di Sara Rossetti e Luca Santangelo
Corviale che prende il volo
e si tiene il cappello con le mani
accanto a una donna
che prega l’eclissi di periferia.
Max Gazzè – Eclissi di periferia
Lasciando via Portuense e salendo su via Mazzacurati, il serpentone di Corviale appare all’improvviso dietro i pini marittimi. L’impressione è proprio quella di trovarsi di fronte a un’astronave aliena in partenza, come nella canzone di Max Gazzè, a una decina di chilometri dal centro di Roma. A metà tra il marziano di Flaiano e le astronavi-mondo in cui è rinchiusa tutta l’umanità nel film Wall-E, il serpentone di Corviale è tra gli edifici che hanno più alimentato complesse ed accese discussioni pubbliche sullo spazio urbano romano e più in generale sulla città in età contemporanea.
Il carattere straniante di questo palazzo-quartiere lungo quasi un chilometro è l’unico elemento di conoscenza con cui io, Luca, sono partito la mattina del 16 giugno verso Corviale. Per me, Sara, l’idea di Corviale si sovrapponeva a quelle relative a periferie e borgate dalla genesi simile che, invece, avevo meglio conosciuto e frequentato negli anni. E forse, proprio per questo, Il Serpentone assumeva nel mio particolare immaginario il luogo tra questi più “mitologico”, nella più generalizzante mitologia che una certa periferia può assumere.
Il quartiere è infatti talmente presente nel dibattito pubblico quando si tratta in generale di periferie che, anche se non ci si è mai stati, sembra già di conoscerlo. Perché Corviale, per la sua composizione, sembra un ottimo set per chi vuole rappresentare la periferia urbana contemporanea nei suoi più noti stereotipi: criminalità, disagio abitativo, assenza di servizi, droga, degrado e decoro urbano.
Non a caso il quartiere è stato utilizzato sia dalla propaganda politica che dal cinema, proprio come rappresentativo di un intero tipo di luoghi abitativi della società contemporanea, sin dalla sua costruzione. È infatti del 1983, quando ancora tutto il complesso non era ultimato, il primo film che rappresenta il lungo serpentone non solo come palazzo in sé, ma come simbolo stereotipato di tutte le periferie, gli alloggi e le questioni abitative. E non è un caso che si tratti proprio di un film come Sfrattato cerca casa equo canone con protagonista Pippo Franco e la comicità del bagaglino, simbolo culturale dell’Italia degli anni Ottanta che segnava una cesura con il clima di partecipazione collettiva, mobilitazione sociale e lotta per la casa degli anni Settanta, in cui prese forma il progetto di Corviale.
Su Corviale pesano diversi immaginari. Da un lato un complesso dedalo di corridoi e alloggi in cemento armato in cui abitano migliaia di persone provenienti da contesti sociali differenti, secondo alcuni talmente invivibile da dover essere abbattuto; dall’altro, nelle intenzioni della cultura urbanistica che lo ha prodotto, la concretizzazione di un’utopia abitativa in grado di fornire una casa a migliaia di famiglie e costruire uno spazio adatto allo sviluppo delle relazioni sociali.
Ma come si vive oggi in questo enorme stabile? E che impatto hanno avuto le vicende politiche e l’esposizione mediatica sugli abitanti di Corviale? Con queste due domande abbiamo varcato la porta dello spazio liberato Antonio Neiwiller, gestito dall’associazione culturale Comunità X, per partecipare alla 2ª Scuola di storia orale e public history nel paesaggio metropolitano di Roma “Memorie e immaginari di Corviale”.
Approcciare Corviale e non solo dall’esterno, ma soprattutto dall’interno per comprendere quel particolare momento storico che ha dato origine al serpentone e indagare i cambiamenti avvenuti negli ultimi 40 anni. La proposta formativa di Aiso e del Laboratorio di Città Corviale è stata quella dunque di raccontare, leggere e interpretare il quartiere, ascoltando le storie di alcuni dei suoi abitanti.
Prima giornata
La scuola è iniziata con un giro di presentazione tra i partecipanti che ha messo in evidenza percorsi professionali e di studio eterogenei ma che, nella maggior parte dei casi, riportavano a esperienze pregresse o comunque a un interesse di fondo per la storia orale e la storia urbana.
Nella prima giornata abbiamo avuto modo di approfondire le questioni relative alla storia del quartiere di edilizia residenziale pubblica attraverso il contributo di Bruno Bonomo, professore di Storia contemporanea alla Sapienza – Università di Roma e membro del direttivo Aiso. Corviale, nasce con una chiara pianificazione: la risposta delle politiche pubbliche al bisogno di casa per fasce a basso e medio reddito. La legge 167 del 1962 aveva come obiettivo fondamentale quello di agevolare l’acquisizione di aree per l’edilizia economica e popolare da parte dei comuni. La richiesta di case popolari preme sulla città fin dal secondo dopoguerra e il persistente disagio abitativo è segnale di una profonda contraddizione nell’Italia della crescita economica. Il riconoscimento che la soluzione della questione case popolari – scrive Paolo Rosa nel libro Le città mancate (Bordeaux Edizioni, 2022) – risiede nell’individuazione di regole appropriate che riconducano il problema all’interno degli strumenti ordinari della pianificazione urbanistica. Su questo presupposto Fiorentino Sullo, Ministro dei lavori pubblici del quarto governo guidato da Amintore Fanfani, formula la legge n.167 del 18 Aprile 1962, il cui obiettivo fondamentale era quello di agevolare l’acquisizione di aree da parte dei comuni per l’edilizia economica e popolare. È del 1964 il primo Piano per l’edilizia economica e popolare (PEEP) di Roma, ma il programma vedrà la sua attuazione soprattutto negli anni Settanta e Ottanta. Roma, capitale da appena un secolo, cresce e lo fa al di fuori di un’attenta regolamentazione balzando spesso alle cronache che ne sottolineano la scarsa abitabilità, i disagi, i disservizi. Spinaceto, Corviale, Laurentino 38, Tor Bella Monaca, Vigne Nuove nascono, grazie alla 167, per rispondere ad una diffusa domanda di alloggi economici e popolari. Già prima di essere completato, il serpentone, sottolinea Bonomo, viene nominato e conosciuto per l’impatto visivo e la sperimentazione architettonica e visto, da molti, anche come segno ordinatore ed argine dell’espansione urbana per la posizione che occupa tra la metropoli e la campagna verso il mare. Inizia a essere abitato nei primi anni ‘80, ancora incompleto, e con il “piano libero” destinato ai servizi che, rimasto inutilizzato, va pian piano a essere occupato a scopo abitativo. Corviale, in poco tempo, si trasforma da esperimento “d’avanguardia” a simbolo del degrado delle periferie e così viene rappresentato nel discorso pubblico, e nella propaganda politica, praticamente fino ad oggi.Alla relazione di Bonomo segue quella di Giovanni Caudo, urbanista dell’Università degli Studi di Roma Tre che negli anni ha assunto anche ruoli pubblici a Roma Capitale. Il suo intervento interseca in maniera interessante le politiche pubbliche in materia di edilizia popolare e le mobilitazioni sociali dal basso, citando ad esempio lo sciopero di Torino del luglio 1969 sul caro affitti. In quell’occasione Agnelli, in un’intervista, afferma che a pensare agli alloggi doveva essere il governo e non la Fiat. Anche su spinta delle mobilitazioni sociali, i governi entrano in azione con interventi normativi che, si calcola, tra il 1969 e il 1989 daranno casa a circa un milione di famiglie in tutta Italia. Quella che si crea è una situazione eterogenea di quartieri anche molto diversi tra di loro: da quelli interamente di edilizia popolare, a zone miste con abitazioni di proprietà acquistabili attraverso mutui agevolati, a quartieri edificati in prevalenza da cooperative ed enti previdenziali.
Dopo Caudo interviene Francesco Careri, architetto di Roma Tre che racconta l’esperienza di Stalker e Osservatorio nomade che dall’inizio degli anni Duemila ha sviluppato “Immaginare Corviale”, un progetto che coniuga studi architettonici-urbanistici e percorsi artistici finalizzati a problematizzare e decostruire gli immaginari su Corviale. Una delle esperienze venute alla luce è “Corviale network”: una televisione di quartiere realizzata con la partecipazione degli abitanti per ragionare sulle rappresentazioni e le autorappresentazioni.
A concludere gli interventi della giornata sono Sara Braschi, Maria Rocco e Sofia Sebastianelli di Roma Tre, animatrici del Laboratorio di Città Corviale, nonché co-promotrici e nostre mediatrici per la scuola. Sono loro che ci portano nel vivo del quartiere illustrandoci il lavoro che svolgono quotidianamente con la “comunità”. In particolare, il Laboratorio sta svolgendo un ruolo cruciale nella rigenerazione del piano libero fungendo spesso da cerniera tra abitanti ed Ater e lavorando per accompagnare e documentare le trasformazioni in corso.
Dopo gli interventi si è aperto un intenso dibattito tra partecipanti e formatori, con domande che sono andate ad approfondire questioni storico-metodologiche, curiosità bibliografiche, focus su azioni rilevanti degli attori locali.
Il pomeriggio è proseguito con una geoesplorazione nel paesaggio di Corviale guidati dal Laboratorio di Città Corviale.
Da questo primo attraversamento fisico del quartiere ci siamo resi conto della sua enorme complessità: in termini spaziali è un luogo ancora più grande di ciò che immaginavamo, dove è molto facile perdersi (come è capitato a qualcunə di noi), dove tutto sembra mantenersi in piedi precariamente e in questa precarietà è facile rimanere intrappolati (qualcunə del gruppo è rimasto bloccato per una decina di minuti in uno degli ascensori). Una complessità di luoghi, di abitazioni, di attraversamenti.
Una complessità che però contrasta in non pochi punti con lo stereotipo. In primis per le differenti situazioni abitative coesistenti a Corviale: i vari lotti (Corviale, il cosiddetto Corvialino che gli corre parallelo e il lotto che prosegue su via dei Sampieri) spezzano l’edificio in più palazzi, i tagli differenti degli appartamenti, da quelli a palazzina, a quelli a ballatoio fino ad arrivare agli autocostruiti del IV piano, oggetto dell’intervento di riqualificazione in corso, su cui ci siamo soffermati più intensamente nella seconda giornata. Una dimensione, quella delle varie forme di abitare, completamente sconosciuta se si rimane all’esterno di Corviale. Ma soprattutto un nuovo immaginario si apre sulla campagna che si estende a ovest di Corviale, punto di osservazione conclusivo della nostra geoesplorazione. Uno spazio verde per certi versi inaspettato dopo tanto cemento: da questa prospettiva il serpentone non è solo argine della città, ma anche cerniera tra la campagna e la metropoli.
Seconda e terza giornata
La seconda, intensa, giornata si è aperta con la relazione di Giulia Zitelli Conti, dottoranda di Roma Tre e vicepresidente di Aiso, che ha introdotto la storia orale nei suoi aspetti metodologici. La sintesi ha richiamato le Buone pratiche per la storia orale e il volume di Bonomo, Voci della memoria. L’intervento ha posto l’accento sulle tipologie di fonti orali e sulle caratteristiche delle interviste. Innanzitutto, esse sono intenzionali perché vengono provocate dalla presenza del ricercatore. Quest’ultimo porta con sé un corpo non neutro, una biografia, atteggiamenti, aspettative (e lo stesso vale per l’intervistato!) che contribuiscono a costruire il documento orale. Zitelli Conti ha infatti parlato di “spazio empatico”, di “racconti del passato con idee rispetto al futuro”, concetti che rimandano alla natura soggettiva delle fonti orali. Fondamentale, quando si lavora con l’oralità, è accogliere tutto quanto, sospendere il giudizio e analizzare non solo ciò che viene detto ma anche come viene detto, come insegna Alessandro Portelli. Nelle fasi di analisi, interpretazione e restituzione è importante lavorare senza perdere di vista le questioni deontologiche e gli obblighi di legge e dedicando l’attenzione critico-metodologica che occorre per trattare in generale le fonti e in particolare questa tipologia di materiale. Si tratta infatti, solitamente, di interviste lunghe, di storie di vita. Per quanto riguarda la restituzione, poi, fondamentale è condividere con l’intervistato quanto emerso dalle interviste per, citando Maria Immacolata Macioti, “prelevare da un territorio ma già riseminare”.
Il secondo intervento della giornata è stato quello di Ulrike Viccaro, storica del Circolo Gianni Bosio, che ha raccontato la costruzione della sua ricerca su Borgata Gordiani e su come realizzare una ricerca sui quartieri popolari di Roma. Il racconto su esperienze di ricerca e questioni metodologiche affrontate da Ulrike Viccaro ha aperto un interessante dibattito sul ruolo della storia orale nel racconto delle periferie urbane.
Conclusa questa parte della giornata, prima di iniziare il laboratorio pratico di interviste, abbiamo visitato lo spazio museale al IV piano libero, gestito e organizzato dal Laboratorio di Città Corviale. L’allestimento della Mostra delle Memorie, realizzato con documentazione fotografica e orale, racconta le diverse forme di abitazione informale e soprattutto l’aspetto sociale delle famiglie che hanno vissuto quei luoghi.
Infine, tornati nuovamente nella sala dello spazio liberato Antonio Neiwiller, abbiamo iniziato l’ultima attività della giornata, il laboratorio delle interviste, diviso in due momenti.
Nel primo Sara Braschi, Maria Rocco e Sofia Sebastianelli ci hanno presentato i profili delle persone che hanno accettato di farsi intervistare. I testimoni rappresentano la pluralità dei vissuti che attraversano Corviale: artisti, attivisti, commercianti, impiegati, manovali, abitanti storici e recenti. Ogni intervista si è svolta in un particolare luogo di Corviale: chi ha accettato di farsi intervistare aprendoci le porte di casa, chi ha deciso di incontrarci camminando tra i lotti, chi infine ha proposto un suo personale luogo di Corviale come il parco, la piazzetta o il bar.
Scelti gli interlocutori, abbiamo registrato le interviste in coppia o singolarmente, nei luoghi prestabiliti. Concluse le interviste, abbiamo condiviso un primo giro di riflessioni e abbiamo notato come questi incontri ci hanno restituito un’immagine ancora più plurale, contraddittoria e complessa di Corviale, aprendo più domande di quante ne abbiano chiuse. Tra i molti temi emersi: gli arrivi a Corviale, le prime impressioni, le iniziali difficoltà; le relazioni tra il centro città e la periferia; le carenze del sistema di trasporto pubblico e, più in generale, dei servizi urbani; la socialità all’interno del Serpentone; gli stereotipi e le rappresentazioni del quartiere; l’esperienza scolastica e il mondo del lavoro; i rapporti con l’Ater; le attività culturali ed artistiche; la campagna in città; sicurezza e microcriminalità. Questioni che abbiamo affrontato in maniera più ampia nella mattinata di domenica, in cui abbiamo condiviso l’esperienza del pomeriggio precedente iniziando a immaginare forme di restituzione pubblica della scuola da condividere con il quartiere nei prossimi mesi: un cantiere aperto.