di Andrea Caira
…Ma l’amor mio non muore… (Una memoria che non dimissiona: l’esperienza delle reti pacifiste italiane contro la guerra in Bosnia – Erzegovina, 1992-1995) è il titolo della tesi di Master in Public and Digital History che ho discusso presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia nell’ottobre 2021. Il progetto di ricerca ha preso corpo durante il periodo di tirocinio svolto in collaborazione e con il supporto dell’AISO. L’istantanea che viene qui presentata raffigura un momento centrale nel processo d’indagine, attraverso il quale ho potuto allargare il mio campo visivo in relazione all’oggetto di studio e percepirne la sua polisemia. Gli incontri con Luigi Lusenti sono stati vari e si sono svolti nel suo curato terrazzino milanese, in un momento in cui ero alla ricerca di informazioni rispetto alla Carovana della Pace. Sebbene le interviste si siano soffermate principalmente sulla memoria di Luigi in rapporto alla manifestazione, i punti di connessione con altre esperienze personali sono ritornati copiosamente durante il dialogo, stimolando rimandi spaziali e temporali. Dalle nostre conversazioni è emersa una narrazione dinamica e capace di legare il viaggio dei pacifisti alle vecchie fratture generazionali avvertite con la dimensione partitica italiana degli anni Settanta ed Ottanta.
La Carovana della Pace
Trent’anni fa si muoveva la Carovana della Pace, una delle più eterogenee manifestazioni di solidarietà transnazionale espresse dalle realtà associative italiane davanti alla ancora aurorale crisi jugoslava. Proviamo a raccontare una parte di quella esperienza prendendo a prestito le parole tratte dall’intervista a Luigi Lusenti1, ex operatore culturale internazionale per l’ARCI e promotore della Carovana in territorio meneghino.
La riflessione si articola principalmente intorno a un quesito che mi sono posto a più riprese: da dove si genera la Carovana? La narrazione di Luigi consente sia di dare maggiore spessore a una manifestazione che spesso rimane assottigliata all’interno delle macro-narrazioni storiche, ma anche di fotografare una particolare prospettiva sul processo di trasformazione socioculturale in atto nell’Italia della fine degli anni Ottanta e inizio anni Novanta. L’intreccio tra la piccola e la grande storia che emerge durante gli incontri conduce il testimone a risignificare concetti e parole d’ordine che prima dello scoppio del conflitto reputava immodificabili. Il quadro interpretativo in cui Lusenti rielabora la figura dell’ex stato socialista all’interno del paradigma binario della Guerra Fredda è un passaggio chiave, che ci permette di cristallizzare i modelli percettivi dell’io passato del narratore, e di rapportali al bagaglio esperienziale maturato nei lustri precedenti.
L’itinerario degli attivisti, in partenza da Trieste il 25 settembre 1991, interessò le principali città della Jugoslavia con il fine di manifestare solidarietà ai movimenti pacifisti locali tra cui i comitati d’accoglienza dell’Open University di Novi Sad, le Donne in Nero di Belgrado e i membri del Centro internazionale della pace di Sarajevo guidati da Ibrahim Spahic.
Dopo esser passati da Fiume/Rijeka, Lubiana, Zagabria, Subotica, Novi Sad e Belgrado, la Carovana arrivò a Sarajevo il 29 settembre 1991, dove per l’occasione venne allestito un concerto al quale presero parte anche i Litfiba, i Nomadi e il jazzista Gaetano Liguori Idea Trio. Il viaggio fu costellato da incontri e serrati dibattiti tra le realtà pacifiste italiane e quelle locali in merito alle problematiche prodotte dal conflitto e sulle prospettive future. Alla chiamata internazionale del convoglio risposero anche esponenti dei Verdi, delle ACLI italiane, della Sinistra giovanile, delle Donne per la pace, di Pax Christi, del Movimiento Democracia2. La Carovana fu promossa dall’Assemblea dei Cittadini di Helsinki ed organizzata dall’Associazione per la Pace e dall’ARCI.
Il numero degli aderenti fu di circa 400, di cui la gran parte italiani. Per la giornata conclusiva a Sarajevo sopraggiunsero ulteriori 300 pacifisti dall’Italia mediante un volo speciale3.
Trascrizione estratta dal colloquio tra Luigi Lusenti e Andrea Caira.
ANDREA: Allora, vai, partirei proprio da Luigi e dal suo rapporto con i Balcani…
LUIGI: Sì… il mio rapporto con i Balcani è un po’ precedente alla guerra. È un rapporto legato a quello che facevo all’epoca, l’operatore culturale per l’ARCI, e mi curavo in particolare dei rapporti internazionali. Gli anni Ottanta, il decennio degli anni Ottanta, sono stati un decennio molto… di fermenti: c’è stata la battaglia contro i missili Pershing e Cruise e gli SS 20 sovietici, la base di Comiso, la base inglese, la base tedesca, e si erano costituiti due grandi network. […] Quindi fu immediatamente visibile a tutti che un ragionamento per superare il riarmo nucleare in Europa doveva passare attraverso un rapporto con il dissenso dell’Est. Qui ci sono due esempi: qual è il primo documento che viene scritto congiuntamente da dei gruppi dell’Est e dei gruppi dell’Ovest? È un documento scritto da Charta 77 e Legambiente. […] E lì fu interessante. Perché posizioni politiche diverse… in Italia alcuni partiti grandi della sinistra parlavano ancora dei paesi fratelli e li invitavano ai loro festival… poi però c’era un’altra parte della sinistra, che era fatta dall’ARCI, delle ACLI, cattolici di sinistra, dai Radicali, Emma Bonino, Marco Pannella, Alex Langer per i Verdi, Tom Benetollo per l’ARCI, la FIGC… c’era Cuperlo, gli anarchici… che in qualche modo invece aveva un’altra idea. […] Questi percorsi erano d’incontro, di dibattito, alla fine riuscimmo anche a fare alcuni incontri nei paesi dell’Est, anche se molte volte qualcuno finiva in carcere (specialmente loro, noi venivamo cacciati fuori). Però si fecero a Varsavia, a Budapest, andò male a Praga… nell’82 ci fu questa END a Berlino, e Alex Lander con Petra Kelly e altri andarono all’Est a stendere uno striscione a vennero immediatamente buttati fuori da Berlino Est. Quindi si costruì in qualche modo un rapporto con i gruppi che stavano nella cosiddetta oltrecortina e anche con la Jugoslavia, che non era appartenente al Blocco dell’Est, però come dire, stava un po’ a metà. Con la Radio Študent, la rivista Mladina a Lubiana, la rivista Praxis a Zagabria, con Sonja Licht, che appunto è stata presidente anche dell’Assemblea dei Cittadini di Helsinki, con Predrag Matvejević, grandissimo scrittore e candidato anche al Nobel. […] Per cui è stato praticamente automatico al momento della guerra sentire queste persone e dire «cosa succede?». Il nostro primo approccio è stato politico, non umanitario. Dopodiché è degenerato nel giro di pochissimo: perché la Slovenia ha avuto una brevissima guerra, poi è scoppiata la Krajina. Vukovar è del ‘92… estate del ‘92. Io sono entrato a Vukovar nel ‘92, un mese dopo che era finita la guerra. È stata la mia prima conoscenza di una zona di guerra.
Per continuare a leggere l’intervista a Luigi Lusenti di Andrea Caira scarica il PDF.
NOTE
1 Luigi Lusenti (Milano, 1949): Incontrato e intervistato il 12 e il 26 aprile 2021.
2 Per approfondire: https://www.alexanderlanger.org/it/34/483 (consultato l’ultima volta il 10/11/2021).
3 Le Carovane avrebbero dovuto essere due e incontrarsi simultaneamente a Sarajevo, ma alcuni impedimenti burocratici e le precarie condizioni di sicurezza per l’incolumità degli attivisti, impedirono la realizzazione del secondo convoglio (con teorica partenza da Skopje, via Pristina, Niš, Novi Bazar, Titograd, Mostar).