Ci riflettevo proprio negli ultimi giorni insieme con una collega: a scuola, come nella vita, le lezioni migliori sono quelle che nascono da una passione. Sono quelle che vedono coinvolte per qualche ora tutte le cellule del tuo corpo, quelle in cui non ti accorgi neppure di avere al polso un orologio, quelle in cui vorresti che la campanella non suonasse mai. È da questo presupposto che voglio partire per raccontare il lavoro che ho svolto nello scorso anno scolastico insieme con la “mia” ex 3^F (scuola secondaria di primo grado “G. Scarpa” di Villorba, TV).
Sono entrata in aula un giorno di ottobre svelando che nel tempo libero mi diletto in ricerche di storia orale, una delle quali ha avuto come tema l’emigrazione oltreoceano di una donna tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 del secolo scorso. Ho presentato quel lavoro e, con la democraticità assertiva che contraddistingue le proposte fatte da un’insegnante, ho domandato alla classe se ritenesse di essere capace e interessata a sviluppare qualcosa di analogo. Una volta assodato che da parte dell’uditorio non vi era intenzione di spegnere il mio entusiasmo, si è intavolata una discussione da cui è emerso lo scopo principale del lavoro, ovvero quello di conoscere le singole vicende delle persone immigrate o emigrate per trovare punti di contatto e differenze tra le storie di vita. Per passare l’idea che lavorare con le interviste è un atto che richiede inventiva e che mette anche un po’ in discussione il modo tradizionale di far scuola, ho raccontato che il mio primo maestro amava molto la metafora per cui chi si cimenta con le fonti orali è una specie di apprendista a bottega. Non ha a disposizione manuali da cui apprendere “come si fa” storia orale, ma può imparare dall’esperienza di tante persone che da più tempo utilizzano questi materiali per scoprire un passato che spesso non trova spazio né dignità nei libri di scuola.
Dalla lezione successiva abbiamo cominciato finalmente a “sporcarci le mani”. Ogni studente ha individuato una persona da intervistare, nella stragrande maggioranza dei casi parenti o amiche/amici di famiglia, sia molto giovani (è il caso delle figlie e dei figli di famiglie immigrate nel nostro Paese) sia avanti con l’età (nonni e nonne emigranti, per esempio). Prima di dare il via libera alla registrazione delle interviste, l’unico passaggio avvenuto fuori dalle mura scolastiche, abbiamo discusso sull’atteggiamento con cui avvicinarsi a chi racconta la sua storia, che abbiamo concluso dover essere auspicabilmente empatico e curioso. Per aiutare la gestione del colloquio abbiamo poi stilato insieme una lista di domande da tenere a mente, sapendo però che sarebbe stato opportuno aprire l’intervista con l’invito a parlare liberamente della propria esperienza migratoria, in modo da lasciare al/alla testimone la libertà di spaziare sulle tematiche che sente più importanti.
Una volta raccolti i documenti orali, della durata media di 30-40 minuti, abbiamo proceduto in classe alla trascrizione e alla sistemazione dei testi così ottenuti in un italiano leggibile. Infine ogni studente ha preparato una presentazione per il resto della classe: le registrazioni degli interventi si possono ascoltare qui (una breve presentazione del lavoro scritta da due alunne si può leggere cliccando sul titolo dell’infografica). È in questi momenti che ho provato il maggiore stupore e la più grande soddisfazione. L’atto del trasformare in power point una storia di vita facendo “taglia e incolla” e scegliendone i punti più salienti, ma più ancora il trascriverla sono stati motivi di confronto e crescita. A distanza di un anno ho ancora nelle orecchie il silenzio creativo nel quale abbiamo passato queste ore, ma mi tornano in mente anche scambi come:
“Ma tu gli ehm li trascrivi tutti?”
“Sì, dobbiamo scrivere tutto tutto sennò poi non ci capiamo più” oppure “No, dai, l’importante è che teniamo il senso”
che hanno davvero trasformato l’edificio scolastico in un’officina in cui aspiranti storiche e storici cercano insieme di trovare soluzioni alle questioni che chiunque abbia avuto a che fare con la sbobinatura e la restituzione dei contenuti di un’intervista ha inevitabilmente affrontato.
Prima di ascoltare le ricerche di ogni studente abbiamo voluto fermarci a riflettere su ciò che un lavoro simile può dare in termini umani e non solo disciplinari. Ne è emerso che entrare in contatto con i sentimenti di chi compie la scelta di migrare ha senz’altro aiutato a ragionare in maniera più profonda sul fenomeno, al di là di stereotipi e pregiudizi. È stato messo in evidenza che confrontarsi con le fonti orali è stata per certi versi una sfida, sicuramente un’esperienza potente. Bisogna fare i conti con le emozioni da gestire quando un essere umano diverso da noi ci sta affidando qualcosa di assai personale, con le difficoltà da superare in fase di trascrizione, con la responsabilità di essere custodi di un tesoro che ci è stato affidato da qualcuno a cui siamo riusciti a ispirare fiducia.
Nonostante le ricerche siano state presentate tra novembre e dicembre, l’infografica è stata resa pubblica a giugno per questioni burocratiche legate alla raccolta delle liberatorie per la privacy. Il risultato, che aspettavamo da mesi, che ci ha regalato un’enorme soddisfazione: quella di vedere sul Web, potenzialmente alla portata di tutto il mondo, i capolavori realizzati con dedizione e coinvolgimento in un’aula di informatica che una ventina di studenti è riuscita a trasformare nella bottega della corporazione degli storici e delle storiche orali.