di Patrick Urru
Pubblichiamo l’intervento “Archivio, comunità, patrimonio: la prospettiva della storia orale” di Patrick Urru, proposto nella sessione La costruzione degli archivi. Inidizzare e metadatare del convegno Fonti orali. Archivi e riuso tenutosi a Modena l’11 dicembre 2024.
Il momento si rivela particolarmente significativo non solo per esplorare il complesso rapporto tra archivio, comunità e patrimonio dalla prospettiva della storia orale, ma soprattutto per delineare il quadro teorico e metodologico di una delle iniziative sviluppate dall’Associazione Italiana di Storia Orale negli ultimi anni. Mi riferisco alle scuole di storia orale nel paesaggio, un’esperienza che nel tempo si è consolidata non solo come preziosa consuetudine, ma come laboratorio metodologico di ricerca e formazione. E che rispecchia dal mio punto di vista nel modo migliore il complesso rapporto di cui si diceva prima.
Le scuole nel paesaggio costituiscono infatti un momento di sintesi, in cui questi elementi possono non solo incontrarsi, ma anche fondersi e arricchirsi reciprocamente, aprendo nuovi orizzonti di ricerca e di interpretazione. Proprio per questo valore intrinseco, sono fermamente convinto che sia giunto il momento di avviare una sistematizzazione dell’esperienza accumulata in questi anni. Il rischio concreto che vedo è che questo prezioso patrimonio di conoscenze, metodologie e relazioni possa disperdersi nella quotidianità operativa, proprio in una fase in cui la storia orale, e in particolare queste scuole, stanno catalizzando un interesse crescente nelle comunità locali.
È proprio in questa prospettiva che si colloca la mia proposta di costruire un archivio di storia orale nel paesaggio. Un’iniziativa che va ben oltre la mera conservazione di materiali e documenti, mirando invece a dare forma strutturata a un’esperienza che ha dimostrato di poter generare modalità innovative di comprensione e interpretazione del rapporto tra comunità e paesaggio, tra memoria e patrimonio culturale. Questo archivio potrebbe diventare non solo una raccolta di esperienze, ma un vero e proprio strumento di ricerca e di elaborazione metodologica.
Mi preme sottolineare che il mio contributo nasce dalla prospettiva di chi ha partecipato ad alcune, ma non a tutte le scuole organizzate. Non faccio parte del gruppo scuole presente all’interno di AISO, che potrebbe già aver avviato una riflessione sistematica in questa direzione – circostanza che ignoro. Se così fosse, considerate il mio intervento come uno dei tanti possibili spunti di riflessione per la costruzione di un progetto più ampio e strutturato.
Pur rivolgendomi a un pubblico esperto, ritengo utile ricordare che la storia orale si configura come una metodologia di ricerca che comprende non solo la raccolta e conservazione, ma soprattutto l’interpretazione di dialoghi su eventi storici o esperienze umane del passato. L’elemento interpretativo costituisce il ponte fondamentale tra la storia orale e l’indagine storica, permettendoci di esplorare non solo la verità fattuale, ma il significato che gli intervistati attribuiscono agli eventi.
L’aspetto interpretativo assume una rilevanza ancora maggiore quando consideriamo la pratica del riuso delle fonti orali. Quando torniamo a utilizzare interviste già precedentemente elaborate e interpretate, non stiamo semplicemente recuperando materiale d’archivio: stiamo attivando un processo di ri-significazione che può generare nuove chiavi di lettura e nuove prospettive di comprensione. Ogni nuovo utilizzo di un’intervista apre la possibilità di scoprire significati precedentemente inesplorati, di stabilire connessioni inedite, di illuminare aspetti rimasti in ombra nelle interpretazioni precedenti. Il riuso diventa così non solo una pratica di conservazione e valorizzazione del patrimonio di fonti orali, ma un vero e proprio strumento di produzione di nuova conoscenza.
Non abbiamo il tempo, né questa è la sede appropriata, per un’analisi dettagliata di tutte le scuole di storia orale nel paesaggio organizzate in questi anni. Il percorso è stato ricco e variegato, a partire dalla prima esperienza di Corleone nel 2017 fino alle più recenti iniziative programmate per il 2024 a testimonianza della vitalità e della diversificazione di questo approccio formativo.
La peculiarità di questo approccio risiede nella concezione stessa di paesaggio adottato nelle scuole. Non ci si limita infatti a considerarlo come un territorio geograficamente delimitato, ma è interpretato come uno spazio vissuto, un intreccio complesso di storie, memorie e relazioni stratificate nel tempo. Il paesaggio non fa quindi da semplice sfondo alle interviste, ma diventa parte attiva nel processo di costruzione della memoria.
In questo contesto, le scuole si configurano come veri e propri laboratori formativi dove i partecipanti non solo apprendono le tecniche di raccolta delle interviste, ma sviluppano la capacità di leggere e interpretare il paesaggio attraverso le voci di chi lo ha abitato e trasformato. Il paesaggio emerge così nella sua dimensione più complessa: uno spazio denso di relazioni, pratiche e significati in continua evoluzione.
Particolarmente significativa è la dimensione multi-temporale di questo approccio. Durante le interviste nel paesaggio, si attiva un processo dove passato e presente si intrecciano attraverso l’esperienza diretta del luogo. Gli intervistati, trovandosi fisicamente negli spazi di cui parlano, accedono a memorie più vivide e stabiliscono connessioni più profonde tra le loro esperienze passate e il presente. Il paesaggio diventa così un vero co-narratore, la cui presenza fisica stimola ricordi e riflessioni attraverso la sua capacità di evocare memorie incorporate.
Analizzando più in profondità la metodologia delle scuole di storia orale nel paesaggio, emerge chiaramente come AISO e i partecipanti non si limitino a studiare il paesaggio, ma si inseriscano attivamente nel suo tessuto e in quello della comunità che lo abita. Questo processo di innesto rappresenta l’introduzione consapevole di un nuovo elemento in un sistema complesso preesistente, attivando quello che potremmo definire un processo di con-crescita: un intervento che, interagendo con la realtà esistente, genera qualcosa di nuovo e più ricco della somma delle sue parti.
Si viene così a costituire un nuovo patrimonio, un insieme articolato di valori tanto materiali quanto immateriali che, pur appartenendo specificamente a una comunità o a singoli individui, assume la valenza di bene comune, di patrimonio collettivo che arricchisce l’intera società.
La relazione che si sviluppa tra AISO, la comunità locale e il committente che richiede l’organizzazione della scuola rappresenta un elemento cruciale di questo processo. Questa triangolazione ci permette di superare il rischio di un approccio universalizzante, riconoscendo come ogni esperienza abbia una sua specificità tanto culturale quanto storica. Ogni voce raccolta, ogni percorso tracciato, ogni memoria condivisa durante le scuole aggiunge un nuovo strato di significato alla già ricca stratificazione del paesaggio.
La varietà delle comunità incontrate nelle scuole di storia orale nel paesaggio rappresenta uno degli aspetti più stimolanti e, al contempo, più complessi di questa esperienza. Ci si trova infatti ad interagire con realtà profondamente diverse tra loro, che si distinguono non solo per composizione generazionale, ma anche per background culturale e orientamento politico. In questo contesto, si è rivelata fondamentale la collaborazione con le organizzazioni già radicate nel territorio, che spesso sono le stesse che si rivolgono ad AISO per l’organizzazione di queste esperienze formative.
La prospettiva delle comunità coinvolte si articola in modi molteplici e talvolta contraddittori. Da un lato, emerge frequentemente una posizione caratterizzata da una dimensione conflittuale e di protesta nei confronti delle trasformazioni del paesaggio. Dall’altro, si manifesta spesso un desiderio di valorizzazione del proprio patrimonio culturale e delle proprie pratiche comunitarie, quasi alla ricerca di un riconoscimento pubblico che legittimi le scelte e le azioni intraprese nel tempo.
La complessità di queste dinamiche si riflette anche nell’interesse delle istituzioni politiche e dei media locali, a dimostrazione di come queste esperienze di storia orale nel paesaggio diventino un punto di convergenza di interessi e prospettive diverse, dove ciascun attore cerca di orientare il processo secondo le proprie finalità.
In questo scenario articolato, diventa cruciale trovare un equilibrio tra le aspettative di chi si rivolge ad AISO e l’approccio metodologico dell’associazione alla formazione. Quest’ultimo si dovrebbe basare su pochi ma solidi suggerimenti, codificati per esempio nel Vademecum per le fonti orali e nelle Buone pratiche, avvalendosi dell’esperienza preziosa dei membri senior dell’associazione, che hanno sviluppato nel tempo una profonda competenza nella conduzione delle interviste.
Non possiamo nascondere che questo equilibrio non sia sempre facile da raggiungere. Si sono verificati momenti di incomprensione tra le iniziative proposte da AISO e le aspettative dei partecipanti, spesso alle prime esperienze nel campo della storia orale. Questi ultimi, pur consapevoli della necessità di acquisire competenze trasversali, manifestano frequentemente l’urgenza di ottenere indicazioni pratiche immediatamente spendibili nel loro lavoro sul campo.
La sfida più importante rimane quella di accompagnare i partecipanti in un percorso che permetta loro di sviluppare esperienze di ricerca nel paesaggio capaci di generare valore e di costituire un patrimonio documentale significativo. Un patrimonio che non rimanga chiuso in se stesso, ma che possa essere conservato e reso accessibile per alimentare nuovi percorsi di ricerca e di comprensione del paesaggio.
Giungiamo ora al nucleo centrale del nostro incontro: l’archivio. Mi scuso per l’ampiezza delle riflessioni precedenti, ma ritengo fossero indispensabili per delineare il contesto complesso all’interno del quale ci muoviamo. Un contesto caratterizzato da una metodologia di ricerca ormai consolidata, da una straordinaria varietà di paesaggi e comunità, e soprattutto da un ricchissimo patrimonio documentario prodotto durante queste esperienze formative: dalle interviste audio e video al materiale fotografico, dai report analitici dei partecipanti fino ai podcast e a molte altre forme di documentazione.
La questione archivistica sta assumendo un’importanza sempre più centrale per l’associazione, come dimostra la recente costituzione, pur tra varie difficoltà, di un gruppo di studio dedicato specificamente a questo tema. Come ha già ricordato Silvia Filippin nel suo intervento, AISO ha inoltre dato un contributo significativo alla redazione del Vademecum per il trattamento delle fonti orali, collaborando con partner di primaria importanza nel settore.
Nel corso degli anni, l’associazione ha perseguito due strategie parallele: da un lato, ha tentato di costruire archivi propri, dall’altro ha cercato di stabilire collaborazioni con istituzioni pubbliche già esistenti come archivi, biblioteche ed ecomusei. Questa seconda strada riflette la profonda consapevolezza dell’importanza di conservare il materiale in luoghi accessibili al pubblico, trasformandolo effettivamente in un bene pubblico e comune. Tuttavia, l’esperienza sul campo ha rivelato una realtà più complessa del previsto: se alcuni enti pubblici hanno mostrato interesse e disponibilità ad accogliere questo materiale, altri hanno manifestato comprensibili perplessità di fronte alla gestione di una documentazione così particolare, che richiede tempi e modalità di trattamento non ordinari. Posso testimoniare direttamente come le amministrazioni pubbliche siano già oberate dal lavoro ordinario, rendendo particolarmente difficile l’accoglimento di nuovi materiali che richiedono tempi lunghi e trattamenti specifici. Questa situazione ha portato, in alcuni casi, alla creazione di archivi di comunità in condizioni che, usando un eufemismo, potremmo definire precarie.
È fondamentale chiarire che quando parliamo di archivio, ci riferiamo a qualcosa di molto specifico: un complesso organico di documenti prodotti, ricevuti e acquisiti da un soggetto nell’esercizio della propria attività, senza distinzione di tipologia o supporto. Non stiamo parlando di una semplice raccolta di materiali, ma di un organismo vitale che riflette dinamicamente la vita di una comunità o di un individuo, un sistema la cui natura e finalità sono in continua evoluzione.
Su questo punto vorrei essere particolarmente chiaro: non possiamo parlare di archivio in assenza di un ordine strutturato, per quanto la sua costruzione possa risultare faticosa e talvolta necessariamente approssimativa. È fondamentale seguire un processo rigoroso di indagine, ricostruzione e interpretazione degli avvenimenti storici, rispettando quel vincolo archivistico che collega in maniera logica e necessaria la documentazione. Si tratta di un lavoro complesso di ricostruzione e articolazione, dove le informazioni di contesto e di contenuto devono essere raccolte e organizzate per creare un quadro logico e fisico che possa essere poi restituito attraverso adeguati strumenti di ricerca.
Come le interviste di storia orale, anche l’archivio si configura come una costruzione originale, che richiede una particolare sensibilità nel comprendere e bilanciare gli elementi costanti e le variabili, per restituire tutte le sfumature che lo caratterizzano. La contestualizzazione assume in questo senso un ruolo cruciale: è necessario identificare e comprendere a fondo i soggetti coinvolti nella creazione dell’archivio, una molteplicità di attori e situazioni talmente varia che mi trova pienamente d’accordo con l’affermazione secondo cui ‘la realtà è l’unico vero e sfuggente soggetto produttore’. Tuttavia, rimane imprescindibile il compito di chiarire di quali realtà specifiche stiamo parlando in ogni singolo caso.
Sono fermamente convinto che un archivio di storia orale nel paesaggio possa rivestire un notevole interesse tanto storico quanto archivistico, configurandosi come uno strumento prezioso per comprendere fenomeni culturali più ampi. Questo potenziale può realizzarsi pienamente solo se si pone la dovuta attenzione alla tutela, alla descrizione e all’ordinamento della documentazione.
Per questo motivo, ritengo sia quanto mai urgente intervenire con un atto preventivo di sistematizzazione dei documenti per progettare l’archivio in modo strutturato. L’obiettivo deve essere quello di ottimizzare la tenuta del materiale senza perderne il valore storico. È necessario avviare un censimento accurato per individuare l’esistenza, la consistenza e lo stato di conservazione di tutto ciò che è stato prodotto nelle scuole di storia orale nel paesaggio. Parallelamente, è fondamentale iniziare da oggi a fare in modo che questa cultura dell’archivio diventi parte integrante dell’orizzonte teorico e metodologico delle scuole stesse.
Credo quindi che sia giunto il momento di fare una pausa di riflessione collettiva per censire il materiale raccolto nelle varie esperienze e progettare la costruzione di un grande archivio di storia orale nel paesaggio. Un progetto che dovrà necessariamente trovare un equilibrio tra il rigore metodologico archivistico e un indispensabile pragmatismo operativo.
Quest’ultimo aspetto assume particolare rilevanza quando ci troviamo a dover individuare lo spazio più adatto ad accogliere una documentazione tanto eterogena quanto complessa, sia dal punto di vista dei contenuti che dei principi archivistici. Chi mi conosce sa che nelle mie riflessioni ho sempre privilegiato un approccio caratterizzato dalla prossimità al paesaggio, sostenendo con convinzione il deposito della documentazione presso enti pubblici – archivi, biblioteche, musei – già radicati nelle comunità locali. Questa scelta non è casuale, ma riflette la volontà di sancire un patto di fiducia tra il paesaggio, la scuola e le comunità coinvolte.
Sono profondamente convinto che la documentazione prodotta in un determinato paesaggio acquisti maggiore valore e significato quando viene conservata nel luogo stesso della sua creazione, diventando parte integrante del patrimonio culturale delle comunità che l’hanno generata. Nonostante le numerose difficoltà precedentemente evidenziate, continuo a credere che l’ente pubblico, per sua stessa natura, rappresenti il depositario naturale di un patrimonio che ha nella condivisione il suo elemento fondante.
Tuttavia, proprio in considerazione delle complessità operative che caratterizzano il lavoro nelle istituzioni culturali pubbliche, ritengo sia diventato indispensabile affiancare a questa dimensione territoriale una componente digitale. Questa integrazione permetterebbe di ampliare significativamente la platea delle comunità che possono beneficiare di queste esperienze, che ai miei occhi si configurano come veri e propri progetti di ricerca di storia orale.
Ad oggi, devo ammettere di non aver ancora individuato uno spazio digitale pienamente adeguato a questo scopo. Nessuna delle piattaforme esistenti sembra in grado di restituire la complessità di un archivio di questo tipo, sia dal punto di vista strutturale che contestuale e contenutistico. È proprio in nome di quel pragmatismo operativo cui accennavo che AISO ha deciso di aderire all’esperienza di Lodovico, uno spazio digitale per la fruizione di contenuti multimediali, di cui sentiremo parlare a breve.
Guardo con particolare interesse e fiducia a questa possibilità, nella speranza che possa rappresentare la strada giusta per dare voce a un archivio capace di tenere insieme le molteplici comunità coinvolte nella sua produzione e valorizzazione. Un archivio che possa diventare non solo un deposito di memorie, ma un vero e proprio strumento di dialogo tra passato e presente, tra diverse generazioni e comunità, tra paesaggi diversi ma accomunati dalla stessa volontà di preservare e trasmettere la propria memoria storica.