di Nicola Francia. Con due note di Alessandro Portelli e Omerita Ranalli, e una dedica.
In occasione del recente 75° anniversario della Liberazione, Bella ciao è tornata sulle labbra o almeno alle orecchie di molti. Intonata dai balconi e trasmessa sul web e in televisione, si è confermata la canzone della Resistenza più diffusa e popolare del nostro tempo. La storia lunga, complicata, controversa di Bella ciao prima e dopo il 1945 ci è stata ricordata nei giorni passati da due grandi studiosi della canzone popolare e della memoria orale: Cesare Bermani le ha dedicato un libro, summa di una ricerca lunga cinquant’anni (Bella ciao. Storia e fortuna di una canzone: dalla resistenza italiana all’universalità delle resistenze; qui la presentazione a Fahrenheit, il 25 aprile), e Alessandro Portelli ne ha scritto una recensione su Alias il 25 aprile, seguita a un altro suo articolo importante uscito il giorno prima su il manifesto.
Ma lo scorso 25 aprile ad AISO è arrivata anche un’altra testimonianza, frutto di una ricerca condotta da un amico nostro giovanissimo per il giornalino scolastico del liceo Tito Livio di Padova, ΑΓΟΡΑ (Agorà). L’autore si chiama Nicola Francia e ha quindici anni. Limpida nella scrittura, fresca e vivace nei contenuti, ci è parsa potesse stare bene all’interno del nostro sito. La pubblichiamo quasi integralmente, con l’eccezione dei brevi paragrafi dedicati alle origini e alla prima fase della fortuna del canto. Al centro del lavoro di Nicola, infatti, c’è la rinascita di Bella ciao nel passato recente e nel tempo presente: il tempo di chi, come lui, è nato dopo il 2000.
Il testo è arricchito da due note inviateci da Alessandro Portelli e Omerita Ranalli, primi lettori di queste pagine.
La redazione AISO dedica questo articolo a Helin Bolek, Mustafa Koçak e Ibrahim Gokçek, tre membri del gruppo musicale Grup Yorum, morti per sciopero della fame nelle carceri turche il 3 aprile, il 24 aprile, il 7 maggio. Avevano cantato Bella ciao (Çav Bella) in turco già alla fine degli anni ’80. Nella foto di copertina İbrahim Gökçek al funerale di Helin Bölek (via Twitter)
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Dalla seconda metà degli anni ’90, le piazze italiane, dopo un periodo di progressivo svuotamento nel decennio precedente, tornano a essere invase dai manifestanti. Il nuovo governo Berlusconi, la globalizzazione, la guerra in Iraq: questi gli obiettivi delle proteste fra i due millenni. La rinascita della piazza come centro della vita comunitaria si accompagna alla riscoperta, soprattutto da parte del mondo giovanile, del canto sociale e di protesta: inevitabilmente Bella Ciao diventa uno dei brani intonati dai dimostranti [1]. La canzone, dal significato un tempo esclusivamente antifascista e patriottico, assume qui valori molteplici e non sempre congrui con l’utilizzo originario. Infatti, è cantata come gesto di ribellione nei confronti della censura berlusconiana da Michele Santoro, ma anche al G8 di Genova contro i potenti del mondo, e sempre contro Berlusconi in occasione delle sue dimissioni nel 2011. In alcuni ambienti s’insinua l’idea che la canzone in questi casi sia fuori luogo, e che l’attuale utilizzo non abbia nulla a che vedere con il suo valore originario. Ma la trasformazione di Bella Ciao in ciò che è oggi manca ancora di un atto fondamentale.
Bella ciao pop
Nel 2017 La Casa di Carta appassiona milioni di spettatori. I rapinatori, nella serie tv spagnola, nei momenti di euforia intonano Bella Ciao, che adottano come vero e proprio inno con cui si ribellano all’iniquo sistema bancario europeo. La canzone partigiana, spiegano i personaggi in monologhi contro i “poteri forti”, impregnati di facile populismo, è da sempre un simbolo della lotta al Sistema, un tempo rappresentato dal fascismo e oggi incarnato dalla “spietata” Unione Europea.
La Casa de Papel (in italiano La Casa di Carta) è una serie televisiva spagnola di grande successo, trasmessa nel 2017 dalla televisione spagnola Antena 3 e distribuita l’anno successivo da Netflix. La serie racconta le avventure di un gruppo di criminali disperati che irrompono nella zecca di stato spagnola per stampare due miliardi di euro in banconote. Il piano, organizzato nei minimi dettagli da un uomo misterioso chiamato “El profesor”, ha come principale obiettivo destabilizzare i meccanismi finanziari dell’Unione Europea e dare al mondo un simbolo di speranza e di resistenza. Per questo, i rapinatori, che si paragonano a dei nuovi partigiani, festeggiano i loro successi cantando Bella Ciao, rendendo la canzone molto popolare all’estero fra le giovani generazioni.
Riguardo all’utilizzo del canto partigiano nella Casa di Carta, Alex Pina, creatore della serie, spiega: “Bella Ciao è una canzone che mi ricorda l’infanzia e che tutto il mondo conosce, un inno alla resistenza come la stessa serie è: finché c’è resistenza, c’è speranza”.
Grazie alla distribuzione di Netflix, La Casa di Carta diventa la serie non in lingua inglese più vista, e la fama di Bella Ciao aumenta esponenzialmente. La canzone si trasforma in un fenomeno pop: ormai il significato politico, che era ancora presente (anche se stravolto e decontestualizzato) nella serie tv, sparisce del tutto, rendendola una canzone priva d’anima, come fosse una qualunque colonna sonora. Bella Ciao si è trasformata nella canzone della Casa di Carta, basta cercarla su Google per rendersi conto che all’estero della sua origine antifascista non rimane traccia. La canzone è remixata in più versioni, inclusa una di Steve Aoki nel cui video musicale compaiono celebrità del web come gli youtuber FaviJ e Cicciogamer89. È dunque questa oggi Bella Ciao, un fenomeno virale al pari di Despacito e dei video di gattini?
I due volti di Bella ciao globale
Alla fine del 2019 a Beirut, capitale del Libano, migliaia di manifestanti invadono le strade. Il loro obiettivo: le dimissioni del premier corrotto Hariri. Il loro inno: Bella Ciao. Il canto dei partigiani è intonato sia nella versione in italiano, sia in arabo, con un testo modificato. Sul web circola inoltre la cover della pop star libanese Shiraz, il cui videoclip ricrea alcuni momenti della Casa di Carta ambientandoli in Libano: l’attacco allo stato da parte dei rapinatori è in questo caso un chiaro endorsement ai manifestanti.
A Baghdad, nel gennaio 2020, gli studenti nelle piazze manifestano per un Iraq libero da ogni influenza straniera e dove etnie diverse possano coesistere pacificamente e anche in questo caso lo fanno al suono di Bella Ciao. La canzone antifascista è tradotta e adattata alla situazione del paese: disoccupazione dilagante, corruzione del governo e instabilità politica. E come in Libano, anche la versione irachena di Bella Ciao su YouTube è corredata da immagini che rimandano alla serie tv spagnola.
Trovandosi di fronte questi dati, viene spontaneo immaginare una diretta correlazione fra la popolarità della Casa di Carta e il suo utilizzo nelle manifestazioni in Medio Oriente: si potrebbe pensare che i giovani iracheni e libanesi abbiano conosciuto la canzone tramite la serie tv e che l’abbiano adattata e trasformata nel loro inno di ribellione contro il potere. In questo caso, staremmo assistendo a una delle più grandi operazioni di condizionamento politico da parte di una fiction, che in questo caso sarebbe stata ispiratrice di vere e proprie rivolte. Ma in realtà le cose sono più complesse. Se da un lato è certamente vero che la distribuzione di Netflix ha aumentato la popolarità di Bella Ciao in paesi in cui questa era quasi sconosciuta e ha restituito un canto ormai visto come un relitto del passato alle giovani generazioni di diverse parti del mondo, dall’altro sarebbe scorretto affermare che alla serie televisiva si deve interamente il successo della canzone. Infatti, sono numerosi i casi in cui, molto prima della fiction spagnola e della sua acquisizione da parte di Netflix, Bella Ciao è stata eseguita in occasioni di manifestazioni contro una realtà politica oppressiva: nel 2013 a Istanbul contro il presidente Erdogan, nel 2015 in Place de la Republique a Parigi dopo la strage di Charlie Hebdo, nel 2016 dalle combattenti curde in Rojava, per citarne alcuni. In Turchia, del resto, già dalla fine degli anni ’80 Bella Ciao è conosciuta grazie alla band di sinistra Grup Yorum, un gruppo musicale a composizione variabile che da trent’anni continua l’impegno politico originario anche cantando Bella Ciao [2].
Ma allora come si spiega la recente associazione Bella Ciao – Casa di Carta nei videoclip delle cover arabe?
Nell’immaginario collettivo è avvenuta una sovrapposizione fra il canto partigiano e la colonna sonora: mentre nel mondo della musica si fa costante riferimento alla serie televisiva, sia per quanto riguarda versioni politiche della canzone (come la cover irachena), sia in altre puramente pop, fra i manifestanti sopravvive il primo significato della canzone, quello che l’ha resa nel mondo un inno alla libertà e alla Resistenza. La correlazione con la Casa di Carta, dunque, risponde a esigenze per così dire di marketing: grazie ai simboli della serie tv la canzone è meglio riconoscibile e attira sul web più visualizzazioni. La duplice funzione della canzone, pop e politica, può portare quindi a due possibili esiti: successo commerciale nella prima, e maggiore consenso (o quantomeno visibilità) nella seconda. Separare nettamente le due facce della medaglia sarebbe semplicistico; piuttosto, bisogna riconoscere il rapporto di proficua simbiosi che vige fra esse: la Bella Ciao commerciale aiuta quella impegnata ad accrescere la propria diffusione, ma beneficia della storica fama di quest’ultima.
Do it now: una Bella ciao ambientalista
Nel 2012 l’ambientalista e regista belga Nic Balthazar lancia il progetto Sing for the climate: l’iniziativa invita tutti gli abitanti del pianeta preoccupati per l’emergenza climatica a riunirsi in gruppi numerosi per cantare un brano dal nome di Do it now registrandosi con una videocamera, per poi inviare il filmato al sito web del movimento. Mentre il testo di Do it now, che esorta ad “aprire i nostri occhi e fare qualcosa adesso”, è opera di Balthazar e dei suoi collaboratori, la melodia invece non è affatto inedita: ancora una volta, infatti, le note che si alzano dalle piazze della protesta sono quelle di Bella Ciao. L’inno della resistenza, riconosciuto nel mondo come sinonimo di ribellione, prestando la sua melodia svolge alla perfezione il compito di veicolo, di megafono musicale per far arrivare la voce di Sing for the climate più lontano.
Il progetto, che fra il 2012 e il 2013 gode di un discreto successo, arriva a contare circa 400.000 adesioni, e un montaggio di tutti i video inviati alla pagina di Sing for the climate è proiettato dal primo ministro belga Elio di Rupo alla conferenza dell’ONU per il clima a Doha nel 2012. Successivamente tuttavia il progetto è abbandonato (l’ultimo video sul sito di Sing for the climate risale al 2015) finché, nel 2019, lo scalpore suscitato dal movimento Fridays for future fa sì che il videoclip di Do ti now diventi nuovamente virale e che torni così ad essere eseguito in numerose manifestazioni.
TESTO ORIGINALE | TRADUZIONE |
We need wake up We need to wise up We need to open our eyes And do it now now now We need to build a better future And we need to start right now We’re on a planet That has a problem We’ve got to solve it, get involved And do it now now now We need to build a better future And we need to start right now Make it greener Make it cleaner Make it last, make it fast, And do it now now now We need to build a better future And we need to start right now No point in waiting Or hesitating We must get wise, take no more lies And do it now now now We need to build a better future And we need to start right now We need wake up We need to wise up We need to open our eyes And do it now now now We need to build a better future And we need to start right now |
Dobbiamo svegliarci Dobbiamo diventare saggi Dobbiamo aprire i nostri occhi E farlo ora ora ora Dobbiamo costruire un futuro migliore E dobbiamo cominciare proprio adesso Noi siamo su un pianeta Che ha un problema Dobbiamo risolverlo, essere coinvolti E farlo ora ora ora Dobbiamo costruire un futuro migliore E dobbiamo cominciare proprio adesso Farlo più verde Farlo più pulito Farlo durare, farlo veloce E farlo ora ora ora Dobbiamo costruire un futuro migliore E dobbiamo cominciare proprio adesso Non ha senso aspettare O esitare Dobbiamo farci saggi, non accettare più bugie E farlo ora ora ora Dobbiamo costruire un futuro migliore E dobbiamo cominciare proprio adesso Dobbiamo svegliarci Dobbiamo diventare saggi Dobbiamo aprire i nostri occhi E farlo ora ora ora Dobbiamo costruire un futuro migliore E dobbiamo cominciare proprio adesso |
Bella ciao… sovietica?
«Commissari europei intonano Bella Ciao. Solo io reputo scandaloso questo ridicolo teatrino da parte delle più alte istituzioni europee? Non hanno nulla di più importante di cui occuparsi?». Con queste parole la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni commenta un video datato 4 dicembre 2019 in cui i commissari europei sono intenti nel “vergognoso” atto di cantare un inno antifascista.
La scritta a commento del filmato dice: «Unione sovietica europea: i commissari cantano Bella Ciao». Giustificando la polemica con la scusa del tempo sprecato (i commissari non hanno certo interrotto una vitale riunione per improvvisare un concerto), Meloni cerca di camuffare un attacco frontale alle istituzioni europee, che paragona polemicamente all’Unione Sovietica. Infatti, Bella Ciao non solo è una canzone antifascista priva di qualsiasi riferimento al comunismo, ma venne invece usata dai governi del centro-sinistra per rivendicare la natura trasversale della Resistenza, di cui non volevano che il PCI si appropriasse. Ma allora, cosa c’è di sbagliato nel celebrare, con una canzone, il fondamento su cui si basa l’idea stessa di Europa Unita e di democrazia, ovvero l’antifascismo? La risposta non arriva certo da Matteo Salvini, che ironizza, riferendosi allo stesso episodio: “Ah beh, allora siamo a posto…! Complimenti a Pd e 5 Stelle per la scelta di Gentiloni come rappresentante dell’Italia in Europa, al prossimo giro canteranno anche Bandiera Rossa, poi Sanremo e tournée internazionale!”.
Ma se guardiamo al passato, questa non è la prima volta che i leader sovranisti etichettano Bella Ciao come inno comunista. Più volte infatti i commenti di Salvini e Meloni hanno lasciato trasparire una non così celata ostilità nei confronti del canto che in Italia, aldilà delle sue più recenti trasformazioni, ha un significato prima di tutto antifascista. Da parte loro, i contestatori di Lega e Fratelli D’Italia, compreso il movimento delle Sardine, hanno adottato la canzone dei partigiani come inno, senza privarla del suo valore originario ma al contrario rivendicandolo: l’uso di Bella Ciao è visto da parte loro come legittimo e coerente con il suo significato storico, in quanto indirizzato contro politici vicini ad ambienti fascisti. E a queste accuse Salvini, la cui biografia-intervista è stato pubblicata da un editore “orgogliosamente fascista”, e Meloni, che si vanta di discendere politicamente dal MSI, sono apparentemente in grado di rispondere solo ricordando la loro avversione al comunismo, a cui riconducono tutti i loro oppositori e i loro strumenti di contestazione. Bella Ciao inclusa.
Bella ciao: un canto fuori luogo
Da quando fu cantata per la prima volta – dalla brigata Maiella in Abruzzo nel 1944, come dimostrato da un recente studio di Bermani – fino a oggi Bella Ciao è stata tante cose: da inno postumo della Resistenza a canto di lotta politica dei movimenti di sinistra a, in tempi più recenti, vero e proprio tormentone. Proprio in seguito a questa sua ultima evoluzione, oggi coesistono contemporaneamente almeno due Bella Ciao diverse ma fortemente connesse. Quella conosciuta grazie alla Casa di carta è fondamentalmente un fenomeno pop e una colonna sonora resa virale dai remix e da Internet, talmente diffusa da essersi progressivamente distaccata dal suo significato originario. Quella politica, invece, è ancora cantata dai manifestanti nelle strade, e, seppur sia eseguita in contesti del tutto diversi fra loro e il più delle volte lontani da quello in cui nacque, è più vicina alla Bella Ciao storica, perché riconosce e sfrutta la sua funzione di canto di lotta.
Questa straordinaria longevità e adattabilità della canzone si spiega forse con la natura non specifica, quasi vaga, del testo, la stessa che la espose e ancora la espone alle critiche di non autenticità e di “invenzione della tradizione”: se è Bella Ciao ad essere cantata dal Sud America al Libano e non Fischia il vento si deve al fatto che la prima è fuori luogo sin dalla sua nascita.
È proprio per questo che a mio parere è sbagliato oggi gridare all’oltraggio di fronte alla presenza di Bella Ciao al di fuori dei cortei dell’ANPI: perché di fatto non ne esiste un vero e proprio significato filologicamente corretto. Certo, non bisogna dimenticare come la canzone sia nata, cosa pensasse davvero chi la scrisse, ma bisogna anche ricordare che la sua fortuna scaturì proprio da una forzatura: quella di adottarla come inno di tutti i partigiani e dell’intero fenomeno della Resistenza quando in realtà durante la guerra fu quasi sconosciuta.
Il merito delle nuove generazioni di aver sottratto una canzone di cinquant’anni prima alla polvere e al disuso e averla resa un sinonimo di speranza e libertà in tutto il mondo non è quindi altro che un’emulazione dell’atto fondativo della grandezza di Bella Ciao. E così come la forzatura operata nel dopoguerra aveva un fine ben diverso da quello di motivare le truppe contro l’invasore, anche la trasformazione degli anni 2000 cambia radicalmente la funzione della canzone. La rende una voce mutevole, una voce che ognuno può fare propria e utilizzare per trasmettere il suo messaggio: è allo stesso tempo la voce di un/a seguace di Greta Thunberg e di un/a manifestante iracheno/a. E sì, anche di Cicciogamer.
E dunque, invece di scandalizzarsi per la decontestualizzazione forse sarebbe il caso di ascoltare chi con questa voce ha davvero qualcosa da dire.
Post scriptum: 24 aprile 2020
Mentre gran parte del mondo era paralizzata dalla quarantena imposta dal dilagare del nuovo Coronavirus, due tasselli si sono aggiunti al complesso puzzle che è la storia di Bella Ciao.
Il primo è arrivato dalla Germania il 17 marzo: i cittadini di Bamberg (Baviera) hanno intonato l’inno dei partigiani, “canzone di libertà per eccellenza”, per dimostrare solidarietà al popolo italiano, particolarmente colpito dal Covid-19.
Più di un mese dopo, l’unione dei vigili del fuoco britannici ha pubblicato sul proprio profilo YouTube un video sulle note di Bella Ciao in cui i pompieri si dichiaravano vicini ai loro omologhi italiani. Questi episodi confermano la natura mutevole della canzone, in grado di replicarsi un numero potenzialmente infinito di volte mutando costantemente per adattarsi ad ambienti diversi: una natura… virale.
NOTE
[1] Ci scrive al riguardo Omerita Ranalli: “Già con la Pantera, e poi due anni dopo con la cosiddetta “Panterina” (almeno a Roma si chiamava così), con le occupazioni dei centri sociali (che a Roma hanno organizzato grandi manifestazioni) e poi con le manifestazioni sindacali del 1992, si stava in piazza. In quel contesto, pur con le Posse emergenti che pubblicamente dichiaravano la loro rottura con Giovanna Marini (se non sbaglio c’è un filmato della Pantera in cui gli Assalti Frontali rivendicano questa rottura), nelle università italiane, nelle case occupate, nelle piazze di periferia si cantava Bella ciao e l’intero repertorio che veniva dal Folk revival (nelle case dei compagni, a Radio onda rossa, ecc. ecc.). Quasi a volersi liberare di quel repertorio e di quelle forme, che comunque ancora caratterizzavano la comunicazione di base dell’epoca. Direi che, se da un lato all’inizio degli anni ’90 le Posse proponevano nuove forme di comunicazione musicale di “resistenza”, nel 1995 il corteo milanese per i 50 anni della Liberazione e poi il concerto di Correggio e il CD e film documentario ad esso collegati (Materiale resistente), hanno fortemente contribuito ad una nuova diffusione di Bella Ciao e del canto protestatario novecentesco e resistenziale. Passando poi per Manu Chao, nel 1999, che ha avuto grande correlazione coi movimenti no-global, e per la World Music di inizio anni 2000 (almeno Moni Ovadia credo vada collocato in questo ambito)” (n.d.r.).
[2] Ci scrive Alessandro Portelli, commentando questo punto del testo: “io ricordo che già a fine anni ’90 dopo un concerto di Giovanna Marini e altri in una piazza di Roma registrammo un gruppo di studenti curdi che in turco cantavano Bella ciao (a quel tempo, la distinzione fra turco e curdo non la facevamo ancora), quindi ben prima del serial. Fu una registrazione di fortuna, ma dovremmo averla in archivio del Circolo Gianni Bosio”. Anche Cesare Bermani, nel libro appena uscito Bella ciao. Storia e fortuna di una canzone, ricorda che “risale agli anni novanta la versione curda, che mantiene nel ritornello l’inciso in italiano Bella Ciao […]. Essa è stata registrata a Venezia nel corso del 1998, durante una festa al campo dei profughi curdi, da Antonella De Palma” (n.d.r.).