David Bidussa, Dopo l’ultimo testimone, Einaudi, Torino 2009, pp. 132.
recensione di: Alessandro Cattunar
Che significato ha assunto, oggi, il Giorno della memoria? Quali domande pone alla comunità degli storici e, più in generale, alla società italiana? Il breve saggio di David Bidussa cerca di rispondere a queste domande. Questo tentativo porta, inevitabilmente, a constatare e a denunciare una crisi del Giorno della memoria, una crisi che si manifesta almeno sotto tre aspetti: nella trasmissione della conoscenza del genocidio ebraico delegata ai testimoni diretti, nella prevalenza del “dovere della memoria” rispetto alla dimensione della conoscenza critica storica e nel rapporto squilibrato tra memoria e storia che implica un rovesciamento e dunque la messa in questione della memoria stessa.
Al di là di queste constatazioni, però, l’autore si rende rapidamente conto che intorno al Giorno della memoria si addensano questioni ben più ampie, questioni che chiamano in campo la definizione dello statuto della testimonianza, il rapporto fra il testimone e lo storico, la formazione memoria collettiva e l’uso pubblico del passato. Inoltre, affrontare la storia del genocidio ebraico richiede di indagare la storia politica, culturale, civile della società italiana, porta a chiedersi che cosa significhi sollecitare una riflessione pubblica sul genocidio degli ebrei e come i tempi e i modi della memoria possano costituire l’agenda culturale di un’intera collettività. Ci si interroga sulla capacità della società civile di saper intravvedere nel passato, anche prossimo, non solo le domande o le inquietudini, ma anche le remore, le autocensure che riguardano il presente.
L’autore pone questa ampia gamma di questioni all’interno di un contesto nuovo che – ipotizzando il superamento di quell’era del testimone descritta da Annette Wievorka – potrebbe essere definito l’era della postmemoria. «Una volta che le voci testimoniali di un evento scompariranno che cosa avremo in mano? Come elaboreremo quel vuoto? E allo stesso tempo come rifletteremo?» In questo contesto, Bidussa pone in particolare il problema del rapporto tra testimonianza e storia. In che modo gli storici si rapporteranno con «l’enorme cumulo di storie, immagini, voci» a cui sarà necessario dare un ordine?
Discutere oggi sulla questione della scomparsa dei testimoni significa, per Bidussa, affrontare un «discorso pubblico sull’uso politico del passato, di come questo si ricostruisce, di come viene confezionato e musealizzato e dunque contemporaneamente “esaltato”, “neutralizzato” e “trivializzato”».
Senza mettere in dubbio la centralità delle problematiche poste dall’autore, durante la lettura di questo breve libro – e forse proprio per la sua brevità – si sente, alle volte, un certo disagio. Un disagio che deriva probabilmente dall’eccessiva quantità di questioni messe in campo. Questioni teoriche e pratiche estremamente complesse – che riguardano non solo un’ipotetica era della postmemoria ma anche, pienamente, l’era del testimone – riguardo alle quali si sente la necessità di una trattazione più ampia e approfondita che porti ad una maggiore sistematizzazione. (Alessandro Cattunar)