di Giovanni Contini.
In occasione del 1° Maggio pubblichiamo un saggio su Placido Rizzotto scritto da Giovanni Contini per una ricerca coordinata, ormai vent’anni fa, da Paolo Viola. Il saggio confluì in un cd-rom (L’associazionismo a Corleone. Un’inchiesta storica e sociologica, a cura di Paolo Viola e Michela Morello, Palermo, Istituto Gramsci Siciliano, 2004) che ebbe circolazione limitata e oggi è difficilmente reperibile.
Giovanni Contini è anche autore della voce su Placido Rizzotto nel Dizionario Biografico degli Italiani.
Ci fa piacere confermare qui i nostri vincoli di solidarietà con le associazioni di Corleone che ospitarono la prima Scuola di storia orale nel paesaggio (2017), con il loro impegno per il riscatto sociale, con la memoria orgogliosa che portano del corleonese Placido Rizzotto, che fu partigiano al Nord, militante socialista e dirigente sindacale in Sicilia, rapito e ucciso della mafia a Corleone il 10 marzo 1948.
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Placido Rizzotto e le lotte contadine tra memoria e oblio
di Giovanni Contini
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Una ricerca dall’inizio difficile
Nei testi che trattano della ricerca storica con le fonti orali spesso si sostiene che i silenzi siano importanti. Non conterebbe solo quello che la gente dice, conterebbero anche, talvolta di più, le omissioni, le pause nelle risposte, le incertezze… e i veri e propri silenzi.
Solo che, nel caso della mia ricerca su Corleone e Placido Rizzotto, silenzio non ha avuto il significato di pausa e interruzione nel racconto; ma quello, molto perentorio, definitivo e preventivo di rifiuto completo di parlare. Di rifiuto dell’intervista da parte dei potenziali testimoni.
Quando nel giugno del 2001 ero arrivato a Corleone mi portavo dietro due telecamere, un magnetofono, molti (troppi!) nastri audio e video. E la tranquilla certezza che una settimana di lavoro mi avrebbe permesso di raccogliere almeno una ventina di interviste, cioè circa trenta ore di registrazione, sulle quali lavorare in seguito. Soprattutto, mi interessava intervistare gente comune, quelli mai sentiti prima, i contadini delle occupazioni dei feudi.
Così, due anni prima, avevo lavorato prima nella zona di Cammarata-San Giovanni Gemini, dove avevo potuto intervistare testimoni molto anziani, ma anche molto lucidi, capaci di raccontarmi addirittura molti episodi legati alle lotte sociali del primo dopoguerra. E di parlare senza nessun problema del banditismo, della mafia, e persino dei rapporti tra socialismo e mafia.
Invece a Corleone la situazione è subito apparsa molto diversa: ore e ore chiuso in albergo, aspettando la telefonata di Rosanna Rizzo, che cercava disperatamente testimoni, e le sono molto grato per questo, ma purtroppo, invariabilmente, telefonava per dire che l’intervista era cancellata. Che purtroppo un testimone era irreperibile, un altro non era disposto a parlare.
Sono, quindi, riuscito a intervistare, in paese, solo quattro persone: Giuseppa Rizzotto, sorella di Placido; Giuseppe (“Peppino”) Di Palermo, suo cognato; Giuseppe (“Peppino”) Siragusa, segretario della Camera del lavoro di Corleone dopo la morte di Rizzotto; Salvatore Mannina, segretario anche lui della Camera del lavoro in tempi a noi più vicini.
Ripensandoci, mi sembra di intravedere una logica: hanno parlato con me solo ed esclusivamente i parenti stretti e gli ex segretari della Camera del Lavoro, cioè quattro persone particolarmente vicine al morto, sia per vincoli di parentela che per appartenenza politica. Si potrebbe anche dire: quattro testimoni che nessuno avrebbe potuto rimproverare per aver parlato, perché parenti, e perché figure pubbliche, per giunta andate a ricoprire lo stesso incarico dell’ucciso Rizzotto.
Per il resto, persone che avevano accettato di parlare senza registratore hanno poi, anche loro, cancellato l’intervista. Uno dei testimoni mi ha chiesto di non incontrarci a casa sua, zona, come ha detto testualmente, “off limits” per essere vicina all’abitazione di personaggi potenti e temibili. Altri che si trovavano presenti quando registravo, ed erano parenti stretti della persona con la quale stavo discorrendo, mi hanno chiesto di togliere le loro parole dal testo definitivo. Infine, quando dopo l’intervista chiedevo nomi di altri possibili testimoni ricevevo un rifiuto un po’ scandalizzato: nessun nome, le persone chiamate in causa si sarebbero sentite offese, fare quei nomi avrebbe voluto dire fare un torto ai nominati.
Dicevo sopra che si usa dire essere i silenzi significativi quanto le parole. Però questa proposizione suona piuttosto come una frase a effetto, e logicamente è poco difendibile: quando sappiamo, infatti, che ci troviamo di fronte ad un silenzio? Tutto l’infinito potenziale argomento di racconto che non viene raccontato potrebbe essere considerato, in realtà, un silenzio. Come decidere cosa è stato significativamente omesso, come distinguerlo da quel molto che si omette perché, appunto, comporre un discorso significa trascegliere tra gli infiniti significati quelli che decidiamo di disporre in sequenza?
Nel caso di Corleone il silenzio, la decisione di non parlare, è invece più identificabile: non è credibile che nessuno ricordi, o voglia ricordare, le lotte per la terra, particolarmente forti a Corleone. O che sia dimenticata la morte di Rizzotto, eroe popolare che in paese ha anche un busto nella piazza del comune, ed al quale sono stati dedicati non pochi libri ed anche un film.
Per leggere il saggio completo, scaricalo in pdf.