Resoconto del convegno “Nuovi percorsi per la storia orale e le fonti orali: la ricerca in Sicilia”organizzato dall’AISO con il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania e la Fondazione Giovan Pietro Grimaldi di Modica, il 29 e 30 maggio 2015: due giorni in Sicilia davvero sontuosi per bellezza e ricchezza di stimoli intellettuali (e non solo: le piazze e gli arancini di Catania, il barocco e il cioccolato di Modica; e soprattutto l’amabilità di chi ha organizzato il convegno e animato le serate).
Il mattino del 29 maggio, all’Università di Catania si è tenuta la prima sessione, dedicata agli snodi critici nella pratica e nella metodologia della storia orale oggi, aperta dal “padrone di casa” Giuseppe Uccio Barone (Università di Catania). Giovanni Contini (Presidente AISO) ha svolto una relazione introduttiva molto ampia, affrontando i fondamenti della storia orale attraverso esempi tratti dalle sue ricerche, fino ad affrontare i temi oggi di frontiera – su cui l’AISO sta lavorando – legati all’uso delle interviste filmate e alla difficoltà – pratica ed epistemologica – di “scrivere” dei video-saggi che abbiano rigore, consapevolezza e densità teorica analoghi a quelli che gli storici orali sono abituati a esprimere nei testi scritti. Successivamente Alessandro Casellato (AISO e Università Ca’ Foscari Venezia) ha relazionato sui lavori svolti fin qui dalla commissione AISO incaricata di redigere le “linee guida” (o “buone pratiche”) che aiutino i ricercatori ad affrontare i nodi giuridici, etici e deontologici connessi all’utilizzo delle fonti orali. Infine Sandro Ruju (AISO, Sassari) ha svolto un intervento incentrato su miniere e poli industriali in Sardegna per riflettere sulle memorie e rappresentazioni del lavoro e dell’industria, confrontandosi con la storiografia relativa ad altri casi nazionali e con una ricca produzione narrativa nella quale le fonti orali sono utilizzate ma anche trasfigurate (ad esempio i romanzi di Sergio Atzeni, Nanni Balestrini, Ermanno Rea).
Tra gli interventi dal pubblico: a proposito di “linee guida”, Gabriella Gribaudi (Universitaà Federico II di Napoli) ha raccontato la propria esperienza di interviste con collaboratori di giustizia legati alla camorra, e sui peculiari tipi di filtri e distorsioni che quel tipo di situazione introduceva nella costruzione della fonte; Salvatore Adorno (Università di Catania) ha fatto cenno ad alcuni nodi affrontati nella realizzazione del libro I Priolesi raccontano Priolo, in particolare quelli relativi alle trascrizioni dal dialetto e alla scelta di ridare “oralità” alle testimonianze pubblicate nel libro attraverso la rappresentazione teatrale di narrazioni, originariamente rese in dialetto dagli intervistati, e poi rilette, sempre in dialetto, da attori; Chiara Ottaviano (AISO e Cliomedia) ha posto molte questioni: ha sottolineato che le linee guida sono quanto mai opportune in quanto funzionali non solo a tutelare il ricercatore, ma anche a distinguere chi usa le fonti orali per fare un lavoro storiografico da quanti invece le utilizzano – con approcci e metodologie differenti – svolgendo altri mestieri (dal giornalista al narratore all’artista all’animatore sociale); si è chiesta, infine, se e quando mai un video-saggio o un testo multimediale potranno essere “valutati” accademicamente; Souadou Lagdaf (Università di Catania) ha chiesto come regolarsi quando le testimonianze orali “dal basso” mettono in discussione i documenti scritti e ufficiali, e quale valore abbiamo le interviste rilasciate con richiesta di anonimato; Gloria Nemec (AISO e Istituto per il Movimento di Liberazione in FVG)ha invitato a riflettere sulle reazioni delle comunità e l’alterazione nei rapporti interni ai gruppi sociali che le ricerche di storia orale – e le loro ricadute – possono innescare localmente.
Nel pomeriggio, dedicato alla presentazione di alcune ricerche di storia orale in corso in Sicilia, Ana Victoria Guarrera (Università di Catania) ha relazionato sulla sua ricerca in corso per il dottorato relativa alla memoria della guerra delle Malvinas tra i reduci argentini e sull’impatto che essa ebbe nel processo di democratizzazione della società argentina; la ricerca, condotta tramite decine di interviste – a La Plata, Buenos Aires e Rosario – con ex militari, loro familiari e alcuni psicologi attivi nei molti “centri di assistenza ai reduci”, ha scoperchiato una realtà a lungo tacitata e rimossa, e in particolare un numero altissimo di suicidi correlati all’esperienza bellica e alle sue conseguenze. Successivamente è intervenuta Souadou Lagdaf, ricercatrice presso l’Università di Catania e docente di Storia dei paesi islamici, impegnata in una ricerca sulla storia dei Saharawi all’indomani dell’occupazione del Sahara Occidentale da parte del Marocco e della diaspora che ne è seguita; tra le altre cose, Lagdaf ha messo l’accento sulla funzione delle donne – in particolare nella cultura berbera – come depositarie di storie, cioè della tradizione orale e quindi dell’identità culturale del loro popolo, sulla loro peculiare “arte del racconto”, e poi sulle trasformazioni della cultura tradizionale, della vita familiare e dei ruoli di genere all’interno dei campi profughi. Ha chiuso le relazioni del pomeriggio Rosario Mangiameli (Università di Catania) con una relazione di sintesi sulle ricerche condotte da lui e dal suo gruppo di ricerca sulle stragi in Sicilia durante la guerra, e quelle successive per mano mafiosa (in particolare quella del 1° maggio 1947 a Portella della Ginestra), e le memorie (anche distorte e manipolate) che ne sono derivate.
Anche al termine del pomeriggio gli interventi sono stati numerosi e prolungati, segno dell’interesse che le relazioni hanno suscitato.
Il giorno dopo il convegno è proseguito a Modica, nella bella sede della Fondazione Giovan Pietro Grimaldi. Riprendiamo verbatim la sintesi ampia ed esaustiva che ne ha fatto il giornale on line INpress, pubblicata qui.
La sessione mattutina di studi, coordinata da Gabriella Gribaudi (AISO e Università “Federico II” di Napoli), ha focalizzato l’attenzione sul tema dei terremoti come elementi di discontinuità sociali e fratture spazio-temporali che, imprimendosi con forza nella memoria individuale e collettiva, costituiscono un terreno d’elezione per l’indagine della storia orale. Nella relazione dal titolo “Tra memorie vive e narrazioni: il Belìce” Giuseppe Maiorana, direttore di EpiCentro della Memoria Viva di Gibellina, ha presentato la storia e le attività del centro studi, che si occupa di raccogliere le memorie e ricostruire l’identità della popolazione del Belice, sopravvissuta al terremoto del 1968. Attraverso laboratori, mappe di comunità, biblioteca, archivi orali di video-interviste, installazioni emozionali e mostre fotografiche, il centro studi custodisce e valorizza la memoria di un territorio che prima del terremoto il sociologo Danilo Dolci aveva trasformato in un vero e proprio laboratorio di partecipazione e lotta civile.
Marcella Burderi (AISO, Fondazione Grimaldi, Università di Catania) nella relazione su “La memoria del Grande terremoto del 1693 nel repertorio folclorico” ha analizzato un antico “cuntu” (racconto orale in dialetto) sul sisma nel Val di Noto, raccolto dalla viva voce di alcuni anziani. Il “cuntu” rappresenta una narrazione popolare più unica che rara, tramandatasi per oltre tre secoli di generazione in generazione e giunta fino ai nostri giorni, che testimonia tutto lo sgomento e lo slancio sincero di devozione mariana e religiosa che la catastrofe suscitò nella gente semplice.
Sara Zizzari (Università “Federico II” di Napoli) ha analizzato, invece, “La frattura spazio-temporale nel post-sisma aquilano (2009)”. Attraverso le interviste agli aquilani rientrati nelle loro case o assegnatari dei nuovi alloggi, la studiosa ha fatto emergere una memoria in formazione, causata dalla disintegrazione del tessuto sociale, dalla scomparsa dei punti di riferimento e degli elementi identitari, dallo stravolgimento della geografia urbana, della socialità e delle pratiche quotidiane, pervenendo alla conclusione che un luogo non è mai soltanto uno spazio fisico, ma è una struttura di sentimento, una dimensione dell’interazione sociale.
Anche Gabriele Ivo Moscaritolo (Università “Federico II” di Napoli) si è misurato con il tema del terremoto in Campania e Basilicata del 1980 tra rappresentazione e memoria. Lo studioso, in particolare, ha messo in evidenza il ruolo di turning point rappresentato dal sisma nelle memorie plurime degli intervistati, tra mitizzazioni del passato, aspettative ed esperienze successive.
La sessione pomeridiana, coordinata da Roberta Garruccio (AISO e Università degli studi di Milano) si è concentrata su “Le trasformazioni del territorio: politica, imprenditorialità, deindustrializzazione”. Fabio Canfora e Maria Laura Longo (Università “L’Orientale” di Napoli) hanno parlato di “Paesaggi metropolitani in cambiamento. Il quartiere Mercato – Pendino di Napoli tra storia e memoria”. I due giovani studiosi, attraverso interviste ai commercianti dello storico quartiere, hanno ricostruito le memorie e le rappresentazioni di un luogo oggi svuotato dalla concorrenza dei centri commerciali.
Fabio Salerno (Università di Catania) nella relazione dal titolo “Auto-rappresentazione di Priolo. Quale futuro?”, ha proposto alcune video-interviste che colgono il paradosso di una industrializzazione imposta dall’alto, che non ha generato uno sviluppo endogeno e che, a distanza di vari decenni, è entrata in crisi lasciando sul territorio disastri ambientali e la necessità di un vasto piano di disinquinamento. Se il modello di sviluppo economico di Augusta-Priolo si è basato sulla grande industria, quello ragusano ha visto il protagonismo della piccola e media impresa che, a partire dagli anni Novanta, ha conosciuto un forte slancio grazie alla programmazione negoziata. La vicenda è stata ricostruita da Giuseppe Barone (presidente della Fondazione Grimaldi e direttore del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’ateneo catanese) in una relazione dal titolo “La seconda rivoluzione industriale nell’area Iblea”. Sulla base di decine di interviste agli imprenditori, Barone ha tracciato le linee di sviluppo di un’industrializzazione dal basso, nata spontaneamente dopo lo smantellamento degli impianti petroliferi avviato dall’Eni. Un’industrializzazione, quella iblea, che ha riguardato sopratutto i settori dell’alluminio, dell’agro-industria e dell’industria dolciaria e che ha garantito alla piccola provincia siciliana una serie di importanti primati economici a livello regionale e nazionale.
Chiara Ottaviano (Cliomedia Officina) nella sua relazione sulla “Esperienza dell’Archivio degli Iblei”, ha tracciato un primo bilancio dei risultati raggiunti e delle potenzialità del portale internet Archivio degli Iblei, vero e proprio giacimento di memorie, testimonianze video-registrate, gallerie fotografiche, testi e studi che propongono una riflessione intorno ai temi della storia sociale, della tradizione orale e della cultura popolare. Infine, Giancarlo Poidomani (Università di Catania) ha affrontato il tema della “Formazione della nuova classe politica in provincia di Ragusa negli anni 1945-1960”, rileggendo alla luce delle testimonianze orali gli eventi e i protagonisti della