Prima parte del report collettivo sulla Scuola nel paesaggio dei Monti della Riva
Questo resoconto è a cura di Andrea Caira e Chiara Paris con la collaborazione di Antonio Canovi. Un ringraziamento particolare va a Francesco Bignardi Baracchi e Luisa Lo Duca per il lavoro di trascrizione delle interviste e a Mario Spiganti e Sergio Coppola per aver curato i materiali video. Grazie anche a tutti gli altri partecipanti per aver collaborato attivamente alla documentazione delle tre giornate di scuola (per visualizzare il volantino dell’iniziativa clicca qui).
Prima giornata – 2 luglio
È passata da poco l’ora di pranzo e nel centro di Fanano iniziano ad arrivare alla spicciolata i primi partecipanti della scuola.
Al centro Italo Bortolotti alcuni sono arrivati in anticipo e questo concede il giusto spazio per le presentazioni e per ri-conoscere le persone già incontrate in altre occasioni, non più viste per molti mesi. Il gruppo è numeroso, siamo 35, e decidiamo di rompere il ghiaccio con un giro di presentazione. Cerchiamo di fare aderire volto e voce a chi, fino ad un attimo prima, era un semplice nominativo nella lista dei partecipanti.
La Scuola nel paesaggio dei Monti della Riva si apre con la presentazione del progetto l’Archivio delle Voci: un momento dedicato alla memoria geo-storica depositata in questo versante emiliano dell’Appennino, in prossimità della Linea Gotica. Si tratta di un lavoro di cura patrimoniale a partire da un corpus di 40 interviste a testimoni della Guerra e della Resistenza.
A Fanano c’è una lunga storia di “attivismo culturale”. Ne sono protagonisti e testimoni Alessandro Gherardini, Giuliano Zanaglia e Massimo Turchi, chiamati a inaugurare la sessione di interventi più frontali. Il progetto l’Archivio delle voci è infatti l’esito di un lungo lavoro svolto con dedizione da un gruppo di giovani volontari dell’Anpi locale nei primi anni 2000: il progetto ProMemoria. E’ da quest’ultimo che l’Archivio delle voci ha preso in mano il testimone, mettendo al centro la cura di questo patrimonio e la sua valorizzazione in un cantiere digitale tutto in divenire, il cui principale obiettivo è l’archiviazione digitale, open access, di queste interviste uniche e inedite.
- Per approfondire l’Archivio delle Voci scarica il punto di vista di Chiara Paris
“Ci fai vedere quello che vedi?”. Il paesaggio come orizzonte
Il pomeriggio della prima giornata si conclude con una visita guidata alla Rocca di Sestola, condotta dal nostro “cicerone” prof.re Mario Bartoli, membro dell’associazione locale di Sestola E’ Scamadul. Un nome insolito che incuriosisce e che scopriamo essere l’espressione dialettale per chiamare i bastoncini di legno che si trovano nei boschi, utili a “mantenere vivo il fuoco acceso”.
La Rocca oggi ospita il museo della Civiltà Montanara, il Museo degli Strumenti Musicali Meccanici e la Stanza dei Ricordi dedicata al soprano sestolese Teresina Burchi in Reiter. Nella sua torretta la narrazione museale arriva a toccare la storia più contemporanea: il fascismo, la guerra e, marginalmente, la resistenza. Qui per la prima volta osserviamo insieme il paesaggio circostante che l’indomani ci proponiamo di esplorare e interrogare. Si offre a tutto tondo e il colpo d’occhio è mozzafiato.
ANTONIO CANOVI: Ci fai vedere quello che vedi?
ALESSANDRO GHERARDINI: […] là dove punto il dito io, quello là è il monte Belvedere. Sembra una collina a vederlo così. Quello lì è un po’ il caposaldo della Linea Gotica, ed è tra i comuni di Lizzano, Montese, Gaggio Montano. E’ quello un punto dominante sulle strade, che i tedeschi tenevano molto saldamente che, chiaramente, avendo la posizione dominante sulle strade riuscivano a bloccare gli angloamericani quando tentavano di infiltrarsi. La parte di qua, dove andremo domani che sono Monti della Riva, Pizzo di Campiano e Cappel Buso è praticamente il fianco del Belvedere, in mezzo c’è la statale che collega questi paesi con Porretta e poi va verso Firenze, quindi era un passo verso sud, strategico per gli americani, quindi lì era fortemente presidiato.
Alessandro Gherardini approfitta del punto panoramico per fornirci alcuni riferimenti geografici mentre inserisce Fanano e Sestola nel contesto geopolitico locale della Seconda Guerra Mondiale. La linea Gotica viene descritta come un elastico che tagliava in due l’Italia, capace di ricomporsi un po’ più in là se ne veniva meno un pezzo. Alessandro racconta e noi altri cerchiamo di scovare i nomi di luoghi e paesi, perlopiù sconosciuti. Si confondono tra i crinali che osserviamo con sguardo errante.
- Estratto dell’intervista collettiva ad Alessandro Gherardini, Rocca di Sestola. [minuti 02:00 – 02:57; durata totale: 00.00.58]
Stornelli al Treppo della Ruzzola
Al termine del primo giorno ci avviciniamo a Montecreto, dove ci aspetta una cena al Treppo della Ruzzola di Acquarìa, una grande cascina agricola immersa tra distese di fieno e grano. I piatti vuoti si riempiono di polenta fumante, fagioli, ragù e crescentine con il lardo, accompagnate da vino rosso e dalle immancabili fragranze delle acque profumate, offerte dall’associazione Erbalonga: un progetto dedicato all’osservazione dei paesaggi, a esplorarli attraverso i sapori, gli usi e le proprietà delle erbe spontanee. Inizia a manifestarsi la stanchezza ma c’è ancora tempo e voglia per affrontare un ultimo viaggio nella cultura e nelle tradizioni locali accompagnati dagli stornelli di Lele il cantastorie.
- Estratto degli stornelli di Lele
Seconda giornata – 3 luglio
Sulle tracce della Gotica
La mattina del 3 luglio siamo pronti per entrare nel bosco. Abbiamo percorso il sentiero che da Trignano porta a salire verso il crinale di Cappel Buso accompagnati dal racconto di Alessandro, Giuliano e Massimo – alla regia della nostra geoesplorazione – appassionati e attenti alla storia militare e umana di Fanano e Sestola. A partire dal quartier generale della formazione Fanano, presso Case Bonucci, abbiamo costeggiato quel che resta di alcuni rifugi di fortuna passando attraverso l’osservazione di insospettabili residui bellici ormai inglobati nella natura tutt’attorno.
A Cappel Buso, luogo simbolo dei combattimenti e dell’offensiva alleata in queste zone, la salita si fa ripida e il bosco a tratti assume un aspetto più selvatico. Immergendosi totalmente nel contesto ambientale e culturale (ri)vivono nel presente gli aneddoti e gli avvenimenti raccontati dalle nostre guide. Lentamente prendono forma delle domande e inciampiamo, più o meno consapevolmente, nella narrazione storica. Ci troviamo ad osservare il paesaggio attraverso nuove lenti prospettiche: l’incontro della narrazione con il bosco ci riporta alle fughe rapide, ai rifugi scavati in fretta e furia, agli aromi provenienti dalle cucine campali. Quanto tempo impiegavano i combattenti a salire il crinale di una montagna? I partigiani e gli eserciti a spostarsi da un paese e l’altro? Cosa significava correre a riparo in un bosco molto più diradato di vegetazione?
In questo momento abbiamo fatto insieme l’esperienza di una postura geodocumentaristica in cui assistiamo alla narrazione di una memoria ricostruita, rievocata e interpretata dalle nostre guide, a cui, però, non partecipiamo passivamente: camminando, le nostre curiosità incontrano i loro “risultati” che arrivano a noi dopo anni di ricerca.
Attraversare un paesaggio con una sensibilità curiosa alla realtà concreta e materiale del passato è un moltiplicatore di domande in testa. Avvicina al concreto e al materiale della storia. E’ un approccio più esplorativo, globale, sicuramente meno statistico o testuale. Il dialogo tra narrazione del passato e paesaggio aggiunge un ingrediente insostituibile all’esperienza della storia che arricchisce di significato alcune tracce altrimenti invisibili – un vecchio architrave abbandonato, un palo reggifilo arrugginito conficcato nel terreno – che quando entrano nella narrazione acquisiscono un valore nuovo.
- Scarica l’approfondimento con le riflessioni sul Geohistory telling di Andrea Caira
- Guarda il video realizzato da Mario Spiganti su Casa Bonucci e Mario Santini [00.28.52]
Interviste agli intervistatori. La guerra in casa
Al termine dell’escursione ci ritroviamo al museo dei Monti della Riva, per gran parte dedicato alla storia della guerra e della resistenza. Divisi in 4 gruppi intervistiamo e dialoghiamo con gli intervistatori curatori del progetto ProMemoria. A Massimo, Giuliano e Alessandro si aggiunge anche un’intervistatrice di allora, Sandra Bonfatti.
Ogni rapporto dialogico intersoggettivo prende una propria direzione: unica, irriproducibile e condizionata da molteplici fattori. Di quel momento restano varie tracce che ne testimoniano l’intensità e la complessità. Le fotografie raffigurano i gruppi seduti in cerchio, sull’erba, intenti a registrare e a prendere appunti. Nuovamente assumiamo una postura singolare: disposta all’ascolto, tipica dell’intervista di storia orale.
Uno dei tre gruppi dialoga con Alessandro Gherardini. Il paesaggio, la Linea Gotica, emerge come luogo di gioco e aggregazione: gli elmetti riconvertiti in occasionali abbeveratoi per le galline, i racconti – e i silenzi – familiari sul trauma della guerra. Alessandro ci mostra una nuova sfaccettatura del conflitto: quella delle generazioni nate dopo il ‘45. Le eredità belliche si reificano nella quotidianità anche dei più piccoli, come una presenza che continua a trascinarsi nell’identità collettiva del luogo.
DANIELE VALISENA: Ma queste cose ti facevano pensare più alla storia di qua o più agli Stati Uniti?
ALESSANDRO GHERARDINI: No, io… mi interessava molto la storia di qua. Per me l’America non esisteva. Eh… cioè io vedevo questi alieni che venivano da tutto il mondo, capito? li immaginavo così, ehm, che venivano a combattere qua. Però, sai, quello lì è poi un’età che hai una visione molto romantica delle cose… che è molto falsata, no? da quello che ti immagini tu, cioè vedi il buono contro il cattivo… cioè non hai pro- non hai la concezione della guerra per quello che è nella sua bruttura… La visione di un bimbo è così. Quindi ero affascinato, ma sì, come poteva essere affascinato un bambino.
ANDREA CAIRA: E quindi da là poi hai iniziato un rapporto con tuo nonno? È stato lui che ti ha…
ALESSANDRO GHERARDINI: Sì, lui e mia nonna, anche. Mia nonna, perché mia nonna è vissuta molto di più, ehm… e lei era stata – verrà fuori domani questo discorso –, è stata rastrellata dai tedeschi durante un… un macello; che poi domani vi racconteremo, e lì proprio eh… sì [parola non comprensibile] il terrore. Cioè il terrore, proprio.
ANDREA CAIRA: Eh, ma… aveva voglia di parlarne…?
ALESSANDRO GHERARDINI: Sì, lei sì. Lei sì. Mia madre non sapeva niente. Cioè non se la sono mai passata questa memoria. Passava a me.
- Scarica il pdf con la trascrizione di Francesco Bignardi
- Ascolta l’estratto audio dell’intervista collettiva ad Alessandro Gherardini [00.02.48]
La memoria come missione civile?
Giuliano si definisce “figlio di comunisti”, e qui il racconto si arricchisce di ricordi antichi e dettagli intimi. Ci parla di suo padre, come partigiano e come assessore comunale. Una figura sempre impegnata nella politica del paese. Ci parla della madre, anche lei testimone civile di questa porzione di memoria che cerchiamo di approfondire.
Ad ascoltare Giuliano si ha l’impressione che nel suo caso, l’impegno assunto nei confronti della memoria travalichi il movente della “missione” civile e che la trama del coinvolgimento personale a tratti si infittisca fino a prevalere. La questione dell’impegno e della responsabilità è stata centrale in questa intervista, realizzata a margine della lunga geoesplorazione sulle tracce della Linea Gotica.
Come scrive Luisa Lo Duca, una delle partecipanti, la narrazione di Giuliano si rivela:
dotata di una trama emotiva molto densa e una forte compartecipazione del gruppo di intervistatori. Ha dunque il grande pregio di mettere a valore il ruolo dei silenzi, dei non detti e delle pause nella raccolta delle fonti orali. Cioè, di tutto quello che avviene quando il testimone e chi ascolta non stanno comunicando verbalmente ma continuano a mantenere in piedi una relazione di ascolto e condivisione ugualmente intensa attraverso lo sguardo e i corpi.
- Guarda il video realizzato da Mario Spiganti dell’intervista a Giuliano Zanaglia [00.40.48]
- Guarda il video di Mario Spiganti con alcuni frammenti del cammino [00.02.08]
A Giuliano Zanaglia la memoria offre “un cosiddetto giro lungo“ – scrive Luisa – per tornare a suo padre, alla sua figura di partigiano e poi personaggio pubblico del paese. Di conseguenza la partecipazione al progetto ProMemoria assumeva per lui un valore più nettamente esistenziale. Considera Luisa Lo Duca:
Un impegno volto a preservare la memoria collettiva di una generazione che piano piano veniva meno (Giuliano Zanaglia: «ho capito in quel momento lì che questi qui morivano. E avremmo perso tutto») ma anche un forte impulso personale e il desiderio di conoscere il padre a distanza, attraverso gli sguardi e le parole degli altri.
- Per approfondire scarica il punto di vista e la trascrizione di Luisa Lo Duca
- Per approfondire scarica il punto di vista di Matteo Di Cristoforo
Il museo della pietra
Terminate le interviste la carovana di geoesploratori si muove verso il centro urbano di Fanano. L’ultimo appuntamento della giornata prevede una visita al Museo di Scultura su Pietra, accompagnati dalla guida Daniele Sargenti, tra gli organizzatori delle numerose iniziative scultoree di Fanano. Daniele Sargenti introduce il senso etico e pratico del lavoro, ripercorrendo la storia del museo di scultura diffuso, le cui installazioni si susseguono in maniera armoniosa nel centro di Fanano caratterizzandolo con la loro presenza.