di Chiara Paris e Bianca Pastori
La mattina del 16 ottobre 2021, a Roma, in occasione dell’assemblea annuale dei soci di AISO si è svolto il seminario Raccontare storie, raccontare la storia. Al centro della tavola rotonda, le forme di scrittura storica e il rapporto tra storia orale e narrazione in senso lato.
Ospitati dal Centro Maria Baccante, nel verde del parco Ex Snia Viscosa, sono intervenuti quattro ospiti che si misurano da anni con questi temi: Antonio Fanelli (antropologo e storico dell’Istituto Ernesto De Martino, direttore della rivista Il De Martino. Storie voci suoni); Gabriella Gribaudi (storica, direttrice della collana di storia Orale di Editpress); Igiaba Scego (scrittrice, ricercatrice in studi postcoloniali); Luigi Vergallo (storico, responsabile dell’osservatorio Storia e Memoria di Fondazione Feltrinelli e scrittore di narrativa noir).
L’intervista ha una sua evidente narratività intrinseca, pertanto i temi al centro della discussione non sono di certo una novità per AISO che dell’intervista fa il suo principale strumento di lavoro – afferma Bianca Pastori nella sua introduzione – questioni che si presentano “come un fiume carsico che scorre accanto alla vita dell’Associazione e che, nel tempo, riemerge” (qui è disponibile la versione integrale della relazione introduttiva di Bianca scaricabile in pdf).
Le domande di partenza:
- Qual è il movimento attraverso il quale si va dalle storie alla storia: si parte dalle storie personali per filtrare la storia generale o viceversa? Come funziona la tensione tra il piccolo e il grande? Com’è che le singole storie di vita dialogano con i quadri storici più ampi?
- Praticare forme diverse di restituzione della storia, meno consolidate della forma di saggio, è utile perché apre la fruizione della storiografia a tipologie di pubblici differenti, ma come gestire questi nuovi spazi di creatività?
- Quale rapporto con la geografia e con i luoghi che fanno da cornice ai contesti che esploriamo e che scegliamo di raccontare?
Punti di vista in dialogo
Per iniziare abbiamo guardato alle due recenti iniziative editoriali che considerano l’intervista di storia orale come una fonte privilegiata e che si propongono anche di esplorare forme di scrittura storica meno canoniche: la rivista Il De Martino. Storie voci suoni e la collana di Storia Orale.
Antonio Fanelli ha presentato il nuovo progetto editoriale della rivista Il De Martino, sottolineando la scelta basilare di voler “dare più respiro alla forma”, oltre gli steccati del saggio storico monografico (che pur resta un importante strumento per affermare e consolidare l’importanza della storia orale in ambito accademico). Accogliere scritti più ibridi e meno vincolati a questa forma risponde anche all’esigenza di proporre articoli di intervento sul presente di taglio politico e critico sull’attualità. Il desiderio da cui prende le mosse questa scelta – racconta Fanelli – è offrire uno spazio di emersione a ricerche fatte attraverso fonti orali, riuscendo a restituirle in forma di saggio breve. Questo guardando anche alle forme intermedie di restituzione, più sperimentali e di nuovo meno canoniche, come il documentario, il teatro di narrazione, il podcast: prodotti culturali che richiedono un livello di efficacia e un’operazione di sintesi ulteriore laddove la storia orale, per sua natura strabordante di particolari, spingerebbe verso una forma monografica.
A seguire Gabriella Gribaudi racconta l’iniziativa della collana di Storia Orale pubblicata da Editpress. Anche questo progetto vuole porre l’attenzione sulle varie possibilità di utilizzo della storia orale come strumento di ricerca e analisi. La storia orale permette di rintracciare le diversità tra i contesti – dice – e le sue possibili rappresentazioni. Aiuta a ricostruire le fratture della storia e le varie temporalità che appartengono a uno stesso spaccato di contesto. Gabriella Gribaudi ribadisce poi l’utilità di un approccio letterale all’intervista: fornire la versione integrale di questo documento, con annessa trascrizione, è importante perché è lì che si offre una restituzione visiva del linguaggio, dei “modi di parlare” dei testimoni, ossia di quel livello di dettaglio impossibile da mantenere nei podcast e in altre forme più ibride di utilizzo dell’oralità e che, di conseguenza, “richiede di essere difeso”. Citando il documentario tratto dal suo Terra bruciata, la storica ha ricordato la necessità di “entrare nel cuore delle storie” per poterle rappresentare con questi strumenti, selezionando i fatti con un’operazione fortemente autoriale. Cosa che avviene anche nel saggio tradizionale, ma in maniera meno evidente, perché vi è lo spazio per riprendere i fili interrotti nella narrazione e, di volta in volta, approfondirli.
Qui un estratto video degli interventi di Antonio Fanelli e Gabriella Gribaudi:
Igiaba Scego introduce al suo processo creativo di scrittura a partire dall’ultimo libro pubblicato nell’ottobre 2021, Figli dello stesso cielo. Il razzismo e il colonialismo raccontati ai ragazzi. Qui la narrazione assume la forma di un’intervista totalmente immaginata attraverso la quale una giovane nipote può conoscere e indagare la storia coloniale vissuta da suo nonno. Igiaba Scego afferma che spesso l’oralità è il suo “materiale fondamentale”, che lei utilizza mescolandolo a tasselli diversi, in parte raccolti dai racconti e dai ricordi dei suoi famigliari, in parte frutto della sua fantasia. Per chi è interessato a ricostruire la storia del colonialismo – dice – l’oralità è fondamentale, soprattutto quando la ricostruzione del passato tende a somigliare a un terreno minato, in cui si scontrano posizioni manichee che dividono gli attori in campo tra buoni e cattivi e dove le storie di vita aprono invece degli spaccati di realtà ben più controversi e meno lineari. La complessità della storia coloniale riemerge soprattutto attraverso i punti di vista particolari, i tasselli e le storie piccole che appartengono a tutte le famiglie somale e italiane. Questo soprattutto laddove, come in Somalia, ci si confronta con un patrimonio di fonti documentarie testuali andate distrutte nel corso degli anni di guerra civile. Storia orale, immaginazione e narrativa rappresentano quindi un rimedio fondamentale contro il vuoto profondo di riferimenti e punti di ancoraggio documentari.
Anche Luigi Vergallo racconta il suo rapporto con i due differenti tipi di scrittura che ha sperimentato a fasi alterne nel corso della sua carriera di ricercatore storico e di scrittore di romanzi. Per lungo tempo il punto è stato come far convivere questi due strumenti apparentemente così inconciliabili – dice – capaci di rispondere a paradigmi e problematicità difficilmente sintetizzabili. Una risposta possibile sta nel partire dai punti di contatto, perché è lì che la presunta diversità tende a smussarsi. Entrambe le tipologie di scrittura riescono a far scattare un meccanismo empatico, perché entrambe muovono da un forma di inquietudine legata all’attualità. Poi passa al rapporto con le fonti, la loro natura di vincolo più o meno restituita filologicamente: “Tutto sommato nessuno di noi lavora con il vero, bensì con il verosimile” dice Vergallo “ossia con delle fonti che ci vincolano, ma che non viviamo come un vincolo, ma come un’opportunità. Anche un racconto di narrativa può essere vincolato a delle fonti, a voci ascoltate in palestra, tirando ad un sacco o nel cortile di una casa popolare”. Il punto della riflessione di Vergallo è che una storia ideale, che costruiamo mettendo a valore elementi di tutte le storie e delle voci che abbiamo ascoltato o raccolto, di tutte le fonti che abbiamo ascoltato o raccolto, diventa più verosimile delle singole storie nella loro individualità.
Qui un estratto video degli interventi di Igiaba Scego e Luigi Vergallo:
Il tema del rapporto tra storia e letteratura chiama in causa concetti densi, impegnativi come vero, verosimiglianza e veridicità – dice Bruno Bonomo – in un campo come quello della restituzione della storia che sappiamo consistere sempre in una restituzione parziale e non assoluta della realtà in cui c’è bisogno di ancoraggi che sono ineludibili. La verificabilità di questi ancoraggi è una bussola che orienta la ricerca e la verità è un “oggetto” variamente declinato e non assoluto che, come sottolinea Francesca Socrate, sta anche nei diversi punti di vista delle persone che ci raccontano la propria storia, ognuna con il suo singolarissimo contenuto di “verità”. Una soluzione prospettata e alternativa alla classica nota storica è la scrittura di una sorta di “making of”, in cui rendere trasparente il percorso di ricerca che ha portato ad una certa ricostruzione/restituzione. Questo, sottolinea Giovanni Contini, porta con sé anche il vantaggio di uscire da un approccio ingenuo per cui ci sembra di “dare la parola” ai nostri interlocutori.
Guardare ai diversi statuti della verità ci porta in uno spazio in cui ci sono grandi aree di sovrapposizione, dove i linguaggi e le pratiche tendono a intrecciarsi. Se gli ultimi venti anni di letteratura italiana hanno visto un addensarsi di esempi di narrativa non fiction – precisa Roberta Garruccio – questo è significativo e sintomatico del fatto che il presente in cui viviamo ha bisogno di una decifrazione che tradisce un desiderio di realtà. La domanda che cosa fabbrica lo storico quando diventa scrittore? Di conseguenza è oggi ancora urgente e aperta. D’altro canto, sottolineano gli ospiti, nella letteratura italiana contemporanea si riscontra un deficit di immaginazione per cui il racconto autobiografico spesso diventa una scorciatoia che non consente di entrare in profondità in alcune questioni, anche storiche.
Anche Alessandro Casellato torna sull’imperativo, per chi fa storia, di essere filologici e di passare attraverso una trafila di procedimenti riconoscibili e canonizzati. Il principio di verificabilità ha un carattere di vincolo deontologico per la storiografia e il suo modo specifico di avvicinarsi alla realtà nel tentativo di comprenderla. Il contenuto del documento è la “fonte che alimenta la nostra conoscenza” e se è possibile un abbraccio gioioso tra storiografia e fiction – conclude Casellato – ci sono però specificità, regole, buone pratiche e procedure di cui è bene tenere conto per il bene della storiografia e della narrativa.
Qui un estratto video del secondo giro di interventi: