di Eleonora Anedda
e.anedda[@]columbia.edu
Sono nata nell’estate del 1996 a Muravera, una piccola città del sud della Sardegna. Ho frequentato l’Università di Cagliari laureandomi nel 2015 con una tesi sulle carte del processo della pittrice Artemisia Gentileschi – tema che mi ha avvicinato molto agli Studi di Genere. Successivamente ho voluto approfondire i miei studi al Goldsmiths College di Londra con un Master in Queer History. Sotto la guida di Dr Amy Tooth Murphy e gli archivisti della British Library e Bishopsgate Institute, familiarizzai col mondo della storia orale e me ne innamorai. Nel 2019 mi trasferii a New York per frequentare il Master in Oral History offerto dalla Columbia University. Qui iniziai il mio progetto LIOH—Lesbismo Italiano Oral History Project, per contribuire nel mio piccolo alla documentazione e conservazione della storia e cultura LGBT Italiana. Dal 2020 lavoro con storici, attivisti, community organizers, e numerose no-profit per progettare, sviluppare e condividere progetti di storia orale.
Esiste un divario generazionale tra le giovani queer italiane e le lesbiche nate negli anni ‘50 e ‘60. Mentre i giovani ricorrono ai social network per conoscersi e vivere la loro cultura queer1, le più grandi si riuniscono nelle case private così da rendere difficile uno scambio di idee, storie e memorie sulla propria identità. Appunto per questo, quando venne il momento di cercare dei narratori da intervistare mi ritrovai a corto di nomi. Chiesi aiuto ad amici di famiglia, colleghi, parenti – chiunque. Alla fine mi venne in aiuto un’amica, una signora mezza-inglese mezza-italiana, con un fortissimo accento romano. Mi disse che lei conosceva “uno” e che poteva aiutarmi ma che dovevo fare silenzio e far finta di essere sua cugina. Mi ritrovai così al crepuscolo davanti un’antica chiesetta di città in attesa della processione per il santo martire. Attendemmo nella piazzetta colma di fedeli. Come le campane iniziarono a suonare, dalla chiesa uscirono per primi l’arcivescovo e il parroco, la statua del santo li seguì, e si accodarono i confratelli e le consorelle. La mia “scorta” vide il suo amico, si salutarono, lei ci presentò e iniziammo a seguire la processione. Lui mi chiese come poteva essermi d’aiuto e nel mentre che il corteo recitava l’Ave Maria io gli chiesi a voce bassa: «Conosci delle lesbiche?».
Così nel 2019 nacque LIOH (Lesbismo Italiano Oral History Project) un progetto di storia orale che concettualizzai a New York durante i miei studi alla Columbia University. Devo ammettere che a paragone con i nostri vicini di oltreoceano, lo stato della letteratura sulla storia omosessuale italiana, e sul lesbismo in particolare, mi sembrava alquanto scarso – ma la situazione non è così tragica come potrebbe sembrare. Iniziai la mia ricerca da due volumi: Fuori dalla norma e L’emersione imprevista. Il primo è una collezione di saggi curata da Nerina Milletti e Luisa Passerini. Ogni capitolo racconta la biografia di una o più donne lesbiche che vissero in Italia nella prima metà del Novecento. Il secondo invece è una ricerca di Elena Biagini sul movimento lesbico Italiano degli anni ‘70 e ‘80, tra le fonti vanta oltre 40 interviste di storia orale con numerose attiviste di tutta la penisola. Ma la ricerca che mi proposi voleva affrontare delle coordinate diverse. Prima di tutto non ero interessata alle storie di militanti o di attivismo politico, al contrario ero incuriosita dalle vite di tutti i giorni: che lavoro facevano? Dove si incontravano? Come conoscevano persone nuove? Come erano cresciute? In cosa credevano? Leggevano i giornali? Ma soprattutto, erano felici? Inoltre riconoscevo i limiti delle fonti presenti in archivio. Per rispondere a domande sulla quotidianità era necessario ricorrere a una metodologia di ricerca che potesse includere anche le voci di persone comuni – donne che vivevano in centri urbani come in zone rurali, di condizione agiata o meno privilegiata, con un’educazione universitaria e non. Fu così che mi affidai alla storia orale.
Oltre a essere un progetto indipendente LIOH fu anche la mia tesi di laurea. Esaminai due storie, quella di Bianca di Roma e Alessandra – come me – di Cagliari. L’analisi delle interviste riflette sulle esperienze lesbiche attraverso i gender e queer studies, il femminismo italiano e il movimento lesbico italiano. Come menzionato sopra, anche questo scritto, come il progetto, indaga aspetti di vita legati a una soggettività quotidiana come la relazione con la famiglia, la “scoperta” dell’orientamento sessuale, il processo di coming out, le relazioni sociali, l’associazionismo e gli ambienti di lavoro. Mi chiesi come le scelte di vita delle mie narratrici potessero essere state influenzate dalla società, la religione cattolica, il linguaggio e la politica. In questa sede però vorrei riflettere su altri due temi: l’intervista a distanza, con i suoi vantaggi e svantaggi, e la conservazione di spazi queer.
Interviste virtuali
Riuscii a programmare alcune interviste quando tornai in Italia per le vacanze natalizie del 2019 ma la loro effettiva registrazione avvenne quando ritornai su suolo americano, tra gennaio e febbraio 2020. Così, per motivi logistici, iniziai ad adattarmi a interviste virtuali prima dell’avvento della pandemia. Devo dire che, a cavallo fra 2019 e 2020, avendo appena iniziato il mio training di storia orale e avendo registrato ancora poche interviste di persona (meno di dieci), con l’arrivo del distanziamento, i lockdown e le prevenzioni anti-Covid-19 non percepii nessuno stravolgimento nella mia pratica – anzi. Le interviste digitali mi aiutarono enormemente a liberarmi di alcune difficoltà che riscontravo nelle interviste “dal vivo”. Di persona mi risultava difficile prendere appunti o segnarmi delle domande da porre in seguito per paura di mettere a disagio l’intervistato. Tuttavia la visuale ridotta delle chiamate online mi permise di tenere un quadernino al lato del computer e scrivere senza troppe preoccupazioni. Per di più, nelle mie prime interviste sviluppai una fobia irrazionale per cui se avessi distolto lo sguardo dal narratore lui o lei o loro avrebbero pensato che non fossi interessata. Oltre a impedirmi di prendere appunti, fissare lo stesso punto per circa due ore consecutive mi causava terribili mal di testa. Solo con l’utilizzo di servizi digitali mi sentii più libera di muovere lo sguardo, rasserenandomi nel non notare giudizi negativi da parte dei narratori. Allo stesso tempo, come molti professionisti hanno già notato, le interviste a distanza presentano anche degli svantaggi2. Uno di questi è la breve curva dell’attenzione che ho visto ripercuotersi sia sui tempi dell’intervista sia sulle comunicazioni via mail o messaggi. Tenendo conto dell’enorme uso quotidiano di computer, telefoni o tablet, registrare 120 minuti consecutivi di intervista online potrebbe risultare faticoso sia per il narratore sia per l’intervistatore. Analogamente, ho notato un dilatarsi dei tempi di risposta alle mail o ai messaggi per semplici comunicazioni di routine riguardo documenti da firmare, consenso informato, approvazione della trascrizione etc. Nonostante questi ostacoli, trovo che nel mio caso i vantaggi delle interviste virtuali superino gli svantaggi e se non altro mi abbiano permesso di lavorare e raccogliere del materiale di valore storico anche a distanza.
Spazi queer: come preservarli?
Alessandra:
Prima c’era un locale in Via Mameli che si chiamava Samba. Praticamente uscivamo tutte le sere e ci incontravamo lì. Era bellissimo. Io raramente esco da sola, non mi piace. Però lì sono andata diverse volte da sola, perché sapevo che una persona che conoscevo la trovavo. Le titolari erano lesbiche e stavano insieme. Il locale era frequentatissimo, da gay e lesbiche. Era anche etero-friendly! [Ride]. Ogni tanto facevano dei concertini, come si usa anche adesso, qualcuno viene a cantare. Tra le varie cantanti c’era una ragazza lesbica. […] Lei era molto brava a cantare Mina. Per diverso tempo questo locale è andato di moda, era sempre pieno, sempre pieno di noi. [Registrazione del 23 Gennaio 2020]
Con l’analisi delle interviste mi resi conto di numerosi estratti che, come questo, citano spazi queer in tutta Italia. Decisi far ordine nei miei appunti e volendo condividere questi dati col pubblico cercai di riunirli in un unico luogo. Grazie ai miei docenti venni a conoscenza di StoryMap: una piattaforma che consente di collegare diverse aree geografiche tra loro e allegare foto, video e didascalie. Così registrai tutte le menzioni di luoghi queer fatte dai miei narratori (gay bar, cinema, località di mare, etc.) con i relativi audio clips estratti dalle interviste. Ma cosa rende uno spazio queer, lesbico, gay, trans, o LGBT? Quali caratteristiche devono avere per essere definiti tali? Come possiamo preservarli da un punto di vista storico? Gli archivi ci possono aiutare? Quali tools esistono oltre StoryMap? E, in ogni caso, con chi condividere questo sapere (tenendo conto che alcuni luoghi potrebbero essere abitazioni private)? Queste sono alcune delle domande e temi etici su cui ho riflettuto. Samba, per esempio, è un gay bar che non esiste più, e – anche se la cessazione dell’attività va attribuita alla semplice rottura della relazione delle proprietarie – questa è una sorte che purtroppo accomuna molti gay bar non solo in Italia ma in tutto il mondo. Esiste quindi un’esigenza di archiviazione per documentare questa storia prima che le memorie vengano perse completamente.
Riflettendo su memorie individuali e collettive, LIOH, nel suo piccolo, cerca di contribuire alla documentazione e preservazione della storia lesbica italiana. Dopo la mia laurea e con l’evolversi della pandemia il progetto ha subito una battuta d’arresto ma è sicuramente ancora lontano dall’essere “completo.” Aspettando di poterci lavorare nuovamente, spero che nascano al più presto nuove ricerche e studi sulla storia della comunità LGBT Italiana.
NOTE
1 Queer è un termine anglofono usato, in genere, come sinonimo di LGBT e cioè vuole comprendere tutti i membri della comunità (lesbiche, gay, bisessuali, pansessuali, trans, etc.) che non seguono standard eteronormativi, o per orientamento sessuale o per identità di genere. Per uno studio più approfondito sulle implicazioni teoriche, politiche e culturali consiglio la lettura di Queer. Gli studi e la politica queer di Laura Schettini in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere e arti. IX appendice, Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani, Roma 2015.
2 J.A. Cramer (2020) “First, Do No Harm”: Tread Carefully Where Oral History, Trauma, and Current Crises Intersect, «The Oral History Review», 47:2, 203-213; A.F. Kaplan (2020) Cultivating Supports while Venturing into Interviewing during COVID-19, «The Oral History Review», 47:2, 214-226, con particolare riguardo alla sezione «Creating Supportive Interview Formats», 219-221.