Il Presidente Giovanni Contini introduce il seminario riferendosi al fatto che l’idea di redigere, da parte di Aiso, un documento che stilizzi i principi del lavoro sulle fonti orali e della storia orale è stata approvata dall’assemblea dei soci Aiso lo scorso anno, proprio qui a Firenze. La redazione del documento ha richiesto molti mesi di lavoro da parte del gruppo che era stato delegato a occuparsene (il gruppo è costituito da: Fulvio Cortese -docente di diritto pubblico all’Università di Trento-; Alessandro Giadrossi – avvocato, con una particolare esperienza nel campo del reato di diffamazione, già docente di Legislazione dei beni culturali-; Andrea Giorgi (docente di archivistica nella stessa Università); Adelisa Malena (ricercatore di Storia Moderna, Università Ca’ Foscari e membro del Comitato Etico di Ca’ Foscari); Giovanni Contini, insieme a Bruno Bonomo, Alessandro Casellato, Roberta Garruccio, Gloria Nemec, Rachele Sinello (Aiso). La redazione è arrivata ora ad una bozza molto avanzata, che viene illustrata oggi e commentata dai diversi interventi in programma durante la mattinata. Si parte però da alcuni casi particolarmente critici che si sono presentati in passato, nella convinzione che tali casi aiutino ad esporre più nitidamente le maggiori criticità che si registrano nella raccolta, nell’uso e nella conservazione delle fonti orali.
Antonio Canovi (Aiso) parte con il presentare un “caso di oblio”, in questo caso oblio da parte della storiografia: si tratta della vicenda legata al “Chi sa parli!”. Si tratta di una vicenda che si apre a Reggio Emilia nel corso del settembre 1990 a seguito di una campagna aperta allora da un funzionario del PCI locale (Otello Montanari); la campagna del “Chi sa parli!” si riferisce alla memoria degli omicidi a sfondo politico del dopoguerra, e in particolare a quello di Don Pessina, avvenuto a Reggio il 18 giugno 1946. Per questo omicidio, a seguito del processo che ne seguì, vengono condannati innocenti alcuni partigiani; quel processo viene riaperto proprio all’inizio degli anni ’90, nel nuovo clima politico del paese, e la sentenza di revisione della sentenza arriva nel 1994. Antonio Canovi – durante la relazione – cita testualmente dalla sentenza del 1994, la quale a sua volta chiama in causa tre interviste di storia orale dedicate alla ricostruzione del clima dell’immediato dopoguerra a Reggio Emilia (e non dei fatti di sangue di quel periodo) e realizzate intorno al 1984 nell’ambito di un progetto di ricerca allora coordinato da Luciano Casali (docente di storia contemporanea all’Università di Bologna). Da quella campagna di interviste fu poi realizzato il volume di Nadia Caiti, Guarniero Romeo, La memoria dei rossi. Fascismo, resistenza e ricostruzione a Reggio Emilia. Le interviste realizzate non vengono accompagnate da alcuna liberatoria, ma si arriva alla pubblicazione del libro con il pieno accordo dei testimoni. Su ordine della magistratura, i carabinieri si recano a casa di Guarniero Romeo e sequestrano le audiocassette relative al clima del ’46; le audiocassette sono quindi acquisite agli atti del processo, che si svolge a Perugia per ragioni di ordine pubblico. Due dei tre autori materiali dell’omicidio di Don Pessina a quel punto si costituiscono e affrontano la condanna. Conclude Canovi: ciò che viene prodotto da una ricostruzione di storia orale, che in larga parte mirava alla ricostruzione del clima più che dei fatti del ’46, può diventare materiale giudiziario? Quello che appare un nonsenso per gli storici, non è stato tale per la magistratura.
Roberta Garruccio (Aiso) interviene brevemente per introdurre il resto dei lavori e per spiegare in sintesi alcuni elementi relativi al documento delle Buone pratiche/linee guida; in particolare: di che cosa si tratta; perché è stato immaginato; per chi è stato pensato; come ha lavorato il gruppo che lo ha discusso e redatto. Lascia ai relatori principali il compito di illustrare struttura e contenuti del documento.
Fulvio Cortese (Università di Trento) illustra alcune delle ragioni che sono alla base della iniziativa che conduce alla redazione delle “Buone pratiche/linee guida per la storia orale”. Precisa che il proprio ruolo nel gruppo di lavoro (come quello dell’avvocato Giadrossi) è stato un ruolo di garanzia e di cornice; non si è trattato in nessun modo di una consulenza legale, ma di un appoggio alla valutazione degli aspetti prospositivi di questa iniziativa. Le linee guida emergono certo anche da un’esigenza di carattere difensivo degli storici, ma non si esauriscono affatto in questa esigenza. Incorporano un originale aspetto propositivo: delle best practices che gli storici escogitano per riflettere su come fare al meglio il proprio lavoro, in termini di responsabilità scientifica e professionale.
Cortese passa poi in rassegna alcuni dei temi principali affrontate dalle linee guida: a) gli aspetti culturali: si tratta di un’operazione che costruisce, promuove e consolida una cultura; l’enfasi è portata sulle implicazioni di carattere generale del documento, che ha l’ambizione di rivolgersi e proporsi a tutti coloro che vengono a contatto con le Fonti orali, non solo agli storici; b) gli aspetti di proposta (che giustificano anche l’utilità difensiva): è sempre più diffusa in ambito scientifico la tendenza a responsabilizzare le comunità, a dare rilievo ai rispettivi canoni di buona condotta; è parimenti sempre più diffusa, anche dal punto di vista dei giudici, la tendenza a valorizzare questo tipo di assunzione di responsabilità, le regole che si è concordemente data la comunità stessa (regole che, in questo modo, non vengono date dal giudice…);, specie in ambiti – come quello che riguarda la storia e le fonti orali – in cui le disposizioni imperative offerte dal diritto sono molto poche. Se lo stesso codice deontologico del 2001 dedica alle fonti orali non più di dieci righe, ciò significa che queste disposizioni (le linee guida) danno ora la possibilità di scrivere qualcosa di più che ha un importante rilievo esterno. Compito dei giuristi seduti al tavolo di lavoro è stato soprattutto quello di “asciugare” continuamente il testo, nella convinzione i principi di ordine generale non debbano mai essere troppo dettagliati, perché è nel dettaglio che nasce l’ambiguità e perché la generalità consente l’adattabilità; c) i principi generali (su tutta la filiera dalla produzione alla conservazione della fonte orale), a partire dall’unicità e irripetibilità di un materiale così delicato come è la fonte orale; primo tra i principi generali e caposaldo delle linee guida è il consenso informato; (le informazioni essenziali che è necessario fornire all’intervistato, anche relativamente all’utilizzo e alla diffusione del materiale raccolto); tale consenso può essere rilasciato oralmente (e registrato), tuttavia, nei casi di larga diffusione (ad esempio attraverso la rete internet) è preferibile che l’accordo sia scritto (la regola è quindi quella dell’oralità del consenso ma con una particolare cautela sull’impatto della fonte).
Alessandro Giadrossi (avvocato, Trieste) si presenta raccontando la sua particolare esperienza a difesa di un ricercatore universitario accusato di diffamazione a seguito della pubblicazione di alcune interviste da lui stesso realizzate. Giadrossi ammonisce, a questo proposito, che l’arma del ricatto giudiziario può essere molto potente, specie dove è forte l’asimmetria tra le parti (la controparte in quel caso era una grossa società). Sottolinea inoltre un punto importante che si ricollega a quanto affermato da Cortese: esiste un onere di maggior tutela ogniqualvolta che in una testimonianza è aggiunto un elemento di privacy (aspetti relativi alla salute, alle convinzioni politiche, all’appartenenza religiosa ecc.). Passa poi in rassegna diversi temi contemplati dalle linee guida: a) quello della titolarità dell’informazione e della co-autorialità dell’intervista: intervistare e intervistato sono entrambe titolari dei diritti sull’intervista; il gruppo di lavoro è però giunto alla conclusione che titolare del diritto d’autore sull’intervista sia l’intervistato laddove maggiore – come nel caso dell’intervista sollecitata ai fini di una ricerca storica – maggiore sia il contenuto creativo apportato nella costruzione della fonte (e quindi maggiore l’autorialità); b) quello dei diritti all’immagine, che sono comunque di entrambe, intervistatore e intervistato, così come lo è c) il “diritto all’oblìo”, ossia la possibilità (sempre aperta) di un ripensamento successivo; d) tale diritto all’oblìo non fa vinir meno tuttavia il diritto alla titolarità sull’intervista; e) fra i diritti dell’intervistato va ricordato quello a ricevere una copia dell’intervista, diritto che tuttavia non si estende al controllo sulla trascrizione sul montaggio (salvo che non sia espressamente richiesto dall’intervistato al momento dell’intervista); f) un tema importante analogo a quello del consenso informato è quello dell’utilizzo finale della fonte; a questo proposito, va sempre ricordato all’intervistato che dichiarazioni su terze persone non sono suscettibili di liberatoria: dovranno essere tolte se ledono terzi; in caso contrario, l’intervistatore diviene mezzo di diffamazione (con chiamata di correo); g) altrettanto importante è il tema della conservazione, che deve essere adeguata: l’archivio che conserva la fonte deve dare ogni informazione riguardo gli aspetti di segretezza coinvolti caso per caso; poiché però la principale finalità dello storico che costruisce la fonte orale è generalmente quella di garantire l’accessibilità futura a quella stessa fonte (prodotta appunto come documento storico) è responsabilità del ricercatore individuare il luogo di conservazione più adatto (adatto nella duplice accezione di conservazione nel tempo – e quindi attivo nel refreshment dei supporti – e di accesso); ecco quindi – ha concluso Giadrossi – che questo lavoro di Aiso diventa anche “di spinta”: spinata a che i ricercatori non trattengano le loro interviste nei cassetti delle scrivanie, ma li depositino in archivi dotate delle tecnologie adeguate; h) resta sostanzialmente aperto il tema del “che cosa fare con le fonti orali che già esistono”: interviste e collezioni di interviste realizzate nei decenni scorsi per cui non è stata richiesta e rilasciata una liberatoria.
Alessandro Casellato (Aiso), delegato dall’associazione a presiedere il tavolo di lavoro sulle Linee guida, conclude gli interventi della mattina puntualizzando che le linee guida nascono da una richiesta sollevata dall’agenzia europea di finanziamento alla ricerca a seguito di una borsa di studio Marie Curie aggiudicata da una studentessa di Ca’ Foscari che intende svolgere su fonti orali parte della sua indagine: si tratta di una circostanza importante per far capire che accadrà sempre più spesso che gli atenei si trovino a dovere rispondere di casi come questo.
Casellato prosegue sottolineando che questa a cui stiamo partecipando non è una presentazione pubblica, ma una presentazione dedicata esclusivamente e ai soci ai quali viene presentata una bozza ancora provvisoria; è una bozza che viene diffusa quindi solo tra i soci Aiso per potere raccogliere i loro commenti più meditati, dettagliati e precisi possibili. Sulla base di tali commenti, il tavolo di lavoro tornerà al documento per potere elaborarne una versione ulteriore, che a quel punto potrà considerare considera finale. Questa versione finale sarà infine presentata al pubblico durante un convegno scientifico aperto a tutti che Aiso sta considerando di organizzare nel prossimo mese di novembre, e che sarà ospitato dalla Fondazione Museo storico di Trento. Quello che è in gioco con le linee guida – conclude Casellato – è una posta importante: l’accreditamento definitivo della Oral History come disciplina e pratica scientifica e non solo come mera pratica artigianale di raccolta e archiviazione.