Pubblichiamo la prefazione di Alessandro Casellato al libro di Eloisa Rosalen, Entre conflitos e solidariedades: as trajetórias de militâncias das mulheres exiladas na França e em Portugal (1973-1987), Belo Horizonte, Fino Traço, 2023. L’ebook del libro è acquistabile qui.
La ricerca di Eloisa Rosalen tratta dell’esilio in Francia e in Portogallo di un gruppo di militanti politiche brasiliane negli anni della dittatura, in particolare negli anni Settanta. Analizza i loro percorsi di integrazione all’interno delle reti di solidarietà femminile, nei gruppi femministi e nei circuiti politici dei due paesi di arrivo. Infine prende in considerazione il contributo che esse diedero, quando poterono rientrare in Brasile, alla definizione di un nuovo modo di fare politica, come donne e per le donne, nel periodo di transizione alla democrazia. L’autrice dà prova di sapersi muovere con competenza nella letteratura sia brasiliana sia internazionale relativa alla storia delle donne e di genere; discute criticamente le categorie che utilizza, dimostrando di conoscere il dibattito teorico che le sottende, le sue implicazioni politiche, la sua evoluzione, anche recente. Presenta con chiarezza anche il proprio posizionamento rispetto al tema di ricerca, riuscendo a mantenersi in equilibrio tra istanze analitiche e partecipazione.
Questo libro si basa ampiamente su fonti orali e autobiografie, in parte raccolte da Eloisa Rosalen in prima persona, in parte disponibili presso l’archivio del LEGH (Laboratorio di studi di genere e storia) della UFSC (Università federale di Santa Caterina), in parte reperite all’interno di libri editi. Inoltre, la ricercatrice ha utilizzato alcuni documenti d’archivio e i periodici coevi prodotti dai gruppi militanti. In particolare, i documenti di polizia sono stati utilizzati sia per rilevare la dimensione dell’esilio femminile, sia per individuare le possibili testimoni.
Il contributo che la ricerca dà all’avanzamento delle conoscenze sull’argomento in questione è significativo. I primi due capitoli riprendono vicende in parte già conosciute, che però vengono approfondite e analizzate in dettaglio dal punto di vista della storia delle donne. Il terzo capitolo, relativo al Portogallo, apre degli squarci assai interessanti su una fase di cui manca ancora una ricostruzione storiografica consolidata, e per la quale anche la memoria è reticente e poco indagata. L’ultimo capitolo, dedicato al ritorno e al reinserimento delle esuli nella società e nella politica brasiliane, è il più innovativo, anche per le interpretazioni che l’autrice propone, “revisioniste” rispetto al racconto prevalente.
Vorrei ora discutere alcuni punti specifici. Il primo è l’uso delle fonti orali. Ho trovato particolarmente riuscita la parte del quarto capitolo dedicata all’intervista con Ida dos Reis, ai suoi silenzi, alla relazione che si è stabilita tra la testimone e la ricercatrice, alla restituzione e all’analisi raffinata e delicata che Eloisa ha saputo fare di un racconto autobiografico doloroso, reso da una donna che si presenta insieme come non “vincente” e non “vittima”. Altrettanto ben condotte sono le riflessioni sui rifiuti di essere intervistate o le ritrattazioni di quattro testimoni che erano state esuli in Portogallo. Qui, la storica orale si trova nella situazione in cui spesso è lo storico d’archivio: di fronte a un vuoto documentario, a un silenzio che le fonti non colmano, ma che consente domande e congetture che a volte non sono meno interessanti e produttive delle risposte e delle certezze. Tuttavia, tanto nell’intervista riuscita con Ida dos Reis quanto di fronte alle interviste negate, Eloisa Rosalen dimostra di aver chiara anche la “diversità” della storia orale rispetto a quella d’archivio. Le interviste non sono dei testi che si “raccolgono”: sono delle memorie che il ricercatore / la ricercatrice “provoca”. Egli/ella attiva dei processi – nelle persone e nei gruppi che sono oggetto di ricerca – che solo in parte riesce a prevedere. Per questo il racconto del modo in cui l’intervista (cioè la relazione tra le due persone) è stata creata, si è svolta, è stata negoziata può essere importante quanto le parole che sono state dette.
Metto in evidenza un dettaglio che è ricorrente nel libro: gli incisi “[risos]” che spesso compaiono nei brani di intervista citati. Come interpretare quelle frequenti risate? Complicità tra due donne di generazioni diverse che condividono un racconto del passato sulla base di una comune militanza? Oppure imbarazzo, ironia, autoironia, e cioè presa di distanza dell’io narrante dall’io narrato? La storica italiana Francesca Socrate ha analizzato con gli strumenti della linguistica computazionale un’ampia raccolta di interviste da lei condotte con protagonisti del ’68 in Italia (Socrate 2018). Tra le più evidenti diversità di ordine “formale”, cioè linguistico, tra i racconti fatti da uomini e da donne c’era proprio il ridere, che nelle testimonianze femminili era molto frequente. È un segno che merita di essere colto e interpretato secondo il “paradigma indiziario” di cui ha scritto Carlo Ginzburg.
La ricerca di Francesca Socrate potrebbe suggerire anche altre piste di ricerca dentro le interviste raccolte tra le esuli brasiliane. In particolare, nel libro di Socrate, i diversi modi di raccontare di sé da parte delle due generazioni “cortissime” che compongono il ’68: chi nel 1968 aveva più di vent’anni e aveva alle spalle una pur breve esperienza politica, e chi al 1968 arriva a vent’anni o meno, ed entra nel “movimento” senza avere categorie precedenti. Anche nella ricerca di Eloisa ci sono due generazioni corte: le esuli del 1964 e quelle del 1968. Sarebbe interessante capire non solo che cosa raccontano, ma come raccontano di sé (sapendo che il come è pregno di informazioni sulla soggettività dei/delle testimoni).
La comparazione con il caso italiano mi risulta facile e mi suscita altri interrogativi che sottopongo all’attenzione dei lettori di questo bel libro. Proprio in una visione comparativa con la memoria delle donne italiane che hanno partecipato alla lotta armata (nel 1943-45 e negli anni ’70 e primi ’80), mi ha colpito il fatto che qui, invece, la questione della violenza agita non sia stata tematizzata né dalle testimoni né dalla ricercatrice. In Italia, portare le armi e dare la morte fu una rottura simbolica potente sia per le partigiane sia per le “terroriste”. Per le prime, la lotta armata in clandestinità produsse un effetto emancipatore: fece sperimentare a quelle donne un grado di libertà e autonomia che in situazioni normali non sarebbe stato loro concesso. E che dopo la fine della guerra fu subito loro negato (Bruzzone e Farina 2016; Regard 2010). Per le seconde, la pratica della violenza fu il punto di debolezza che consentì a molte di loro un percorso di fuoriuscita (dissociazione) dal terrorismo, nel nome di un recupero di una dimensione femminile – la donna che dà la vita e la protegge – che il modello maschile del guerrigliero aveva tarpato (Bravo 2014; Galfrè 2014).
In ogni caso, in Italia la riflessione sulla violenza fu centrale nel dibattito anche pubblico dei gruppi femminili e femministi, tra gli anni Settanta e Ottanta; essa portò a un rifiuto della lotta armata e a un impegno nei movimenti pacifisti anche in chiave internazionale. La Chiesa cattolica svolse un ruolo centrale in questa evoluzione del pensiero, delle pratiche e delle traiettorie personali e politiche delle donne; in questo libro invece essa non viene tematizzata, a differenza della storiografia e memorialistica sul contesto italiano coevo: i riferimenti alla cultura cattolica compaiono nelle prime fasi di alcune biografie di giovani militanti, ma poi non vengono più richiamati. Mi chiedo che spiegazioni si possano dare di questo doppio silenzio sul tema della violenza rivoluzionaria – da una parte – e sul ruolo della Chiesa cattolica – dall’altra –nei percorsi di evoluzione della soggettività e della cultura politica delle donne brasiliane che qui hanno preso parola.
Ho trovato molto convincenti le conclusioni a cui Eloisa Rosalen arriva, ridimensionando il mito del neofemminismo importato in Brasile dall’Europa e riconoscendo – dentro quel mito – i retaggi di un post colonialismo di matrice eurocentrica con il quale alcune élite brasiliane hanno legittimato la propria posizione di “guida”, di avanguardia. Vi ho letto un risvolto “locale” di quel grande rinnovamento, anche generazionale, che è in corso in varie parti del mondo all’interno dei gruppi femminili, femministi e transfemministi (Stelliferi2022). Altrettanto convincente è stato il riconoscimento di come la svolta politica recente (anni 2016-2018) e l’attivazione di nuovi movimenti collettivi abbiano imposto, o consentito, di rileggere quella pagina del passato accorgendosi di aspetti che fino ad allora erano rimasti in ombra nella stessa autoconsapevolezza delle donne e delle ricercatrici: il peso che ebbero i fattori sociali nel favorire certe traiettorie biografiche ed evoluzioni di ordine culturale e teorico di alcune delle protagoniste.
Penso che la ricerca potrebbe proseguire in questa direzione, cioè mettendo a fuoco le diverse reti di relazione attivabili e le risorse –capitale economico, sociale, culturale – disponibili in maniera differenziata per ciascuna delle protagoniste sia al momento dell’esilio sia nel ritorno. Chi di loro va in Francia e chi va in Portogallo, e perché? E perché non si attiva un’analoga traiettoria di esilio dal Brasile verso l’Italia, che pure aveva legami risalenti – catene migratorie – con alcune aree del Brasile e stava accogliendo negli stessi anni a molti perseguitati/e politici/he provenienti da altri paesi del Sud America? Quali reti mancarono – o si interruppero, o non vennero attivate – in questo caso?
Che un libro di storia, frutto di una lunga ricerca condotta in quattro paesi e due continenti, lasci il lettore con tante nuove domande è il segno di quanto esso sia fecondo.
BRAVO, Anna (2014). A colpi di cuore. Storie del sessantotto, Roma-Bari: Laterza.
BRUZZONE, Anna Maria; FARINA, Rachele (2016). La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi. Milão: Bollati Boringhieri.
GALFRÈ, Monica (2014). La guerra è finita. L’Italia e l’uscita dal terrorismo 1980-1987. Roma-Bari: Laterza.
REGARD, Maria Teresa (2010). Autobiografia 1924-2000. Testimonianze e ricordi. Milão: Franco Angeli.
STELLIFERI, Paola (2022). «Un legame che non si sa bene da dove venga, però c’è». Due interviste sul femminismo, con Anastasia Barone e Teresa Bertilotti. Florença. Il de Martino. Storie voci suoni, n. 33, pp 89-124. Disponibile: https://www.iedm.it/produzioni/editoria/pubblicazioni-scaricabili/ Visitato: 05 gennaio 2023.
SOCRATE, Francesca (2018). Sessantotto. Due generazioni. Roma-Bari: Laterza.