nati a Trieste, erano bilingui, e il Fascismo pensa che i trentini e i triestini potessero essere le persone più adatte per italianizzare i sudtirolesi. Questo è stato anche un altro errore clamoroso, perché molti trentini e molti triestini avevano una mentalità molto più simile a quella dei tirolesi di lingua tedesca che non ai regnicoli italiani, per ovvi motivi.
[00:11:39] Quindi, l’immigrazione comincia negli anni Venti e quando ad un certo punto il Fascismo si rende conto che per esempio gli insegnanti trentini e i presidi trentini sono i meno adatti per italianizzare i sudtirolesi e li manda via, anche i giudici ad esempio, vengono mandati e sostituti da regnicoli, però solamente nel ‘30-31, cioè oltre 10 anni dopo l’annessione. L’immigrazione italiana è ostacolata dalla crisi degli alloggi, il problema di trovare un alloggio di proprietà o in affitto, e l’Istituto autonomo delle case popolari di Bolzano viene istituito solamente nel ‘34, quindi negli anni Venti ci sono interventi sporadici, tipo le case INCIS di piazza Vittoria, di via Carducci, ecc. oppure case dell’amministrazione postale o dell’amministrazione ferroviaria o le case di viale Venezia, costruite tutte dall’IACP di Venezia, ma l’incremento quantitativo più grosso è della seconda metà degli anni Trenta, con la costruzione della zona industriale che porta circa 10.000 operai e le relative famiglie a trasferirsi a Bolzano. Quindi il progetto di Mussolini di creare la città, capoluogo di Provincia, nel ‘27 diventa capoluogo di Provincia con 100.000 abitanti. Questo obiettivo non viene raggiunto durante il Fascismo, viene raggiunto solamente nel ‘63-64.
[00:13:05] PATRICK: Tu hai affrontato, dicevi, questo argomento partendo prima da un ciclo di conferenze, quindi Memoria identità, e poi hai deciso di raccogliere queste testimonianze di personaggi. Tu li hai definiti anche “personaggi illustri” o comunque italiani, possiamo dire, che ce l’hanno fatta o che comunque avevano un ruolo particolare in città. Come li hai scelti questi personaggi?
[00:13:41] GIORGIO: Soprattutto in città, questo è vero, erano più persone. Non a caso i più anziani erano quasi tutti nati in altre regioni italiane. Erano immigrati poi negli anni Trenta e negli anni Quaranta. Negli indici che ti ho dato, trovi la provincia di origine e vedi che pochissimi sono nati a Bolzano tra i più vecchi, solamente i più giovani sono nati a Bolzano. È tutta gente che ha fatto, ad esempio, politica o del sindacato, ragionando come se fossero una sede locale di un partito nazionale o di un sindacato nazionale.
[00:14:19] Solamente alla fine degli anni Sessanta e soprattutto nei primi anni Settanta, quindi quando entra in crisi il primo Statuto e quando viene applicato il secondo Statuto, gli italiani di Bolzano si rendono conto che qui la realtà è completamente diversa, bisogna diventare bilingui, ecc. Non a caso, ad esempio, sono i sindacati i primi che diventano quasi perfettamente bilingui e non si limitano a tradurre in tedesco le tesi dei sindacati nazionali, ma elaborano delle strategie sindacali a livello locale. In misura nettamente minore, i partiti politici, che rimangono dei partiti che io ho definito in franchising. All’epoca del dottorato e in seguito per qualche anno ho fatto l’editorialista per il giornale Alto Adige, in un editoriale ho definito i partiti italiani, i partiti in franchising, cioè dove c’era sempre un referente locale che nel momento in cui a Roma si fondava un nuovo partito o si divideva un partito, si rifondava o divideva un partito che già esisteva anche a Bolzano. Quindi, è solamente alla fine degli anni Sessanta e primi anni Settanta che gli italiani dell’Alto Adige si rendono conto, per la seconda volta, di essere una realtà particolare. La prima volta era successo nel settembre-ottobre del ‘43 quando c’è stata l’occupazione da parte dei nazisti, lì eravamo in una situazione di emergenza, di guerra fondamentalmente. Quindi io ho scelto queste 150 persone, sicuramente poche donne, ma non che sia antifemminista io, è che all’epoca non c’erano quote rosa, per cui nei sindacati, nei partiti, le donne erano pochissime.
[00:16:02] PATRICK: Infatti sono poche, 27.
[00:16:04] GIORGIO: 27 su 150, quindi sono il 20%. Beh, adesso, sai, la situazione è cambiata moltissimo, io mi riferivo a gente che 15 anni fa aveva fatto politica, aveva fatto cultura, giornalismo, 20-30 anni prima, quindi quella scelta di gente che lavorava negli anni Cinquanta-Sessanta e in quell’epoca le donne in politica o nel sindacato, nei giornali, nella cultura, erano molto molto poche. Ho individuato alcuni ambiti: la politica, il sindacato, la cultura, la scuola, il giornalismo, l’arte, l’economia, poi non tutti quelli che io ho invitato a farsi intervistare hanno accettato di farsi intervistare. Comunque, nell’elenco che ti ho dato c’è la mia scelta e quelli che sono riuscito ad intervistare, quasi tutti, però non proprio tutti.
[00:16:57] Chiaramente c’è una differenza notevole tra chi era abituato a farsi intervistare e chi non era abituato a farsi intervistare. Nel senso che i politici te la raccontano adesso e te la raccontavano anche all’epoca, erano abituati ad aver a che fare con i mass media e devo dire che i politici a quell’epoca davano importanza alla conseguenza logica fra il loro pensare e il loro agire, anche questo ti può sembrare strano, perché noi oggi siamo abituati che quello che un politico dice oggi è in contraddizione con quello che diceva ieri e nessun giornalista glielo fa notare, un po’ perché i giornalisti sono spesso ignoranti, un po’ perché non vogliono mettersi in difficoltà, un po’ perché non vogliono mettere in difficoltà l’intervistato, ma anche se glielo facesse notare, l’intervistato politico direbbe: «Allora, che problema c’è?!? ».
[00:17:47] Io sono abituato alla vecchia maniera. La prima monografia che ho pubblicato nell’87 era su Cesare Battisti e il problema del confine del Brennero. E per due anni ho studiato i documenti e i libri che riguardavano questo argomento, il problema del confine settentrionale, quindi Salorno o il Brennero. Evidenziando che Battisti aveva cambiato idea rispetto al confine settentrionale, ma l’aveva cambiata per tutta una serie di motivi, in un arco temporale abbastanza lungo, con conseguenze logiche ben precise. Io sono abituato a pensare alla storia così. Ovviamente è uno stile ormai obsoleto, fuori moda, però le persone che ho intervistato all’epoca facevano parte ancora di quella generazione che dava importanza, soprattutto i politici ed i sindacalisti, al rapporto passato-presente-futuro e il rapporto tra elaborazione teorica e prassi. Questo è notevole. Quando tu guarderai le interviste troverai un mondo di gente diversa rispetto a quelli che sono i politici oggi.
[00:18:52] PATRICK: Al momento ne ho sentite due, quella di Sandro Angelucci e oggi ho finito Antoniazzi Attilio.
[00:18:58] GIORGIO: Attilio Antoniazzi, mitico. Hai visto che bella storia quella di Antoniazzi.
[00:19:08] PATRICK: Sì, mamma mia. Lui è ancora vivo?
[00:19:10] GIORGIO: No, è morto più di 10 anni fa. Comunque, se ti interessa il personaggio. il figlio Loris è mio amico, nonché mio elettricista di fiducia, e qualche anno fa quando è morto, è andato a casa di suo padre e ha fatto un video, me l’ha spedito, con tutti i documenti. Un personaggio coinvolto nella Resistenza trevigiana, incarcerato per i fatti accaduti nei primi giorni di maggio del ‘45, periodo in cui era finita la Resistenza, però di fatto molto spesso c’erano questioni personali da risolvere. Episodi di violenza considerati, in un primo momento, episodi resistenziali, ma quando poi è cambiata l’aria politica in Italia è cambiato anche l’orientamento della magistratura e quindi questi si sono fatti della gran galera. Del resto, abbiamo anche un personaggio a livello locale che ha fatto la fine così, non so se hai mai sentito parlare del partigiano Pircher?
[00:20:13] PATRICK: No.
[00:20:15] GIORGIO: Il partigiano Pircher era uno della Val Passiria che era stato coinvolto in un omicidio accaduto nei primi giorni del maggio del ‘45. Considerato episodio resistenziale al momento, considerato omicidio, senza che avesse caratteristiche politiche, in seguito, ed è finito in galera a Genova. Tutti si sono dimenticati di lui, perché l’SVP che nella gestione della memoria locale la fa da padrone esattamente come la fa da padrone dal punto di vista politico, l’SVP non ha nessun interesse a ricordarlo, a difenderlo. Ad un certo punto, nei primi anni Settanta, un tale Giambattista Lazagna che era un partigiano, un avvocato, finisce in galera a Genova, considerato un fiancheggiatore delle Brigate Rosse. E a Genova viene in contatto con questo Pircher. Quando esce, Lazagna rende pubblica questa storia, scrive un libro, intitolato Il caso del partigiano Pircher, e nasce un comitato per la liberazione del partigiano Pircher. È stato realizzato anche un documentario su questo partigiano Pircher che io sono andato a prendere nel ‘76, avevo 18 anni, a Milano, nella sede dell’allora Movimento studentesco, l’ho portato a Bolzano. Mi ricordo la proiezione a Bolzano, nella sala del Comune, piena di gente, con la nipote del partigiano Pircher. Ormai sono un pezzo di storia anche io. Certe cose le ho fatte, non le ho solo studiate. In questi giorni si parla del quarantesimo anniversario dell’occupazione del Monopolio, io c’ero.
[00:21:57] PATRICK: Anche lì?
[00:21:59] GIORGIO: Chiaro, non anche lì. Nella fondazione della Neue Linke, eravamo in 12 del gruppo costitutivo, c’è anche la mia firma. La Cooperativa libraria l’ho fondata io, insieme ad altri, sono stato il primo presidente dal 78 all’83. Purtroppo, sono anche un documento storico.
[00:22:20] PATRICK: Dicevi, politica, sindacato, scuola, cultura e famiglie anche. Mi è tornato in mente questo “famiglie”.
[00:22:35] GIORGIO: Alcune famiglie significative. Certo, perché ci sono alcune famiglie che hanno fatto un po’ la storia della città di Bolzano. Pensa alla famiglia Miori, ad esempio, legata all’acquisto da parte dei trisavoli di centinaia di ettari della zona di Vadena. I Miori arrivano da Mori, vicino a Rovereto, e arrivano negli anni Settanta dell’Ottocento a Vadena. Il primo podestà italiano a Vadena è un Miori e poi il primo podestà italiano di origine locale degli anni Trenta a Bolzano è un Miori. La famiglia, che esiste tutt’ora, non ha più quella rilevanza che ha avuto all’epoca, però è una famiglia importantissima. Il personaggio più conosciuto dal punto di vista storico è Fabrizio Miori, che è un commercialista che si occupa di storia e lavora con la Fabbrica del Tempo. Lui ha l’archivio della famiglia, infatti l’intervista l’ho fatta a Fabrizio Miori. Però c’era anche la famiglia Bonatta ad esempio.
[00:23:35] La scelta l’ho fatta anche sulla base di miei studi precedenti. La famiglia Bonatta è una famiglia di origine trentina, della Valsugana, arrivata alla fine dell’Ottocento a Bolzano, tutti trentini, perfettamente bilingui, tutta gente di un certo livello sociale, tutti insegnanti, funzionari, ecc. E quando poi arriva il Fascismo questa famiglia gioca un ruolo importante. Non erano fascisti, però giocano un ruolo importante, perché è una famiglia molto radicata a Bolzano. Ad esempio, le cosiddette case Trenker, di fronte al Corpo d’Armata, il rione Cesare Battisti, quella è una cooperativa di dipendenti pubblici messa in piedi da Eugenio Bonatta che era uno di questi fratelli Bonatta, che scrive anche il primo manuale bilingue per i Carabinieri a cavallo che arrivano a Bolzano, con le frasi fatte del tipo: «La dichiaro in arresto», «Mandato di cattura», come si usava una volta quando si andava all’estero. Questo era Eugenio Bonatta, ma poi c’è anche Cesare Augusto Bonatta. Augusto Bonatta è stato fondatore anche della Berlitz School, quella che poi è diventata la scuola Marco Polo, ecco, tutta gente così. Non è detto che fossero fascisti, perché ad esempio Cesare Augusto Bonatta è stato consigliere comunale dopo il ‘45 nelle liste socialdemocratiche. Però il Fascismo degli anni Venti, quando cerca di utilizzare questi trentini per italianizzare la Provincia di Bolzano, usa anche molti di questi, però poi se ne libera, perché non sono troppo fedeli alla linea.
[00:25:29] E un’altra famiglia che ho intervistato, quindi Bonatta ne ho intervistate due o tre di sorelle Bonatta, ho intervistato la Margherita che è poi la moglie di Bonvicini, ma anche la famiglia Bonvicini è importante. Il primo Commissario comunale dopo il ‘45 era Luciano Bonvicini, quindi ho intervistato Alessandro che era suo figlio e la moglie Margherita Bonatta, ma lei era la sorella di quella che è stata la moglie del giudice Telchini, il proprietario di Villa Boscoverde in via Defregger, anche quello è un personaggio notevole. Era diventato giudice, sarà stato del ‘14, negli anni Quaranta, a 25-26 anni. Poi le professioni, ho scelto molti avvocati, per esempio, Adriana Pasquali, Gianni Lanzinger, Gianfranco Fedele, Sandro Canestrini, che è morto lo scorso anno, lui era del ‘22, quindi è morto, no, quest’anno in marzo è morto, quindi è morto a 97 anni.
[00:26:25] Avvocato, figlio di una famiglia illustre, suo nonno è quello che ha tradotto Darwin in italiano, ma lui è un avvocato che oltre ad essere stato impegnato in cause politiche molto importanti, come la difesa delle vittime del Vajont, lui stesso è stato nella Resistenza trentina, lui era l’avvocato dei terroristi sudtirolesi. Non dimentichiamo che i terroristi sudtirolesi erano difesi da avvocati italiani e di sinistra, perché gli avvocati italiani di sinistra vedevano giustamente, all’epoca, e sottolineo all’epoca, i sudtirolesi come vittime, non solo della politica fascista, ma anche dalla politica del primo Statuto d’Autonomia che teneva le competenze a livello regionale.
[00:27:09] PATRICK: Poi anche la famiglia Pojer ho visto.
[00:27:11] GIORGIO: Certo, la famiglia Pojer… Perché c’era un progetto iniziale, poi come ti ho detto l’altra volta, ci sono stati degli innesti. Ad esempio, ho fatto delle ricerche su Cortina all’Adige e su Magrè, allora tu troverai due-tre intervistati a Magrè che erano Tiziano Monauni e un altro di cui adesso mi sfugge il nome che era l’assessore alla cultura a Magrè e ho intervistato la mamma che aveva allora 90 anni buoni e a Cortina ho intervistato quello che allora era l’assessore comunale alla cultura italiana, vicesindaco anche, e la famiglia Pojer. Molto interessante dal punto di vista linguistico, perché i primi fratelli, questi arrivavano dalla Val di Cembra, come quasi tutti quelli arrivati a Cortina, perché c’era una catena migratoria all’epoca, come adesso. Le madri che arrivavano stavano a casa ad allevare 10-12 figli, non uscivano di casa e morivano monolingui.
[00:28:12] I primi figli, arrivati dal Trentino, i più grandi, sono cresciuti monolingui italiani, ma italiani trentini. I figli mediani, diciamo così, sono cresciuti a Cortina all’Adige, in un ambiente tedesco, per cui erano bilingui. Gli ultimi figli sono cresciuti monolingui tedeschi, perché nel frattempo la famiglia aveva preso in gestione un maso in Val Passiria, un maso dell’Ente Tre Venezie per cui si sono trasferiti in Val Passiria e sono diventati monolingui tedeschi. Questa è molto bella, perché ti dà l’idea delle biografie linguistiche della stessa famiglia. Quindi, come famiglie ho intervistato i Pojer, i Miori, i Bonatta e anche i Podini, il più vecchio dei Podini, anche questa è una famiglia di cui quest’anno hanno celebrato i 100 anni di presenza a Bolzano. Una famiglia di origine pavese, mi sembra, sicuramente lombarda, che si è trasferita a Bolzano nel ‘19 e ha creato quell’impero che ha creato. Però anche Cianci Gatti ho intervistato, anche lui è un personaggio importante. Lui è già morto, era del 20, è morto una decina di anni fa e quella era una delle prime famiglie italiane arrivate a Bolzano ad operare.
[00:29:31] PATRICK: E le persone che non sei riuscito ad intervistare, perché hanno rifiutato oppure perché non ci sono state occasioni.
[00:29:45] GIORGIO: Un po’ e un po’. Alcune avevano timore che le potessi mettere in qualche modo in difficoltà, alcuni politici, alcuni invece non avevano dimestichezza con l’intervista e allora hanno preferito evitare, per alcuni semplicemente non c’era occasione, finché poi dopo il mio progetto è finito, sono morto io, prima che morissero loro.
[00:30:11] PATRICK: È morto il progetto.
[00:30:13] GIORGIO: È morto il progetto, grazie all’assessora che mi ha elegantemente rifiutato il rinnovo del comando.
[00:30:20] PATRICK: No, perché tra i rifiutati, se non ricordo male, c’era anche Mascagni.
[00:30:24] GIORGIO: Di Mascagni ero molto molto amico, ti posso far vedere i libri che mi ha regalato. Ero molto amico, però lui, guarda che lui è andato via da Bolzano, secondo me, lui è morto nel 2003-2004.
[00:30:41] PATRICK: Ah ecco, perché c’era tra i tuoi nomi.
[00:30:43] GIORGIO: Sì, certo. Io poi il grosso delle interviste le ho fatte a Bolzano, però sono andato ad intervistare per esempio Marco Pradi che era, tra l’altro, il genero di Mascagni, sono andato a intervistarlo a Trento. Quindi alcune interviste le ho fatte anche fuori Bolzano.
[00:30:57] PATRICK: Quindi lui non sei arrivato, probabile non sei arrivato ad intervistarlo.
[00:31:02] GIORGIO: Mascagni, era un grande amico, mi onoro di essere grande amico, perché è una persona molto in gamba, era già trasferito a Trento, lui abitava qua all’angolo tra via Orazio e piazza Vittoria. Ero molto spesso a casa sua, ero grande amico suo e della Nella, sua moglie. […]
[00:31:53] PATRICK: Quindi lì non sei proprio riuscito. Mascagni è un personaggio che viene nominato, già in queste due interviste che ho ascoltato, sia da Sandro Angelucci che da Antoniazzi.
[00:32:06] GIORGIO: Ero a cena l’altra sera con Sandro.
[00:32:12] PATRICK: Sul metodo, Giorgio, di queste interviste. Hai fatto qualche riferimento alla Passerini, c’era anche Portelli negli anni Ottanta. Quindi, a livello di metodologia, per avvicinarti, prima di queste interviste, ti sei preparato in qualche modo, quali erano i tuoi riferimenti, diciamo così.
[00:32:38] GIORGIO: Io conoscevo, grosso modo, le biografie di questi personaggi, molti dei quali erano miei carissimi amici, e anche di quelli con cui non ero in amicizia, conoscevo la biografia politica, pubblica. La sequenza era sempre la stessa, cominciavo a parlare della loro famiglia di origine, vedevo dov’erano nati, quando erano nati, qual era la loro famiglia di origine, la professione dei genitori, e quando questa famiglia si è trasferita a Bolzano, perché, come ti dicevo prima, quasi tutti questi erano nati fuori dall’Alto Adige, nati negli anni Venti-Trenta all’infuori dell’Alto Adige, quindi si iniziava lì. Poi si arrivava a vedere quando la famiglia era arrivata a Bolzano, la prosecuzione degli studi a Bolzano, il loro inserimento lavorativo, e poi quando c’è la scelta di fare politica, di fare giornalismo, di fare il professionista. La sequenza è quasi sempre questa. Poi ci sono questi nuclei particolari, come quello di Cortina all’Adige, Magrè oppure i boy-scout.
[00:33:40] Nel 2005, o 2004, mi avevano chiesto di dare una mano per la realizzazione di un libro sui 50 anni della fondazione dei boy-scout a Bolzano, allora avevo intervistato anche una decina di boy-scout. E allora lì chiaramente l’argomento comune era l’adesione al gruppo. Con delle cose anche interessanti da parte dei più anziani, perché gli scout vengono praticamente congelati alla fine degli anni Venti dal Fascismo, perché vuole avere il monopolio dell’educazione dei giovani. Lo dava in subappalto, in parte alla Chiesa, però tiene l’organizzazione laica in assoluto monopolio, quindi i boy-scout vengono emarginati e vanno in sonno, in pausa. E poi dopo il ‘45 riprendono la loro attività.
[00:34:36] A Bolzano chiaramente non c’era l’attività precedente negli anni Venti, perché non l’avevano mai messa in piedi, però nel ‘45 c’è un tale Albertani, se non ricordo male, che era di Rovereto, faceva parte degli scout di Rovereto, e negli anni Trenta prima lavora alla Montecatini di Rovereto poi si trasferisce a Bolzano alla Montecatini e quindi nel ‘45 lui mette in piedi gli scout a Bolzano. Quindi ricostruisci delle biografie personali, ma anche storie di associazioni.
[00:35:11] Un altro dei progetti che avevo curato durante il periodo di comando in Provincia, era la storia dell’associazionismo culturale di lingua italiana a Bolzano. Sono usciti diversi volumi, la collana Tracce, quella lì l’avevo praticamente curata io, e poi l’introduzione storica di Bruno Sanguanini, che era un amico mio e che insegnava Sociologia della cultura a Trento. Molto spesso, come in questi casi, sono anche contatti personali, rapporti di amicizia. L’accusa che mi hanno sempre fatto i miei colleghi, che morivano di invidia, era di fare…
[00:35:48] PATRICK: Colleghi storici?
[00:35:49] GIORGIO: Colleghi storici. Era di fare la storia dell’italianità di questa terra: “Giorgio Delle Donne riprende la logica di Tolomei e la porta avanti”. Non era assolutamente vero.
[…]
[00:41:36] PATRICK: Tornando alle interviste. Forse spedivi delle lettere oppure prendevi prima contatti con queste persone.
[00:41:47] GIORGIO: Sì, non ho mai dato però l’elenco delle domande, a nessuno, anche per evitare che si preparassero le risposte.
[00:41:51] PATRICK: Spiegavi però magari il progetto, di che cosa si trattava, dove poi queste interviste sarebbero finite. Dopo l’intervista, queste persone hanno visto le interviste?
[00:42:10] GIORGIO: Certo. Hanno avuto una copia dell’intervista o su VHS, perché all’epoca, 15 anni fa, c’era ancora il VHS come standard e iniziava a diffondersi il CD o il DVD. Per cui i più evoluti avevano già il lettore DVD e hanno avuto la copia in DVD, molti avevano ancora il lettore di videocassette e hanno ricevuto il VHS.
[00:42:31] PATRICK: Quindi tutti hanno ricevuto una copia.
[00:42:34] GIORGIO: Tutti hanno ricevuto una copia. Anche se per dirti, l’altro giorno a cena con gli eredi di Claudio Emeri, i sopravvissuti sono 3, una sta in America, uno sta a Firenze, uno sta a Bolzano, gli ho parlato di queste cose, tutti si ricordavano, ma nessuno ce l’ha, perché chiaramente la seconda generazione le perde queste cose qua. Però una copia sta nella Biblioteca provinciale «Claudia Augusta», non so se sono state digitalizzate poi tutte.
[00:43:02] PATRICK: Sì, sono state portate su un hard disk esterno e su server, perché il DVD si stava anche rovinando, quindi le hanno dovute mettere in sicurezza. Pazzesca comunque questa cosa del DVD, veramente si stavano rovinando, abbiamo dovuto chiedere l’aiuto a Max Miotto del Centro Audiovisivi che le ha riversate tutte, però ha detto che ha fatto molta fatica, infatti è andato avanti un anno praticamente, perché ha dovuto recuperare tutto, usare sistemi dei più disparati. Per fortuna le abbiamo messe in salvo, perché tu comunque non hai tenuto niente?
[00:43:48] GIORGIO: Io non ho tenuto niente. Io le ho avute tutte qua quelle interviste, perché ho fatto degli indici. Usando sempre il programma ISIS che avevo usato precedentemente per fare gli indici delle riviste. Era un programma che potevo adattare alle mie esigenze e ho fatto gli indici che poi ti ho dato. Le schede di ogni intervista e poi gli indici relativi alla data di nascita, ai luoghi di nascita, i monumenti, ecc. La più vecchia delle intervistate era la zia Dora che era nata nel 1897, era la zia della moglie di Andrea Mitolo. Tu vai a vederti quell’intervista, io gliela ho fatta nel 2004-2005, quindi aveva 107-108 anni ed era lucidissima. È morta un paio d’anni dopo ed era perfettamente lucida. Anche quella è un’intervista interessante, non solo per la lunghezza della sua vita.
[00:45:03] Mi ricordo che la Teresa Mitolo, la figlia di Andrea Mitolo, lavorava al Centro per il bilinguismo, ho detto: “Guarda, vorrei intervistare tua zia, so che ha 107-108 anni, le puoi chiedere se è interessata” – “Sì, sì… chiedo io, ma se vuoi chiedi tu” – “Ma è sveglia?” – “Sì sì è più sveglia di me”. Fra l’altro la Teresa è morta da 2-3 anni poveretta. Ho telefonato a questa signora, “sono Giorgio Delle Donne…” – “Ah professore leggo sempre i suoi editoriali”. A parte questo, gli anziani spesso si ricordano di quello che è successo 50 anni fa e non si ricordano quello che hanno mangiato a pranzo. Le ho detto: “Lei ha dei bei ricordi da raccontare?” – “Sì, sì” – “Si ricorda quando è scoppiata la guerra?” – “Certo che mi ricordo” – “Quando è scoppiata la guerra nel settembre del ‘39 o quando è entrata l’Italia in guerra nel giugno del ‘40?” – “La Prima Guerra Mondiale, giovanotto!”. La sua famiglia si chiamava David, erano italiani, stavano a Klagenfurt e suo padre era un agente commerciale dei Feltrinelli.
[00:46:14] I Feltrinelli, che noi conosciamo come editori, erano imprenditori nel settore del legno, avevano boschi interi qui in Val d’Ega, e operavano anche in Austria, quindi il papà di questa signora era l’agente commerciale dei Feltrinelli a Klagenfurt e lei forse era nata anche a Klagenfurt, mi sembra. Era nata a Klagenfurt nel 1897, quindi nel 14, quando scoppia la guerra, aveva già 17 anni, quindi se lo ricordava perfettamente. Quindi poi gli italiani vengono espulsi e la famiglia si trasferisce a Lecce, non so per quale motivo a Lecce, e poi sono tra i primi ad arrivare a Bolzano, perché i Feltrinelli avevano questi possedimenti in Val d’Ega.
[00:47:00] PATRICK: Zona Gries abitavano, come David, vero?
[00:47:05] GIORGIO: Sì. I Feltrinelli poi aprono la fabbrica della masonite, che poi diventa la Cellsa, che poi viene distrutta da un incendio nel 76, ecc. Quindi anche quella è una famiglia interessante, non solo perché aveva più di cento anni.
[00:47:23] PATRICK: Quando hanno ricevuto questa copia dell’intervista, ti hanno chiamato, hai avuto modo di parlare di nuovo con loro, come è stato da parte loro, se c’è stato, un ritorno, un riscontro.
[00:47:40] GIORGIO: No, quasi mai.
[00:47:45] PATRICK: L’ultima cosa Giorgio. Allora, mi sembra di capire che questo tema degli italiani in Alto Adige sia un po’ anche ritornato nelle tue interviste chiaramente, però ti dico, nel 2015 il libro che mi hai suggerito di leggere, che hai scritto tu, Cinque pezzi facili sull’Alto Adige/Südtirol, sembra che questo tema sia ancora abbastanza attuale, oppure no. Cosa dici tu?
[00:48:19] GIORGIO: È un tema che rimane, però cambia nel corso dell’epoca. Prima parlavamo del destino del giornale «Alto Adige» che ha fatto del nazionalismo assolutamente inutile e dannoso per decenni e adesso è finito nelle mani di Ebner. Nota bene che, ironia della sorte, De Benedetti è stato costretto a vendere il giornale «Alto Adige», perché rischiava, dopo aver acquisito il gruppo de «La Stampa », di superare il limite del 20%, che è considerato il limite a rischio per quanto riguarda la concentrazione delle proprietà. È stato costretto a vendere. Non trovando nessun imprenditore italiano disposto a comprare, perché oramai il settore sta andando verso il default, lo ha svenduto per 5 milioni di euro, se non sbaglio, compresi gli immobili, a Ebner. Se in questi 5 milioni di euro ci sono 3 milioni di immobili, vuol dire che tu compri un quotidiano con 2 milioni di euro, ci mettiamo d’accordo io e te, facciamo una colletta, lo compriamo.
[00:49:21] Però lui ha venduto questo giornale perché superava il limite del 20% ed è considerato un fattore di rischio e l’ha comprato la famiglia Ebner che qui ha il 95% delle attività editoriali in Provincia di Bolzano, ed ora si sta allargando al Trentino, quindi la legge vale a livello nazionale e non vale a livello provinciale. Questa è la metafora di quello che succede a livello politico più generale, cioè abbiamo un gruppo etnico che, a livello nazionale, è minoranza, ma che a livello locale è assoluta maggioranza. Rivendicano la tutela in quanto minoranza ed esercitano il potere in quanto maggioranza. E abbiamo un gruppo di lingua italiana che ovviamente in Italia fa parte della maggioranza, ma a livello locale è una minoranza. Se tu vai a raccontare a Roma che tu a Bolzano sei una minoranza, si mettono a ridere. Qui si sta facendo un po’ la fine del topo.
[00:50:15] Però anche lì, il cosiddetto “disagio degli italiani”, cambia nel corso del tempo. Se tu ti confronti con il sudtirolese, magari ti arrabbi, se ti confronti con tuo fratello che abita in Lombardia, ti dici, “lecchiamoci le dita, che siamo amministrati dai tedeschi”. Questo non è giusto, però va bene così, perché effettivamente l’efficienza amministrativa dei tedeschi, insieme alla ricchezza del bilancio provinciale, paragonata all’incapacità cronica, alla disonestà diffusa, se tu ti confronti con quello che succede nel resto d’Italia, ti lecchi le dita. Quindi, se tu hai letto il libro, vedi ben che la mia ipotesi di fondo è questa, non è giusto, però la situazione fortuita, fortunosa, fortunata, lecchiamoci le dita che qua non contiamo assolutamente niente.
[00:51:04] PATRICK: Ce la dobbiamo mettere via. Bene Giorgio, ti ringrazio per il tuo tempo e niente, finiamo così, grazie.
[00:51:15] GIORGIO: Perfetto, grazie.