Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera aperta scritta da alcuni soci AISO a seguito della Scuola di storia orale, della raccolta di interviste e delle ricerche in corso a Feltre sulla storia dell’Ospedale psichiatrico.
Durante e dopo la presentazione pubblica dei primi risultati del progetto “Feltre città dei matti: per un archivio orale del manicomio di Feltre” (24 settembre 2022) ci sono stati diversi interventi, sia a voce sia sulla stampa locale, che hanno chiesto al gruppo di ricerca di non limitarsi alla raccolta di interviste, ma di avere accesso anche ai documenti dell’archivio dell’ospedale psichiatrico. Come studiose e studiosi che fanno parte del gruppo di ricerca e che hanno partecipato alla Scuola di storia orale su “Il manicomio e la città: voci attraverso i muri” (Feltre, 13-15 maggio 2022) teniamo a precisare che nell’ultimo anno sono state fatte diverse richieste di consultare i documenti relativi alla storia del manicomio di Feltre, senza avere avuto risposte. Si tratta di documenti che coprono un arco di tempo che va dal 1886 al 1988, consistenti di tre stanze di 12 mq ciascuna, per un totale di 36 mq (citiamo dalla scheda di inventario pubblicata nel portale “Carte da legare”, realizzato dal Ministero della cultura proprio per far conoscere questi archivi e renderli accessibili agli studiosi).
Rispetto a quello che abbiamo letto sui giornali locali e alle risposte della Direzione dell’USSL 1 di Feltre, osserviamo che:
Il Codice dei beni culturali prevede che “i documenti conservati negli archivi di Stato e negli archivi storici delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico sono liberamente consultabili”. In particolare, tutti i documenti di tipo amministrativo – per esempio relativi alla storia di un ospedale psichiatrico – sono liberamente consultabili. I documenti “contenenti i dati sensibili […] diventano consultabili quaranta anni dopo la loro data. Il termine è di settanta anni se i dati sono idonei a rivelare lo stato di salute, la vita sessuale o rapporti riservati di tipo familiare” (art. 122). Il Ministero dell’Interno “può autorizzare la consultazione per scopi storici di documenti di carattere riservato conservati negli archivi di Stato anche prima della scadenza dei termini indicati”, indicando a chi li utilizza precisi limiti nella diffusione dei dati personali (ivi, art. 123). In ogni caso, quindi, la ricerca storica anche su documenti medici è libera dopo settant’anni dalla loro data.
Anche la più recente normativa sul trattamento dei dati personali non impedisce la ricerca storica; essa infatti prevede che: “1. Gli archivi sono organizzati secondo criteri tali da assicurare il principio della libera fruibilità delle fonti. 2. L’archivista promuove il più largo accesso agli archivi e, attenendosi al quadro della normativa vigente, favorisce l’attività di ricerca e di informazione nonché il reperimento delle fonti. 3. L’archivista informa il ricercatore sui documenti estratti temporaneamente da un fascicolo perché esclusi dalla consultazione” (Regole deontologiche per il trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse o per scopi di ricerca storica, art. 5).
Proprio la normativa sulla privacy indica le procedure con cui è possibile richiedere l’accesso a documenti riservati per ricerca storica, previe alcune “cautele volte a consentire la comunicazione dei dati senza ledere i diritti, le libertà e la dignità delle persone interessate”. “Le cautele possono consistere anche, a seconda degli obiettivi della ricerca desumibili dal progetto, nell’obbligo di non diffondere i nomi delle persone, nell’uso delle sole iniziali dei nominativi degli interessati, nell’oscuramento dei nomi in una banca dati, nella sottrazione temporanea di singoli documenti dai fascicoli o nel divieto di riproduzione dei documenti. Particolare attenzione è prestata al principio della pertinenza e all’indicazione di fatti o circostanze che possono rendere facilmente individuabili gli interessati” (ivi, art. 10).
Facciamo presente, infine, che esiste un’ampia bibliografia di ricerche condotte da anni sulla storia degli ospedali psichiatrici in Italia, che sono state possibili perché è stato consentito l’accesso ai documenti d’archivio e che hanno usato anche le fonti orali, cioè interviste e testimonianze registrate.
Per noi, a Feltre, la ricerca con le fonti orali è stata finora l’unico modo possibile per poter ricostruire una storia i cui documenti d’archivio sono chiusi a chiave e inaccessibili. Essa però ha fatto emergere aspetti che altrimenti non sarebbero stati indagabili, senza la disponibilità di tante persone a parlare con noi e a consegnarci i loro ricordi personali: il posto che il manicomio ha ancora nell’immaginario e nella memoria di chi ha vissuto e vive a Feltre; la soggettività di chi ci ha lavorato e i traumi che esso ha lasciato non solo nei pazienti, ma anche nel personale, negli infermieri, nei medici; infine, la pluralità dei vissuti e delle memorie, che lo fanno ricordare – talvolta dalle stesse persone – come un luogo insieme di cura e di violenza, suscitatore di legami interpersonali forti, complessi, spesso contraddittori.
Poter condurre anche a Feltre ricerche sulla storia del manicomio è un modo per restituirne la memoria alla città, contestualizzando e consegnando quell’istituzione al proprio tempo, lasciando a tutti di poter esprimere la propria verità senza essere censurati o rimproverati, ma anche evitando rimozioni e distorsioni che proprio l’assenza di informazioni documentate sta provocando.
Silvia Calamai, Alessandro Casellato, Giovanni Contini, Vinzia Fiorino, Adelisa Malena, Cecilia Molesini, Gloria Nemec, Rosalba Nodari, Tiziana Noce, Daniela Perco, Francesco Vacchiano,