di Urska Lampe.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, tra 50.000 e 60.000 militari italiani erano prigionieri dell’esercito jugoslavo. La maggior parte di essi fu rimpatriata entro l’autunno 1945; poi il rimpatrio si interruppe a causa della disputa tra i due stati per la definizione del confine, e circa 17.000 prigionieri di guerra italiani rimasero bloccati in Jugoslavia. Molti furono rimpatriati nel dicembre 1946, a seguito di un incontro tra il presidente jugoslavo, Josip Broz “Tito”, e il segretario del Partito comunista italiano, Palmiro Togliatti. Ma gli ultimi vennero liberati solo nella primavera del 1947, due anni dopo la fine della guerra. In alcuni casi la sorte dei prigionieri non si è mai saputa, e le loro famiglie in Italia sono rimaste in sospeso per molti anni, sperando in un ritorno.
La loro storia è meno nota rispetto a quelle degli internati (IMI) nei campi tedeschi e dei prigionieri di guerra rimasti nelle mani degli anglo americani e dei sovietici. Esistono alcuni libri di memorie scritti da ex prigionieri italiani in Jugoslavia o dai loro figli. Molti si concentrano sulla prigionia nel campo di Borovnica, localizzato a Dol pri Borovnici nei pressi di Ljubljana (Slovenia). Si tratta del campo principale dove furono portati i prigionieri arrestati durante e dopo la liberazione di Trieste nel maggio del 1945. Il campo era molto affollato e le condizioni al suo interno pessime, in parte come conseguenza della situazione generale in Jugoslavia dopo la guerra (mancanza di cibo, di vestiti, di medicinali etc.), ma anche a causa della violenza usata dalle guardie nei primi mesi. C’erano anche altri campi sul territorio jugoslavo, come quello di Vršac (Serbia), riservato agli ufficiali. La maggior parte dei prigionieri veniva divisa in brigate e mandata a svolgere lavori di pubblica utilità in varie parti della Jugoslavia.
Se le memorie non mancano, la storiografia è invece piuttosto limitata. Uno degli studi più rilevanti è stato scritto da Costantino Di Sante, che ha affrontato il tema a più livelli, analizzando soprattutto le relazioni diplomatiche e le condizioni nei campi dal punto di vista delle fonti italiane. Un contributo su fonti jugoslave è stato dato dalla storica slovena Nevenka Troha. Nel panorama storiografico, del tutto assenti sono gli studi sul rientro a casa dei prigionieri e sul vissuto delle loro famiglie. Come ha scritto Barbara Hately Broad già nel 2002, “sebbene le esperienze di famiglie di prigionieri di guerra incidano su una vasta gamma di campi, tra cui la storia delle donne, la storia sociale e la storia militare e politica, la loro vicenda rimane in gran parte non scritta per qualsiasi guerra”. Rimangono infatti ancora aperte le domande sulla reintegrazione dei prigionieri nella società e nella vita familiare dopo il loro rimpatrio, su come e quanto quell’esperienza abbia influito sulla loro vita personale e su quella dei loro congiunti e dei loro figli, e quindi sulla trasmissione della memoria (e del potenziale trauma) alle generazioni successive.
È su questo che ci concentra il progetto di ricerca IT-POW FAMILIES: Families and Memories of Italian Prisoners of War in Yugoslavia after World War II, sostenuto dal Programma di ricerca e innovazione dell’Unione Europea Horizon 2020, borsa Marie-Sklodowska Curie Actions Individual Fellowship n. 839474. Esso si propone di affrontare il problema dei prigionieri di guerra italiani in Jugoslavia su più livelli: militare, politico, diplomatico e sociale, conducendo una ricerca interdisciplinare, che richiede diversi approcci metodologici. Il progetto è cominciato nella primavera del 2020 e prevede di combinare ricerca d’archivio e raccolta di testimonianze orali. Al centro della ricerca ci saranno le famiglie dei prigionieri. Per entrare in relazione con esse serviranno competenze non solo storiografiche, ma anche antropologiche e psicologiche.
Si tratta in fondo di un progetto di public history, in cui la collaborazione con i soggetti che sono portatori di memoria è essenziale. Rivolgo per questo un caldo appello a chi può aiutarmi nella ricerca di ex prigionieri di guerra in Jugoslavia e dei loro famigliari e discendenti disponibili a condividere la loro storia. Chi voglia collaborare, può contattarmi al mio indirizzo e-mail (Urska.Lampe[@]unive.it) e seguire la pagina Facebook (MSC project IT-POW Families, https://www.facebook.com/MSC-project-ITPOW-Families-103951711368000), dove la ricerca viene raccontata nel suo farsi e sono segnalate tutte le iniziative pubbliche che la riguardano
Il progetto IT-POW FAMILIES è finanziato dal Programma di ricerca e innovazione dell’Unione Europea Horizon 2020, borsa Marie-Sklodowska Curie Actions Individual Fellowship n. 839474 / This project has received funding from the European Union’s Horizon 2020 research and innovation programme under the Marie Skłodowska-Curie grant agreement No 839474.