Intervista di Sara Bombardieri.
Intellettuali, culture locali, archivi orali: questo il tema del corso di Storia orale del 2019 all’Università di Venezia; al centro c’era l’idea che la storia orale in Italia sia stata, per alcuni decenni, un movimento largo, che ha mobilitato una generazione di intellettuali “diffusi”, attivi anche al di fuori dei circuiti e dei luoghi più noti, che dagli anni Ottanta in avanti hanno condotto ricerche, scritto libri, fondato associazioni, spesso registrato e conservato interviste.
Di loro sappiamo poco. Li siamo andati a cercare. Gli abbiamo chiesto di raccontarci le loro traiettorie di vita e di ricerca. E di dirci che cosa è rimasto dei loro archivi, dei documenti che hanno raccolto, e a chi pensano di consegnare la loro “eredità materiale” fatta di nastri e cassette con le mille voci che hanno ascoltato. Ne sono usciti degli incontri singolari, illuminanti, talvolta toccanti.
Le persone intervistate sono state scelte dai/dalle studenti/studentesse del corso, cui era stata data la consegna di cercarle soprattutto a ridosso dei propri luoghi di provenienza o d’elezione, o dei propri temi di ricerca.
Cominciamo con Rosarita Colosio di Monte Isola, provincia di Brescia, intervistata da Sara Bombardieri, studentessa di Antropologia.
Rintraccio Rosarita Colosio – in foto qui sopra – grazie a Maria Rosa Zanola, ex insegnante elementare di Paderno Franciacorta e amica dei miei genitori. Dopo un primo contatto telefonico ci incontriamo di persona a una rappresentazione teatrale ispirata al suo libro Le donne del lago. 1880-1960 [1]. In questa occasione Rosarita è molto concentrata sullo spettacolo, ma riusciamo a ritagliarci un momento per scambiare due parole; le spiego brevemente da dove nasce il mio desiderio di incontrarla, senza troppe domande acconsente a farsi intervistare e mi dà appuntamento al giorno successivo. La incontro quindi quel lunedì (25 marzo 2019), e una seconda volta dopo circa due mesi (3 giugno): le citazioni che seguono sono tratte da queste due interviste.
Nei nostri colloqui Rosarita mantiene un atteggiamento molto professionale, risponde a tutte le mie domande, desiderosa di aiutare come può. La distanza che contraddistingue la nostra relazione è testimoniata dalla sua prima richiesta: dopo aver trascritto le registrazioni dovrei cancellarle. Spiego meglio le mie intenzioni, acconsente alla registrazione e alla sua conservazione, anche se l’accordo vero e proprio lo troviamo durante la seconda intervista, quando ci conosciamo meglio e la rassicuro ulteriormente. Il clima del secondo incontro è diverso: ci si perde in più digressioni alla luce della maggiore conoscenza reciproca; anche il paesaggio aiuta a mantenere il colloquio su toni più informali: siamo ora sedute su una panchina sulla sponda di Monte Isola (che noi diciamo Montisola), vicinissime al lago, mentre il primo dei nostri incontri si è svolto in un ufficio dell’associazione Rete di Daphne, a Iseo, presso la quale fa volontariato.
Nei nostri incontri mi racconta dei molti progetti ai quali si è dedicata: arrivo da lei conoscendo e avendo letto soltanto Le donne del lago, sarà lei durante i nostri incontri a introdurmi alle altre sue produzioni, soprattutto a quelle contenenti interviste. Parlare delle sue opere la rende genuinamente felice, soprattutto il ricordare le interviste; spesso infatti iniziamo a parlare di un libro, delle pratiche con le quali conduceva la ricerca, ma basta poco e si passa a parlare delle persone che ci sono dentro a quel libro, utilizzando molto del nostro tempo raccontando le storie di donne che ha conosciuto, che ha incontrato, le cui vite l’hanno colpita. Mi ripete le vicende che le sono state raccontate come se in parte ascoltandole le avesse vissute anche lei, con passione e soprattutto rispetto.
La fatica che in alcuni momenti riscontro nel suo parlare con me, nello sviluppare sì discorsi autonomi dalle mie domande ma comunque brevi, la sua riservatezza, forse l’hanno aiutata nell’arte dell’ascolto: grazie a questa dote è riuscita a far prevalere l’orecchio sulla bocca. Ritrovo in lei una propensione innata all’intervista e in modo particolare all’ascolto.
La formazione
Iniziamo la prima intervista e desidero conoscerla, mi racconta di sé, della sua vita: nata a Montisola (il 26 ottobre 1947) ha sempre vissuto sull’isola, ad oggi risiede ancora a Siviano. Ma il suo racconto vero e proprio inizia con le vicende all’esterno dell’isola: per diciotto anni ha infatti insegnato alle scuole elementari di Clusane. È interessante notare questo inizio del racconto, se si osserva che in realtà questo non è stato il suo primo lavoro, come afferma poco dopo: “Lavoravo in fabbrica a Montisola, poi ho fatto le scuole serali e ho ottenuto il diploma di maestra elementare”; lo studio acquisisce una posizione di preminenza fungendo da incipit del suo racconto. Spiega ulteriormente il contesto dal quale proviene e nel quale sua sorella (in collegio per problemi di salute) fu la prima a laurearsi a Montisola: “Erano gli anni durante i quali nessuna ragazza a Montisola frequentava la scuola perché c’erano le fabbriche di reti e tutte le ragazze vi lavoravano, alla fine delle elementari o a quattordici anni si andava già in fabbrica”.
Nonostante studiare non fosse comune Rosarita riesce quindi, da privatista, grazie alla scuola serale dove si recava in base ai turni di lavoro in fabbrica, a diventare maestra elementare di ruolo. In questo periodo partecipa anche alla lotta per i turni lavorativi di otto ore, impegnandosi principalmente nei retifici di Montisola.
La passione per lo studio non si esaurisce, Rosarita non si accontenta del diploma e si laurea in pedagogia (studiando prima a Brescia e l’ultimo anno a Parma). Questa laurea non le serve dal punto lavorativo, ma da quello umano e personale:
Non ho utilizzato la laurea perché sono rimasta alle elementari, mi piacevano troppo. La laurea serviva a me perché era il mio sogno. Quando poi sono andata in pensione ho realizzato l’altro sogno: la laurea in storia a Venezia.
Grazie alle politiche pensionistiche del tempo, quindi, Rosarita riesce a realizzare questo suo secondo sogno presso Ca’ Foscari. La sua tesi in questa seconda laurea ha già come soggetto le donne del lago, lavoro che approfondirà e pubblicherà poi. L’interesse che matura in quest’ambito è legato sia alla sua esperienza, sia alla storia dei luoghi del lago:
Avevo lavorato anche io in queste fabbriche di reti per dieci anni. Quando ho superato l’odio verso questo mestiere ho iniziato a lavorare al libro sulle donne del lago, alle quali avevo già dedicato la tesi in storia a Venezia. Ho continuato dunque questo progetto non fermandomi all’isola ma all’intero lago, per poter osservare tutti i mestieri che l’avevano caratterizzato: filande, retifici, insomma… storie di donne.
La ricerca e le interviste
Rosarita è spinta nella sua ricerca da un animo compilativo per certi versi non dissimile da quello di Nuto Revelli quando afferma: “Sono un autodidatta che porta avanti alcune ricerche con umiltà e pazienza, sono l’autodidatta che tenta di colmare i vuoti”[2]. Rosarita investe, quindi, in un lavoro che andava fatto anche per non perdere dei pezzi di storia, per colmare un vuoto:
Per me era importante ascoltare queste storie, perché ad esempio le filande non esistevano più, e sul lago non esisteva nemmeno un museo. Le uniche a poter testimoniare questa realtà erano le signore ancora viventi. Morte queste non sarebbe più rimasto nulla.
Nel libro sulle donne, infatti, sono collezionate storie e testimonianze che stavano per scomparire: “Adesso sono morte quasi tutte quelle donne”. Concentrandoci su un piano concreto, focalizzandoci cioè sulle metodologie da lei utilizzate durante le interviste, facciamo riferimento principalmente a due delle sue opere: Le donne del lago. 1880-1960 e L’eroismo grigio dei lupi di lago. Storie di pesca e pescatori di mestiere sul Sebino[3]. Ci sono altre opere o occasioni nelle quali si è servita delle interviste, ma è in questi due libri che si concentra molto del lavoro in storia orale.
Il registratore da lei utilizzato lasciava prevalere sulla tecnologia la praticità: “Col mio piccolo registratorino con le cassette ero sicura”; Rosarita preferiva questo mezzo dopo aver utilizzato un registratore digitale, senza cassetta, e aver per sbaglio cancellato una registrazione, fatto che mi sottolinea anche quando alla fine dei nostri incontri tento di spegnere il registratore con una goffaggine che spero non le abbia fatto temere la perdita della registrazione.
Il primo passo per poter raccogliere queste testimonianze era individuare le donne da intervistare: Rosarita aveva come target donne del lago con un’età superiore agli ottanta anni: “Avevo stabilito io questa età per essere sicura di sentire realmente ciò che avveniva in quei periodi”. Si dirige quindi nei comuni nei quali era a conoscenza, grazie a ricerche precedentemente svolte, della presenza in passato di opifici, retifici e altri stabilimenti tessili. Si reca quindi in municipio, alla ricerca di persone viventi che possano portare la testimonianza di quella realtà. I paesi sono piccoli, ci si conosce tutti, soprattutto gli anziani; riesce infatti a individuare delle persone che nell’ambito della sua ricerca possono dare un’utile testimonianza.
Le signore di Montisola la conoscono (anche per il ruolo da sindaco ricoperto in passato), invece con le estranee doveva presentarsi:
Mi ha aiutata molto il fatto di essere di Montisola. Quando mi chiedevano se ero una giornalista, gli dicevo invece che ero una di Montisola, mi chiedevano allora delle reti, gli raccontavo delle fabbriche. Soprattutto quelle della sponda bergamasca, riva che ha di fronte a sé Montisola, mi sentivano quasi come una di loro, sentivano di poter parlare tranquillamente.
Queste donne infatti, come riferisce anche nel nostro secondo incontro, una volta iniziato il dialogo e superata la timidezza iniziale, iniziavano a parlare molto liberamente, non solo del loro lavoro nei diversi stabilimenti tessili, ma la loro testimonianza somigliava spesso a uno sfogo, riportando anche vicende molto personali, insomma delle storie di vita. La condizione di persona anziana nei piccoli paesi di provincia spesso è caratterizzata dalla monotonia; mi è facile immaginare l’entusiasmo delle signore che conosco nel racconto di Rosarita. A queste narratrici viene lasciata grande libertà: “Lasciavo libertà, le cose che volevo sapere spesso mi venivano raccontare alla fine”.
Il rapporto instaurato non terminava con l’intervista, e nemmeno con la pubblicazione del libro: Rosarita tornava con il volume pubblicato o con la bozza definitiva dalle intervistate per leggergli il risultato del loro incontro, quanto scritto a seguito della loro intervista. Ciò suscitava in queste donne gioia, stupore nel ritrovarsi parte di un libro.
Ciò che sapeva delle interviste Rosarita l’aveva imparato dalle sue lauree, ma anche da un gruppo di ricerca universitario: “Dovevamo fare l’Atlante linguistico dei laghi italiani con l’università di Perugia, eravamo un gruppo di persone: uno, due, massimo due per lago”. Questo gruppo ricercava i termini dei laghi italiani e la loro derivazione, incontrandosi poi una o due volte l’anno; ai membri erano state date delle domande cui fare riferimento nelle loro interviste. Ad oggi alcuni componenti di questo gruppo hanno continuato le ricerche ma individualmente, infatti “non è più andato avanti l’atlante linguistico perché è morto il professore che seguiva [Giovanni Moretti]. Un altro ha seguito, poi niente insomma, dicono che vogliono andare avanti ancora ma chissà, adesso è stato sospeso per dieci anni”.
Fa riferimento a questo lavoro il prossimo libro di Rosarita, la cui pubblicazione è prevista attorno a dicembre 2019: “Non credo sia adatto chiamarlo vocabolario, contiene comunque tutti i termini che riguardano il lago”; anche i termini qua contenuti sono comunque stati ricercati tramite interviste, principalmente ai pescatori.
Nel nostro primo incontro le chiedo quali siano i suoi riferimenti per i suoi lavori, se qualcuno l’aiuta con la correzione delle bozze, o magari le dà semplicemente un supporto morale. Inizialmente non sa che rispondermi: si dedica a questo lavoro perché se la sente, non cerca supporti particolari nel farlo. L’unica eccezione che le viene in mente è proprio legata al libro sulle donne:
Quando ho finito Le donne del lago, prima di stamparlo, ho chiesto supporto a un’insegnante di storia: Chiara Frugoni. Chiara ha sempre insegnato storia all’università di Pisa, avevo in precedenza ascoltato alcune sue conferenze, ha infatti una casa sulla sponda bergamasca del lago. Nei mesi estivi torna spesso a Solto Collina.
Questa storica conosce quindi la realtà del lago d’Iseo e la sua storia; Rosarita sente di potersi fidare e affidare:
Ho voluto consultarla perché avevo già assistito a delle sue conferenze. Ho provato quindi a mandarle la bozza del libro prima di pubblicarlo, chiedendole un’opinione, visto che lei fin da piccola si recava sul lago d’Iseo e lo conosceva. Ho tentato quindi, e in agosto ho spedito tutto il materiale al suo indirizzo. In un primo momento mi ha detto che non era sicura di riuscire a leggerlo, mi ha richiamata pochi giorni dopo dicendomi di non essere riuscita a smettere di leggere la bozza. Ha fatto una prefazione al libro bellissima, mi ha proprio valorizzata.
Da allora il rapporto tra le due è rimasto costante, Chiara continua a leggere ciò che le manda Rosarita, la quale mi parla di questo rapporto non solo come di una collaborazione professionale, ma anche come un rapporto d’amicizia.
Rosarita si attornia di donne, non solo le intervista, ma si appoggia a loro anche per altri passaggi del libro. Chiara Frugoni scrive l’introduzione, e l’unica altra persona che mi indica come lettrice delle bozze è sua sorella. Rosarita nella sua esperienza ha intervistato sia uomini che donne, ma mi sottolinea più spesso gli incontri con queste ultime, sia perché da lì nasce il nostro incontro, sia perché “mi piace fare interviste, soprattutto alle donne”. La mia interlocutrice non solo intervista le donne, ma dedica a loro anche un po’ del suo tempo libero tramite il volontariato:
Insieme ad altre tre o quattro donne abbiamo creato l’associazione Cittadine e cittadini del mondo, a Iseo. L’associazione si occupa principalmente di iniziative culturali, e tra i temi a noi cari v’è la parità di genere. In seguito è nata la Rete di Daphne, associazione contro la violenza di genere. Varie associazioni, tra le quali anche quella delle cittadine, si sono inserite in questa.
È all’interno della sede di questa associazione che la nostra prima intervista si svolge, e durante la quale Rosarita mi parla di due donne conosciute dal centro che poi hanno perso la vita a causa della violenza di genere. In entrambi i nostri incontri torna il tema dell’associazione e tornano le interviste a donne che Rosarita non si aspettava così forti. Forse sbaglio, ma mi piace pensare a queste due esperienze come connesse tra loro, come se una sintesi generazionale tra donne che hanno lottato nel passato e le donne che lottano oggi, si compisse nella figura di Rosarita.
L’eredità materiale e il futuro dei nastri
Dopo aver parlato con Rosarita di come svolgeva le interviste, di come si approcciava alle sue interlocutrici e delle persone che l’hanno supportata in questo percorso di ricerca, siamo passate infine a trattare di una tematica più attuale: i frutti di quelle ricerche, le registrazioni, dove sono ora?
Nella prima intervista che le faccio sottolineo il grande valore che quelle registrazioni hanno per me, ma soprattutto quello che potrebbero avere per un possibile futuro ascoltatore: riascoltare tra cento anni quei nastri potrebbe avere un’importanza che ora è difficile se non impossibile predire e immaginare. Rosarita sembra un po’ colta di sorpresa da queste domande circa la conservazione del materiale, non ci ha mai pensato prima. È inoltre stata continuamente impegnata con altre interviste e altre ricerche, dice di volersi interessare alla questione appena potrà. Le donne le hanno raccontato molte vicende personali; le dico che le registrazioni possono essere archiviate con una clausola di non consultazione o con altre limitazioni; mi risponde: “Chiederò agli altri membri del gruppo di Perugia cosa ne hanno fatto delle loro registrazioni. Loro si sono dedicati più ai pescatori che alle donne, ma si tratta comunque di registrazioni”. L’intervista termina poco dopo; lascio l’ufficio all’interno della sede del Rete di Daphne con la speranza che un seme di curiosità possa esser stato seminato.
Durante il nostro secondo incontro sulla riva di Montisola, nonostante non sia passato molto tempo tra i due incontri, le chiedo se ha delle novità circa la conservazione dei documenti storici da lei prodotti e raccolti. La discussione si focalizza, come la prima volta, sul contenuto delle interviste che Rosarita teme possa mettere in difficoltà le interlocutrici:
Riguardo alla conservazione delle interviste non ho novità. È un argomento complicato, guardiamo ad esempio alle barcaiole: io ero interessata alla loro esperienza e alla loro vita sul lago. Inizialmente erano titubanti, caute, ma una volta presa confidenza mi raccontavano fatti anche molto personali. Non so se utilizzerò queste parti di registrazione, non penso: si tratta di uno sfogo che non mi sentivo di utilizzare.
Il discorso sulla conservazione è, quindi, permeato da una preoccupazione che vicende personali possano finire in mani sbagliate. Al termine dei nostri incontri rimaniamo nel dubbio di ciò che ne sarà di quei nastri, destino probabilmente condizionato dalla mancanza nella provincia di Brescia di un archivio sonoro pubblicamente conosciuto e riconosciuto.
Conclusione
Nella seconda intervista a Rosarita ho modo, infine, di apprendere da lei dei suggerimenti. Le chiedo che consigli darebbe a una persona che si appresta per la prima volta alla storia orale e alle interviste:
Colui che conduce la ricerca deve averne ben chiari gli obiettivi, lo schema. È poi fondamentale incontrare la persona e ascoltarla, non iniziare mai il discorso ponendo delle domande. Questo era il mio metodo di lavoro. Chiedevo alle donne di raccontarmi in generale la loro esperienza, poi ascoltavo. Nel corso dell’intervista le domande trovano risposta, tutto in un modo o nell’altro si svolge, non è necessario interrompere il racconto spontaneo della persona. Alla fine dell’intervista bisogna comunque aver raccolto le informazioni desiderate, in caso contrario si può tornare una seconda volta a intervistare la stessa persona.
Entrambe le interviste terminano con un grazie, che anche qua ribadisco, alla disponibilità e all’umanità di Rosarita, testimone del suo percorso che ha abbracciato la dote naturale dell’ascolto e ne ha fatto lavoro e passione.
NOTE
[1] La rappresentazione teatrale Il suono del lago. Storie di donne di lago, del Gruppo Amaranta Spettacolo, si è tenuta il 24 marzo 2019 a Sale Marasino.
[2] Nuto Revelli, Il testimone. Conversazioni e interviste, 1966-2003, a cura di Mario Cordero, Torino, Einaudi, 2014, p. VI.
[3] San Biagio (BS), Liberedizioni, 2016.