di Jessica Matteo
Nel suo ultimo lavoro, L’equilibrio mobile. Storie a confronto: Carlo, Minetto e la Sesta Zona partigiana, Manlio Calegari, storico del movimento partigiano, racconta con il suo inconfondibile stile quella che si può considerare la genesi della sua ricerca trentennale sul partigianato attraverso l’uso di interviste e di cui ha scritto in Comunisti e partigiani, Cara Marietta, caro professore, La sega di Hitler, Parole in gioco, Behind the lines (per approfondire rimando all’intervista a Calegari che ho raccolto per la rubrica del sito di AISO).
Come inizia tutto, vale a dire come iniziano la ricerca e un pezzo di vita di un ricercatore?
In questo caso tutto ha inizio con il progetto di Giambattista Lazagna (GB per gli amici e Carlo per i partigiani) di organizzare nel 1986 a Cabella-Carrega un incontro non celebrativo sulla Resistenza in Val Borbera – incontro slittato al 23 agosto 1987, durante la manifestazione annuale in memoria della battaglia di Pertuso. Alla fine degli anni Ottanta, GB – come viene chiamato dall’autore – vuole tornare sulla scena politica con quello che è un tema a lui caro: la memoria della «comunità partigiana». Nello specifico, come ci racconta Calegari, GB vuole organizzare un incontro e scrivere un «opuscoletto» sul controverso comando della Sesta Zona partigiana, controverso perché c’erano visioni discordanti sul ruolo decisionale del PCI all’interno delle brigate e dei distaccamenti, in quanto, in alcuni casi, i comandanti rivendicavano una loro autonomia. Erasmo Marrè (Minetto) l’ha definito, in un documento del 26 maggio 1945, un «equilibrio mobile», perché, nonostante i contrasti ai vertici della Sesta Comando Zona, non si era mai sfociati in uno scontro aperto.
È qui che entra in gioco Manlio Calegari, già frequentatore di casa Lazagna. GB chiede a Calegari di scrivere l’opuscoletto mettendo insieme dei materiali che egli stesso gli avrebbe fornito e di presentare il lavoro alla manifestazione del 23 agosto. Calegari, nonostante un’iniziale ritrosia – all’epoca si occupava di pratiche artigiane –, accetta e inizia lo studio del partigianato, andando tuttavia ben oltre il mero lavoro di assemblaggio. L’autore condurrà infatti una sua ricerca che lo porterà a studiare le carte del movimento partigiano e del Partito Comunista, a scoprire un mondo fatto di parole nuove che descrivevano quei gesti della Resistenza a cui si era dato un senso nel dopoguerra, a ripercorrere il movimento del ‘68 che aveva conosciuto in prima persona e che, in quanto movimento, non era lontano da quello che andava imparando sui partigiani, a intervistare uomini e donne che avevano fatto parte del movimento partigiano dell’alessandrino. Del resto, credo che senza la storia orale difficilmente Calegari avrebbe potuto comprendere a pieno quel ruolo controverso di cui parlava GB.
I veri protagonisti del libro sono le intervistate e gli intervistati: non a caso metà di questo è dedicato alle interviste raccolte per quell’occasione e riascoltate e ricomprese oggi, a più di trent’anni di distanza, tratteggiando così una sorta di meta-storia orale. L’equilibrio mobile è dunque un libro sulla storia della Resistenza, ma si occupa anche di metodologia della storia orale. Infatti, fra le righe, si legge il racconto di come si crea una fonte orale: la relazione intervistato-intervistatore, l’instaurazione di rapporti di fiducia, il ruolo degli intermediari e la costruzione di una rete, temi cari alla storia orale che ricorrono in tutto il testo.
La fonte orale non è più malleabile di quella scritta. Come su quest’ultima preme la committenza così l’orale risente, fin dalla sua formazione, della figura dell’intervistatore – l’osservatore che modifica sempre quanto osservato. […] è decisivo il rapporto che si crea tra chi fa domande e chi è chiamato a rispondere. Viste le relazioni che GB aveva con gli intervistati, questi trasferivano su di me simpatie o cautele che mostravano nei suoi confronti. Per quanto mi riguarda procedevo a braccio e non impiegai molto a rendermi conto che la trama costruita attorno ad una cronologia rigorosa proveniente dalla fonte scritta e puntualizzata da verbali di riunioni e messaggi, aveva riscontri deboli e più spesso generici nei ricordi degli intervistati. Lasciandomi persino il dubbio che il poco elargito, peraltro con formule vaghissime, fosse per non deludermi. Invece raccontavano d’altro con abbondanza sopportabile solo perché in attesa di quel che andavo cercando. […] Cronologia e dinamiche interne restavano sullo sfondo, quasi irrilevanti rispetto al personale bilancio dell’esperienza. (pp. 28-29)
Le interviste ai partigiani della Sesta erano avvenute in gran parte grazie alla mediazione di GB, il quale, pur restando in disparte, era spesso presente agli incontri. Altre erano il frutto di un passaparola: Calegari veniva introdotto ad altri testimoni dagli stessi intervistati. In altri casi ancora erano conoscenze dell’intervistatore stesso.
Il modo in cui nel testo vengono restituite le interviste non è meno importante della creazione della rete. Calegari procede intrecciando parti di discorso diretto con il diario di campo dell’intervistatore, contenente note sul contesto e sugli intervistati: un intreccio intessuto magistralmente dall’autore e che, come accade anche con La sega di Hitler, permette al lettore di sentirsi parte dell’incontro fra intervistato e intervistatore. Manlio Calegari, fra il 1986 e il 1987, intervista quattordici persone, di cui undici uomini (Minetto, Falco, Don Giulio, Lido, Giorgio Gemelli, Gino, Arrigo, Ottavio, Edoardo, Dente), fra cui lo stesso GB, e tre donne (Nela, vedova di Miro, comandante iugoslavo della Sesta Zona; Anna, sorella di GB e osservatrice di quelle vicende; Marietta – Angela Berpi –, “infermiera camminatrice” comunista). Le ultime pagine del volume, infine, sono dedicate all’intervista di GB a Minetto registrata tra il 1994 e il 1996, a cui, nella versione scritta, GB aggiunge anche le sue risposte alle domande che aveva posto a Minetto.
La sfida prima della storia orale è riassunta nelle parole che Manlio Calegari scrive all’inizio del suo libro: «Bisogna rompere l’organizzazione del ricordo che nel tempo ha vissuto una sistemazione» (p. 31). In quest’opera l’autore pone quella sfida a se stesso, applicando il punto di vista oralista al suo lavoro, per tornare all’inizio di tutto dopo decenni di studio: perché in fondo le interviste che raccogliamo ce le portiamo dietro, e dentro, per tutta la vita.
L’equilibrio mobile. Storie a confronto: Carlo, Minetto e la Sesta Zona partigiana
di Manlio Calegari
Impressioni Grafiche
Acqui Terme (AL), 2020
p. 104
€ 10,00