di Chiara Spadaro
Domenica 26 settembre 2021 è stato inaugurato a Cison di Valmarino (Tv) il “museo temporaneo di saperi e memorie” Ruraliă. Un progetto a cui anche Aiso contribuisce con le storie di vita raccolte nel luglio 2020 e 2021 durante le scuole di storia orale nel paesaggio del prosecco superiore.
Si sale lenti, una domenica di inizio autunno, a Cison di Valmarino. Dietro a un furgone che copre l’orizzonte con il suo alto carico di uve bianche e alle auto più basse che trasportano mountain bike, hai il tempo di controllare il navigatore e accorgerti di essere immersa in un paesaggio a righe. Le vigne sono precise, geometriche. E sono strette. Abbiamo provato a entrarci, ad attraversarle, a immergerci in queste onde verdi la scorsa estate, nel luglio 2021, e prima ancora, nel luglio 2020, durante le due edizioni della scuola di storia orale nel paesaggio del prosecco superiore. Ma, prima d’ora, non le abbiamo mai frequentate all’inizio dell’autunno, in questa stagione operosa che ha bisogno dei suoi tempi lunghi – il tempo del lavoro, il tempo del raccolto, il tempo della trasformazione.
All’apparenza sembra fermo nella sua tutelata perfezione1, ma a ben guardare ci si accorge che quello dove ci troviamo è un paesaggio che muta velocemente. Si vede bene se prendiamo una “cartolina” del luglio 2020, ambientata nella corte delle case Marian, le case rosse dei mezzadri dei conti Brandolini, recentemente risistemate dalla Pro Loco di Cison di Valmarino. L’antropologa Daniela Perco siede su una panchina di pietra bianca davanti alle case rosse, accanto a due gelsi: sta ascoltando Cristina Munno – storica e assessora alla Cultura del Comune – che ci introduce al luogo dove svolgeremo la prima scuola.
Due anni dopo, questa cartolina si è trasformata: al posto della panchina dove sedeva Daniela c’è un carro di legno, un’anteprima di Ruraliă, “museo temporaneo di saperi e memorie”, che trova spazio in due stanze al piano terra delle case Marian. Dove lo scorso luglio abbiamo cenato durante la scuola Aiso, il 26 settembre 2021 abbiamo ascoltato la presentazione di questo nuovo museo, allestito in pochi mesi e a pochi metri (di distanza).
È possibile, per noi foresti, riconoscersi in un paesaggio sconosciuto e che cambia così velocemente? È possibile farlo osservando gli oggetti allestiti in un museo? O ascoltando le voci, le microstorie di chi questi luoghi li abita? Quest’ultima è la via che abbiamo scelto come Aiso per entrare nel paesaggio: ascoltare storie piccole, altre voci tra le grandi e a volte conflittuali narrazioni che hanno già provato, ripetutamente, a raccontare questo territorio.
A volte, entrando nelle case dove siamo stati accolti per le interviste, abbiamo potuto vedere e toccare anche degli oggetti. Nella sua casa/osteria di Tovena (una frazione di Cison di Valmarino), ad esempio, Annalina Magagnin per prima cosa ha voluto mostrarci lo stampo del burro della sua famiglia, che stava appoggiato sopra al caminetto.
Annalina Maganin. La mia famiglia è qua dal 1406.
Chiara Spadaro. E cosa faceva la sua famiglia storicamente?
AM. Avevano le latterie. C’è ancora il marchio là, guarda. Arrivavano fino a Chioggia.
CS. Dove?
AM. Quell’affare là (indica il caminetto) è il marchio di famiglia di un chilo di burro. Può tirarlo giù… è di Magagnin Antonio.
Cecilia Molesini. Posso fotografarlo?
AM. Sì, sì (…)
CS. Sono le iniziali?
AM. Magagnin Antonio, sì. (…)
CS. Cos’è allora questo oggetto?
AM. Quello lì era il marchio del burro di famiglia. Cioè la mia famiglia andava, prendeva il burro sulle altre casere, lo disfavano e lo facevano di nuovo con il suo marchio. Si andava fino a Chioggia comunque.
CS. Fino a Chioggia a venderlo?
AM. Sì, a Venezia avevano i venditori.
CS. Ok, quindi non facevano proprio loro il burro…
AM. No, avevano un caser che facevano il burro per loro.
CS. E sa il nome di questo caser?
AM. Oh, sarà 200 anni fa… Mi è rimasto il marchio qua, che è del 1800 non so… guarda dietro… 1700 non so…
CM. 1781, mi sembra. Sì, 1781.
CS. Quindi loro vendevano il burro, e poi anche i discendenti dopo hanno continuato?
AM. Sì, sì, fino al 1936 e poi siamo andati in casino e nessuno ha più fatto niente (…)2.
Come ha sottolineato Cristina Munno alla presentazione di Ruraliă, gli oggetti ci aiutano a ricostruire le storie dei nostri territori e a riportarle a un presente, a tenerle vive. A volte abbiamo, tuttavia, uno “sguardo ignorante” – come l’ha chiamato lo scrittore Tiziano Scarpa, che ha costruito il suo intervento per l’inaugurazione del museo attorno al tema del riconoscimento.
Tiziano Scarpa. Ci sono degli oggetti che, io lo dico, non… forse non li riconosciamo, non li riconosciamo. Due generazioni fa erano ovvi, erano ovvi. Noi non li riconosciamo. (…) È quello che chiamerei uno sguardo ignorante. Uno sguardo ignorante. Però è anche lo sguardo dello stupore infantile, è lo sguardo della meraviglia (…).
Perché nella vita quando noi siamo abituati a vedere qualcosa, pensiamo di riconoscerlo perché lo conosciamo. Ma conoscere non è riconoscere (…). L’abitudine è anche un modo per non vedere le cose, sono scontate, no, le diamo per ovvie… Invece quando non le riconosciamo facciamo delle ipotesi, ci sforziamo, cos’è questa cosa? Ne vediamo dei lati non scontati, non ovvi3.
Con la storia orale questo affascinante e imprevedibile spazio dell’immaginario viene riempito con le storie di vita: assume una concretezza. Quello stampo del burro che osservavamo con “sguardo ignorante” ha trovato un posto, si è fatto spazio nella storia di Annalina e della sua famiglia, trasportandoci “fino a Chioggia” e poi nel tempo, oltre la “causa finale”4 – per riprendere Aristotele citato da Tiziano Scarpa – dello stampo stesso, che oggi è diventato un soprammobile. La storia orale sposta il finale oltre. E lo fa anche un museo come Ruraliă – temporaneo perché in evoluzione – che, in futuro, affiancherà agli oggetti le voci degli abitanti raccolte durante le scuole di storia orale. Un museo dove si potrà entrare e chiudere gli occhi, per mettersi in ascolto.
Nelle due esperienze estive a Cison di Valmarino abbiamo raccolto 22 interviste a 28 persone che vivono nelle diverse frazioni del Comune (alcune le abbiamo infatti incontrate insieme). Ci siamo concentrati su Rolle, Tovena e Mura – in un graduale avvicinamento al passo San Boldo e alle montagne bellunesi – e in apertura della seconda scuola abbiamo avuto modo di restituire le voci del 2020 a chi ce le aveva donate, in una serata pubblica al teatro Loggia.
Se la giornata dedicata alle interviste è il cardine di questa esperienza di ricerca, non meno importanti sono le passeggiate, il calpestio del territorio, la scoperta delle sue acque, l’ascolto delle sue storie – programmato (grazie alla presenza di testimoni contattate in precedenza) e, come è successo altre volte, inaspettate. Mentre ci presentavamo tra i partecipanti alla scuola nel prato del Casteller, ad esempio, un passante si è avvicinato e, descrivendo un capitello, ha evocato nomi nuovi e antichi culti di questi luoghi, e vicende di piante miracolate e straniere come noi.
Passante. (…) Voi vedete che sotto c’è, appunto… un, una piccola nicchia, dove adesso c’è una rappresentazione della Madonna, ma a suo tempo c’era invece il disegno di San Daniele. Perché questa è la valle cosiddetta di San Daniele, che prende il nome non dal Daniele il profeta, quello nella fossa dei leoni, anche se qui è stato dipinto quello, ma un Daniele che viveva eremita qui in queste zone. E che sembra che sia morto martire. Erano i primi secoli del cristianesimo. E la leggenda dice che dove il suo sangue è stato versato è venuta su una pianta. Che si trova in montagna, ma non a queste basse latitudini. Sarebbe la Daphne striata, è della famiglia dei rododendri. Ed è proprio profumata e con fiorellini tutti quanti rossi, che sembrano proprio da lontano, proprio gocce di sangue. E quelli vengono chiamati i fiori di San Daniele.
Cristina Munno. Ed è particolare proprio perché… si trova in questa valle e probabilmente come residuo glaciale, no?
P. Sì, come residuo glaciale.
CM. E non si trova in…
P. Si trova molto più… ad altitudini molto più alte.
CM. Di solito si trova in zone dolomitiche.
Capire – osservando un rododendro o i gelsi o le viti, registrando le storie di vita, guardando un capitello o uno stampo per il burro – come e perché questi paesaggi si sono trasformati nel tempo era uno degli obiettivi delle nostre scuole; un obiettivo in comune con il nuovo museo. Riportare questi saperi e le memorie – ma anche le musiche e le poesie che ci hanno accompagnati – nell’esperienza di Ruraliă potrebbe essere la sfida della prossima scuola a Cison di Valmarino. Come far dialogare queste voci libere e mobili con gli oggetti stabili allestiti nelle case Marian? Come metterci in ascolto di un museo?