Seconda parte del report collettivo sulla Scuola nel paesaggio dei Monti della Riva
Pubblichiamo la seconda parte (qui la prima parte) di un resoconto collettivo a cura di Andrea Caira e Chiara Paris con la collaborazione di Antonio Canovi. Un ringraziamento particolare va a Francesco Bignardi Baracchi e Luisa Lo Duca per il lavoro di trascrizione delle interviste e a Mario Spiganti e Sergio Coppola per aver curato i materiali video. Grazie anche a tutti gli altri partecipanti per aver collaborato attivamente alla documentazione delle tre giornate di scuola (per visualizzare il volantino dell’iniziativa clicca qui).
Terza giornata – 4 luglio
Case Ciocci. Le storie minute contengono dei mondi
La mattina dell’ultimo giorno l’appuntamento è sul crinale di una collina nei pressi di Rocchetta Sandri. Massimo, Alessandro e Giuliano ci raccontano la storia delle rappresaglie avvenute in questa frazione del comune di Sestola. Ascoltiamo ammaliati per circa un’ora un racconto ben composto, incorniciato dalle colline che si accavallano alle loro spalle.
Poi la carovana di macchine riparte alla volta di case Ciocci dove abbiamo in programma di incontrare altri 5 testimoni, abitanti di questa frazione. Avremo l’occasione di ascoltare la loro esperienza in questi luoghi, i possibili incroci tra le traiettorie individuali e la storia della guerra e della resistenza.
Case Ciocci è un grappolo di case che affaccia su un’aia. Ad aspettarci troviamo Pierina Ferrari, Luisa Ciocci, Pasquale Ciocci e Lorenzo Zecchini. Formiamo di nuovo i 4 gruppi di intervistatori, gli stessi del giorno prima, e negli spiazzi tra le case iniziamo a registrare.
Intervistando Pierina Ferrari
Luisa Lo Duca, una delle intervistatrici della signora Pierina, ci restituisce la sua interpretazione su questo racconto che apre scorci nella vita quotidiana di una donna contadina del secolo scorso: le giornate di lavoro come mondina, scene di maternità integrate ai ritmi del lavoro nei campi, i rapporti con la suocera, il bucato al fosso e le serate passate a ballare e spannocchiare.
Luisa sceglie di trascrivere proprio gli estratti che, più di altri, risultano impastati di questa dimensione quotidiana di “testimone situata in quel tempo e in quel luogo”:
CHIARA PARIS: Ma infatti ti volevo chiedere se avevi incontrato dei partigiani, se li conoscevate…
PIERINA FERRARI: Eeeeh, hai voglia te! Hanno dormito, una signora ha partorito nel mio letto, una partigiana. Ha partorito nel mio letto… Che, poveretta, c’aveva le doglie allora mi son alzata, c’ho dato il mio letto, io son’ andata in cantina a dormire e lei ha partorito un bimbo, poi alla mattina è montata a cavallo e via. A cavallo, con il bambino in braccio, a cavallo…
CHIARA PARIS: E tu non la conoscevi?
PIERINA FERRARI: Ah, no, no, no. C’era una sfilata di cavalli, eh, passò quella volta lì. Quella signora lì la lasciarono lì perché poveretta lei aveva da partorire e partorì nel mio letto.
Il punto di vista di Luisa Lo Duca:
I passaggi più preziosi e memorabili di questa conversazione riguardano a mio parere […] il parto in casa della partigiana Marina e gli stratagemmi concordati con il fratello partigiano per evitare che quest’ultimo venisse scoperto dai fascisti. Non solo per la bellezza e la forza degli episodi raccontati ma anche e soprattutto per il modo in cui essi sono emersi nel corso dell’intervista. Dopo aver risposto di no a tutte le nostre domande dirette sul ruolo delle comunità nel sostegno ai partigiani sul territorio, le storie di Pierina affiorano a fine intervista e in maniera apparentemente casuale tessono una trama di aneddoti ed eventi che smentiscono quel “no” netto.
[…] L’immagine della piccola Pierina che nel cuore della notte è invitata dalla madre a cedere il suo letto fatto di foglie alla donna che è già nel pieno del travaglio, la nascita del bambino e la ripartenza a cavallo della donna l’indomani mattina, sono immagini fortissime di un racconto che da solo ci aiuta a rievocare la portata storica della Resistenza, il prezzo fisico e psicologico pagato dalle persone che ne fecero parte, il ruolo delle donne e quello delle comunità che vivevano lungo le linee di frizione e combattimento negli ultimi anni del conflitto. Tutto questo in un racconto di poche battute, fatto in un’aia, da una vecchia contadina che amava ballare.
- Scarica la riflessione di Luisa Lo Duca e leggi la trascrizione dell’intervista a Pierina Ferrari.
- La signora Pierina racconta la storia del parto della partigiana. Guarda il video di Mario Spiganti [00.04.07]
Intervistando Lorenzo Zecchini
Occhi profondi e parole morbide. Inizia lentamente l’intervista a Lorenzo Zecchini. Noi, gli intervistatori, disposti a ferro di cavallo e bramosi di domandare, di conoscere, di comprendere. Lui, Lorenzo, forse leggermente spaesato, sicuramente non abituato a ricevere l’attenzione di tanti sguardi simultaneamente. Dopo le prime risposte ermetiche il baricentro della conversazione si sposta rapidamente dalla memoria della guerra in sé, al concetto di guerra come parametro di vita quotidiana. Le tradizioni alimentari, le conserve dei cibi e la cura per i distillati, narrano del paesaggio e della sua cultura. L’intervista pian piano si irrobustisce e si percepisce una maggiore fiducia reciproca. Lorenzo ci conduce nella sua dispensa dove ci introduce i suoi “attrezzi del mestiere”: torchi di quasi un secolo, sgabelli, botti e bottiglie da riempire, diventano vettori evocativi della memoria personale e familiare di Lorenzo. La guerra compare, ma occupa lo sfondo dei racconti: sfugge a un ordine narrativo lineare e si ricompone nella sospensione delle tradizioni lavorative.
LORENZO ZECCHINI: Un’altra volta ne hanno uccisi tre dentro un fosso.
ANDREA CAIRA: Dove?
LORENZO ZECCHINI: Qua a Rocchetta, sì. C’era mio padre…
SIGNORA: Tre partigiani?
LORENZO ZECCHINI: Sì.
LAURA ROSSI: Quello che ha raccontato Alessandro prima.
LORENZO ZECCHINI: Ma c’era mio padre, era il terzo è riuscito a scappare per il fosso, gli altri due li hanno trucidati lì.
ANDREA CAIRA: Li hanno trucidati lì. E tuo padre ti portava poi in questi posti a… cioè ti spiegava questi… le storie attraverso, ecco delle camminate sul luogo… ti portava…
LORENZO ZECCHINI: Sì.
[…]
LAURA ROSSI: Tuo padre ti ha mai parlato di valori che ha imparato durante la guerra? Cioè, quali erano… o ha parlato solo di cose di cui ha avuto paura? O che ha imparato qualcosa…
LORENZO ZECCHINI: Paura…
LAURA ROSSI: Da questa esperienza?
LORENZO ZECCHINI: Perché anche lui è morto – è morto che ero ancora giovane.
SIGNORA: A che età? Quanti anni aveva lei? Quando è morto il papà.
LORENZO ZECCHINI: Avevo… 40 anni. È morto che è già 26 anni fa.
LAURA ROSSI: E raccontava solo di ciò di cui ha avuto paura o anche di qualcosa…
LORENZO ZECCHINI: Ah, paura ce n’era… ce n’aveva sempre perché era in un periodo che… uno aveva sempre paura.
SIGNORA: Per forza.
LORENZO ZECCHINI: In guerra era ammazzare od essere ammazzati, eh.
LAURA ROSSI: La domanda è se dopo, a te, lui ti ha detto: l’esperienza in montagna mi è servita per capire… non so… avere un senso di giustizia più alto… oppure parlava degli episodi così, ogni tanto…
LORENZO ZECCHINI: Ogni tanto degli episodi… eh… e i valori della Resistenza…
LAURA ROSSI: Te ne parlava di questi valori?
LORENZO ZECCHINI: Sì, sì. Resistenza… che andava sempre a riunioni dopo.
- Scarica l’estratto della trascrizione effettuata da Francesco Bignardi Baracchi durante l’intervista collettiva a Lorenzo Zecchini.
“Un viaggio che non ti aspettavi”. Riflessioni circolari
La scuola si conclude con un momento di condivisione di riflessioni sulle tre intense giornate appena trascorse. A giro i partecipanti hanno riportato alcune osservazioni di cui resta una lunga traccia sonora registrata da Antonio Canovi. E la condivisione delle impressioni non si arresta a quella domenica di luglio ma riprende a novembre di nuovo a Fanano nella stessa sala del centro Italo Bortolotti.
Qui trovate una sintesi ragionata della lunga registrazione (3:30 ore circa) raccolta in occasione della tavola rotonda di restituzione, organizzata il 13 novembre. Abbiamo scelto di articolarla per parole chiave, senza distinguere l’autorialità di ciascun parlante.
- Per approfondire leggi la sintesi delle riflessioni emerse durante la tavola rotonda.
L’esperienza di intervista agli intervistatori di ieri è stata forse la più “estraniante” e di conseguenza quella su cui ci si è soffermati di più durante la tavola rotonda.
In quel momento, nei diversi gruppi di lavoro, era venuto alla luce per ciascuno di noi un doppio, possibile, posizionamento nella dinamica dell’intervista.
I racconti intimi dei nostri interlocutori – in parte increduli che le loro parole fossero degne di essere registrate – hanno fatto sì che anche noi, in quanto mediatori culturali, mettessimo in discussione il nostro ruolo in quel preciso momento, percependo la fluidità dei suoi confini: abbiamo vissuto come una scoperta il fatto di essere intervistatori ma allo stesso tempo anche testimoni, interpreti e protagonisti di una storia.
Massimo Turchi e Giuliano Zanaglia, presenti in sala hanno risposto così:
- Ascolta le riflessioni conclusive di Massimo Turchi [00.02.48]
MASSIMO TURCHI [1:55:53]:
No a dire la verità l’ho vissuto un po’ anche io questo spaesamento, chiamiamolo così – mi tolgo la mascherina – non capivo cos’è che cercavate davvero, ecco, quindi è ovvio che c’è stata una mediazione, si fa una mediazione tra tutto quello che abbiamo imparato, conosciuto direttamente… quindi siamo dei portatori – spero sani – di memoria, ecco, chiamiamoci così. E anche perché quelli di prima generazione eh… dovrete accontentarvi [ridiamo], però l’ho vissuto un po’ anch’io, cioè non riuscivo veramente a capire, ecco, però quello che abbiamo cercato di restituirvi è stata poi la nostra scoperta, a nostra volta. Cioè quello che abbiamo imparato su quei luoghi, vissuti dalle persone che abbiamo conosciuto, quindi se Cappel Buso era così è perché lì abbiamo preso le testimonianze di chi ci è passato e di chi vi ha agito, ecco. Abbiamo rielaborato, noi, le memorie per raccontare un luogo… è questa la cosa che faccio normalmente quando porto in giro persone, ma lo facevo in maniera assolutamente non consapevole, non così consapevole, ecco. A me i luoghi parlano nel momento in cui vado in un luogo e conosco la storia di questo luogo, ancor meglio se c’è qualcuno che dice: «perché lì il tipo ha fatto questo, il tipo ha fatto quell’altro», è per questo che mi soffermo, ci soffermiamo anche su quei dettagli. […] Sono quei dettagli che arricchiscono il luogo, ecco, quindi noi siamo consapevolmente dei mediatori, dei restitutori di quell’epoca, che ormai sta diventando epica, di quei momenti lì, insomma. Alla terza generazione non so a chi dobbiamo… non dico i figli ma i nipoti così e…
- Ascolta le riflessioni conclusive di Giuliano Zanaglia [00.04.31]
GIULIANO ZANAGLIA [1:59:04]:
Noi ci siamo sempre considerati strumento per salvare la memoria di cui stiamo parlando, cioè quel patrimonio di memorie, e non certo dei soggetti in questo senso, quindi non avevamo neanche… adesso parlo a livello personale, sicuramente non avevo previsto di diventare anch’io di interesse per un racconto personale di quell’esperienza nello specifico, e poi andando anche oltre nella mia esperienza, appunto, infantile, da familiare insomma, di quella che è stata appunto la mia vita… Questo credo che sia stato possibile grazie alla relazione che siamo stati capaci di costruire, soprattutto grazie a voi, devo dire, perché io non me l’aspettavo un’esperienza così ricca, così profonda, così intensa, su queste tematiche non me l’aspettavo. Cioè noi abbiamo fatto, io ho partecipato in altre occasioni a racconti, a visite sul territorio e così via però davvero vi riconosco una grande motivazioni e anche capacità personali oltre a un metodo che utilizzate che è sicuramente molto efficace.
Ad esempio la geoesplorazione che noi l’abbiamo sempre fatta senza neanche esserne consapevoli, noi semplicemente siamo nati e cresciuti qua e quindi man mano che ci venivano raccontate quelle storie dai nostri vecchi, noi le abbiamo rivissute sul territorio e le abbiamo anche ricostruite sul territorio. Quindi per noi era la normalità, sostanzialmente.
Poi invece adesso mi rendo conto che c’è un metodo, c’è un metodo efficacissimo che è legato appunto all’esplorazione del territorio dietro, durante, comunque, un racconto di storia, di fatti accaduti su quel territorio, legato alla possibilità di avere delle emozioni, che come dicevi tu, appunto, sono quelle che poi fissano, perché se non abbiamo quello, non rimane nulla, scorre, scorre via tutto, sostanzialmente.
E credo appunto che – come è stato accennato da Luisa e anche da Mario e anche da Matteo che ha completato, secondo me, il discorso – l’importanza di recuperare appunto il racconto vissuto direttamente, vis a vis, con il testimone che racconta e un pubblico che ti partecipa, in realtà, attivamente, come avete sempre fatto voi… ha un’efficacia maggiore? come l’aveva un tempo che era la prassi normale anzi era l’unica possibilità, proprio perché c’è in campo l’elemento fondamentale che è l’umanità […] che si trasferisce attraverso gli sguardi, attraverso la presenza fisica, attraverso non solo il racconto e la voce ma attraverso tutto questo. E, in quel momento lì, essendoci un’interazione fra chi racconta e chi ascolta, che arriva, anche chi racconta ne viene coinvolto in un modo diverso, influenzato e, come nel nostro caso viene anche portato, come avete fatto voi con me in particolare, in un viaggio che non ti aspettavi, sostanzialmente, quindi molto efficace sì, vi ringrazio di questo.