Intervista di Patrick Urru
Questo articolo fa parte della rubrica “Interviste sull’intervista” per la quale rimandiamo all’introduzione di Francesca Socrate qui.
È passato più di un anno e mezzo dal primo incontro con Martha*. All’epoca ero curioso di conoscere le attività dell’Archivio storico delle donne/Frauenarchiv di Bolzano e approfondire la storia del fondo Oral History. L’archivio stava cambiando sede, gli impegni erano molti, un anno è passato in fretta. La seconda volta ci siamo incontrati nei nuovi spazi dell’Archivio, insieme alla presidente Alessandra Spada. Abbiamo parlato a lungo del fondo dedicato alla “storia orale delle donne” e in quell’occasione ci siamo ripromessi di vederci presto per registrare questa intervista.
Quella che segue non è solo la trascrizione del nostro incontro, ma è anche una sua traduzione. È la seconda volta che mi capita di fare un’intervista bilingue. La prima volta quasi non la ricordo più, sono passati 15 anni, e all’epoca non sapevo neanche cosa fosse la storia orale. Comunque sia, oggi come allora ho posto le domande in italiano, Martha mi ha risposto in tedesco. Prima ho trascritto l’intervista così come l’ho registrata, poi ho chiesto all’intervistata un’indispensabile revisione e infine ho tradotto il testo in italiano. Anche quest’ultimo è stato rivisto da Martha.
È invece la prima volta che deposito l’intervista e la trascrizione in un luogo diverso dalla biblioteca in cui lavoro da quasi 14 anni. All’inizio infatti avevo deciso di conservare l’intervista nella biblioteca provinciale italiana “Claudia Augusta” di Bolzano, come avevo fatto in altre occasioni. Ricordo di aver cambiato idea mentre scrivevo la liberatoria. Mi sono detto che era meglio depositare tutto nell’Archivio storico delle donne, perché c’è un legame tra Martha, i contenuti dell’intervista e l’Archivio che è impossibile ignorare. Quello è il posto giusto, dal mio punto di vista non ce ne sono altri.
Siamo a casa di Martha, in salotto, seduti uno di fronte all’altra, il registratore fissato su un piccolo treppiede e messo sul tavolo. Devo rinunciare al secondo registratore che uso sempre, perché tutte le batterie che ho portato sono scariche! C’è tanta luce che entra da una porta finestra alle mie spalle; affaccia su un cortile interno che confina con una casa di cura. L’allergia ai pollini non ci dà tregua, beviamo un sorso d’acqua, e iniziamo la nostra chiacchierata.
*Martha Verdorfer ha studiato storia e scienze politiche all’università di Innsbruck. Insegna storia e filosofia al liceo ed è membro del consiglio direttivo dell’Archivio delle donne di Bolzano. Ha curato vari progetti e pubblicazioni sulla storia delle donne e sulla storia contemporanea dell’Alto Adige.
[00:00:01] Patrick Urru: Oggi è lunedì 11 aprile, sono le 15:45, sono a casa di Martha Verdorfer a Bolzano. Io sono Patrick Urru e raccolgo questa intervista perché mi piacerebbe pubblicare una parte della trascrizione sul sito dell’Associazione italiana di storia orale nella rubrica “Interviste sull’intervista”. Raccolgo questa intervista anche per la mia tesi di dottorato dedicata all’archivio orale conservato nella biblioteca provinciale italiana Claudia Augusta. Questa intervista verrà registrata e ne verrà fatta anche una trascrizione. Siamo d’accordo con Martha che tutto il materiale prodotto verrà conservato nell’Archivio storico delle donne. Martha, se vuoi iniziare col dirmi quando sei nata e dove sei nata?
[00:01:38] Martha Verdorfer: Sono nata a Lana nel 1962 in una famiglia che potremmo definire “semi-contadina”. I miei genitori venivano da famiglie contadine, io stessa sono cresciuta nel maso dei miei nonni. Mio padre però non era un contadino, ma un cantiniere, anche se più tardi è diventato comunque un contadino. Comunque, io ho passato la mia infanzia in un ambiente contadino, mia madre ha sempre lavorato nei campi dei genitori, e anche noi bambine davamo una mano. Io ho tre sorelle, sono la seconda di quattro, ci separano 20 mesi circa.
[00:02:32] Patrick Urru: Vi separano venti mesi?
[00:02:33] Martha Verdorfer: Più o meno. Siamo nate tutte tra il 1960 e il 1965.
[00:02:45] Patrick Urru: I tuoi studi? Scuole elementari?
[00:02:52] Martha Verdorfer: Ho frequentato le scuole elementari a Lana, anche se poi siamo andati a vivere a Cornaiano, perché mio padre ha iniziato a lavorare nella cantina del paese, siamo rimasti lì tre anni. Non ho un bel ricordo di quel periodo, perché, come dicevo, io sono cresciuta in una grande casa contadina, che una volta era anche una locanda, uno spazio molto grande, avevamo tanto spazio a disposizione. A Cornaiano, invece, abitavamo in una casa più piccola e anche il paese mi stava stretto. Quindi, a quel periodo passato a Cornaiano associo l’avere poco spazio e una certa strettezza. Lì ho frequentato un anno di asilo e i primi due anni delle scuole elementari, poi siamo ritornati a Lana dove ho frequentato anche le scuole medie. Ho studiato al liceo scientifico di Merano e poi mi sono iscritta all’università di Innsbruck. C’è un motivo per cui ho scelto di studiare a Innsbruck e non in una città più distante da casa.
[00:04:10] Tutte noi sorelle abbiamo potuto studiare e questo non era facile negli anni Ottanta, certo, molte donne hanno potuto proseguire gli studi, ma non era così scontato. Mia madre ha dovuto occuparsi del maso dei genitori, non era previsto che succedesse, però è andata così; io avrò avuto 15-16 anni e siamo diventati contadini. Mio padre ha lavorato ancora un paio d’anni come cantiniere e poi anche lui ha iniziato a occuparsi del maso. Anche noi ragazze dovevamo dare una mano e per questo non siamo mai volute o potute, diciamo così, andare a studiare troppo lontano. Mia sorella più giovane, per esempio, ha studiato a Bologna. Cercavamo però di tornare sempre a casa appena era possibile, in autunno per la raccolta delle mele, per esempio. A Innsbruck ho scelto di studiare Storia e Scienze Politiche.
[00:05:18] Patrick Urru: Scusa Martha, in che anni hai iniziato a studiare a Innsbruck?
[00:05:20] Martha Verdorfer: Nel 1981 mi sono diplomata e poi sono andata all’università, dove ho studiato tanti anni, fino al 1989, otto anni. Ma sono stati anni molto intensi devo dire, perché all’epoca era in corso questo processo di “ristrutturazione dell’ordinamento didattico” all’interno dell’università, non so, in Austria si chiamava così. In pratica, l’unico obbligo che avevi era quello di scrivere una tesi, non avevi corsi obbligatori da seguire, non avevi un piano di studi, potevi studiare più o meno quello che volevi. Per questo ho fatto tantissime cose, ho seguito corsi in altre Facoltà, come Sociologia, Pedagogia, Filosofia, insomma, potevi fare quello che volevi, bastava che alla fine scrivessi la tesi. È stato difficile, perché con un sistema del genere non eri veramente preparata, però per me è stato bellissimo poter studiare liberamente quello che mi piaceva. Per esempio, in quel periodo è stato molto importante per me conoscere la Storia delle donne. Poi è stato creato a Innsbruck un gruppo di storiche, Historikerinnen Gruppe Innsbruck.
[00:06:50] Patrick Urru: Questo era il nome del gruppo?
[00:06:53] Martha Verdorfer: Sì. In quel periodo, negli anni Ottanta, in Germania e Austria si discuteva tanto di Storia delle donne all’università. Un gruppo di storiche era nato anche a Salisburgo, a Vienna, abbiamo preso contatti, ci incontravamo con regolarità e ci scambiavamo idee. Per questo dico che è stato un periodo molto intenso, perché abbiamo letto e discusso tanto. E in quel periodo è venuta fuori anche la storia orale e devo dire che mi interessò molto. Io volevo fare una tesi di storia che avesse un legame con l’Alto Adige, perché avevo conosciuto Leopold Steurer [storico, originario di Vipiteno (BZ). Principali interessi di ricerca: storia del Südtirol tra le due guerre, occupazione fascista e nazista, Opzioni, Resistenza]. A quel tempo si diceva che era importante avere una visione critica sulla storia, perché la storia poteva contribuire alla formazione democratica del paese; quindi, la storia contemporanea era molto politicizzata. Volevo fare qualcosa, ma non sapevo bene cosa, perché, per esempio, sul tema delle Opzioni era già stato scritto qualcosa [In estrema sintesi, nel 1939 la Germania nazista e l’Italia fascista stipulano un accordo che sanciva la possibilità per i tedeschi e ladini sudtirolesi di optare per la cittadinanza tedesca ed espatriare in Germania. Optanten sono coloro che hanno scelto il trasferimento in Germania; Dableiber coloro che hanno scelto di restare in Südtirol]. Poi avrei voluto scrivere sulla resistenza in Alto Adige, ma Poldi [Leopold Steurer] mi ha detto che sarebbe stato difficile trovare fonti e così via. A un certo punto mi è venuta in mente la storia orale. Come detto, in quel momento se ne parlava, poi nel 1983-84 c’erano stati anche dei seminari dedicati, non nella facoltà di Storia, ma a Pedagogia, e mi erano piaciuti molto. Poi c’è da dire un’altra cosa. Io ho passato l’infanzia nel maso con i miei nonni e una prozia che ci ha sempre raccontato molte storie.
[00:09:05] Quando eravamo piccole, io e le mie sorelle, volevamo sentire sempre storie, non racconti per bambini, ma storie vere, e questa prozia ci raccontava sempre del passato, della guerra, delle Opzioni, della locanda e del lavoro di tutta la famiglia. Mi ricordo ancora che avevamo questo grande focolare con una panca e noi ci sedevamo sempre lì ad ascoltare le storie della prozia. Lei non aveva figli, per noi era come una seconda mamma, era sempre presente per noi e ci raccontava tante storie. Quindi, alla fine mi sono decisa, storia orale e resistenza in Alto Adige. Ho iniziato a intervistare le persone, soprattutto Dableiber, e mi sono accorta quasi subito che dalle interviste, dai loro ricordi, venivano fuori cose nuove. Molto era stato scritto sull’Alto Adige sotto il fascismo, sulle scuole clandestine, l’autore Alfons Gruber, c’era molta letteratura, però quando ascoltavo le interviste, mi veniva da dire: «Ma non è andata così!». Mi raccontavano che nella scuola italiana si erano anche divertiti, che cantavano canzoni che si ricordavano ancora dopo tanti anni, era tutto un po’ diverso da come si leggeva nei libri. E ancora, per esempio, mi raccontavano che in quel periodo non erano solo i bambini a piangere, ma anche le maestre, e mi sono accorta che in realtà non avevo bisogno di un tema specifico per la mia tesi, ma che quel periodo storico poteva diventare il tema. Alla fine ho scritto una tesi dal titolo: Storie di vita quotidiana in Alto Adige, 1918-1945 [Il titolo della tesi discussa nel 1989 è Faschismuserfahrungen in Südtirol: die Geschichte Südtirols 1918 – 1945 aus der Perspektive erzählter Erinnerungen; eine Untersuchung mit der Methode der Oral History. Il titolo del libro pubblicato nel 1990 è Zweierlei Faschismus: Alltagserfahrungen in Südtirol 1918 – 1945]. Praticamente ho preso in considerazione il periodo che va dall’annessione fino alla fine della Seconda guerra mondiale e l’ho raccontato con l’aiuto della storia orale e delle interviste.
[00:11:30] Patrick Urru: Il tema era il periodo.
[00:11:32] Martha Verdorfer: Giusto. Come le persone avevano vissuto quel periodo storico nella vita di tutti i giorni, dove non esisteva solo il terrore o il consenso, ma che in mezzo c’era tanto altro, e che anche in Alto Adige i confini non erano così netti, ma che anzi c’era stata tanta continuità tra fascismo e nazismo. Per esempio, quelli che sotto il fascismo erano caposquadra, erano attivi anche sotto il nazismo, giovani che avevano voglia di partecipare, non era una cosa o l’altra, ma era anche la stessa cosa e le persone lo raccontavano così. Oggi in Alto Adige il discorso è affrontato in modo più differenziato, ma una volta si diceva che il fascismo era una cosa e tutti erano contro, e che il nazismo era una cosa e la maggior parte della popolazione di lingua tedesca era a favore, perché non volevano essere italiani. Ma all’epoca le persone vedevano anche delle somiglianze e facevano anche dei paragoni. Per esempio, anche questo tema che sotto il nazismo si aveva più paura, perché potevi essere spiato anche dal tuo vicino, mentre sotto il fascismo si sapeva da chi bisognava guardarsi, dal podestà. Anche in questo caso, il racconto che mi hanno fatto queste persone è più complesso e tutta questa complessità mi incuriosiva. La Storia che non è poi così obiettiva, non soltanto i fatti, ma il modo con cui ricordiamo gli eventi, come li raccontiamo, era tutto molto stimolante, ma anche faticoso.
[00:13:48] Non è stato faticoso parlare con le persone. Ho iniziato a chiedermi come potevo fare questa ricerca. Devo dire la verità, ero praticamente da sola, perché all’università di Innsbruck non c’erano professori esperti di storia orale che mi potevano dare una mano. Per prima cosa, ho scelto tre paesi dell’Alto Adige, in modo da avere uno sguardo su delle realtà un po’ diverse tra loro. Ho scelto Lana, perché era il paese in cui sono cresciuta, poi Ora, perché era un paese nella Bassa Atesina e il mio compagno dell’epoca era di lì e io avevo bisogno di una persona che mi aiutasse a trovare delle persone da intervistare e infine ho scelto Prato allo Stelvio, in Val Venosta, perché era un paesino di montagna e perché avevo degli amici che abitavano lì e potevano aiutarmi a trovare delle persone da intervistare. Chiaramente in Alto Adige esistono tante realtà, ma, con il senno di poi, posso dire di aver fatto delle buone scelte, perché sono stata attenta a intervistare maschi e femmine, Dableiber e Optanten. Insomma, questi sono i criteri che ho utilizzato per la mia ricerca. Ho raccolto tra le 30 e le 40 interviste, mi sono divertita ed è stato molto interessante.
[00:15:33] Patrick Urru: In questa ricerca hai usato un registratore?
[00:15:38] Martha Verdorfer: Sì, mi sono comprata uno di quei registratori a cassette che si vendevano in quel periodo.
[00:15:55] Patrick Urru: Ho ritrovato un registratore a cassette che si usava forse un po‘ più tardi che aveva una maniglia e lo potevi portare in giro, mettevi la cassetta e potevi anche ascoltare, oltre che registrare.
[00:16:20] Martha Verdorfer: Mi sembra di averlo comprato nuovo proprio per quella ricerca. Ti dovevi ricordare di girare la cassetta, certe volte mi sono dimenticata. Era abbastanza complicato devo dire.
[00:16:40] Patrick Urru: Tu dicevi che questa tua voglia di dedicarti alla storia orale ti viene forse anche un po’ da quando eri piccola, da questi racconti in famiglia. Dicevi che all’interno dell’università in Austria non c’era nessuno che aveva questo interesse.
[00:17:08] Martha Verdorfer: No, a Innsbruck, perché a Vienna invece c’era Reinhard Sieder che non mi ricordo di preciso come l’ho conosciuto, ma lui possiamo dire che ha contributo un pochino a far conoscere la storia orale in Austria, attraverso la Storia sociale. Anche a Salisburgo c’era qualcuno, ma non so di preciso. Ho questo ricordo di essere entrata in contatto con Reinhard Sieder che ha organizzato anche qualche seminario in Alto Adige, all’Accademia Cusanus di Bressanone. In Austria stava nascendo un interesse per la memoria negli studi sul lavoro sociale con gli anziani. Diciamo che ho avuto un sostegno per la mia ricerca soprattutto dall’esterno, non dall’università di Innsbruck. Quindi, per quanto riguarda la metodologia devo ringraziare Reinhard Sieder, per quanto riguarda la storia, invece, Leopold Steurer. Dall’università di Innsbruck ho ricevuto poco aiuto devo dire, però è andata bene anche così. Adesso mi è venuto in mente che in quel periodo, in Germania, quasi ogni mese usciva un libro dedicato alla storia orale, le opere di Lutz Niethammer, per esempio. Quindi, da un punto di vista teorico credo di aver ricevuto molti input.
[00:19:06] Patrick Urru: Sì, quello era in effetti un periodo, come dici tu, in cui sono uscite molte pubblicazioni.
[00:19:22] Martha Verdorfer: Poi, le opere più utili per me sono state, Schöne Welt, böse Leut [Pubblicato anche in lingua italiana con il titolo Bel paese, brutta gente] di Claus Gatterer, mi ha aiutato moltissimo, perché anche se non ha fatto interviste, c’è tutta la prospettiva della vita quotidiana, e poi, il libro più importante per la mia tesi è stato Torino operaia e fascismo di Luisa Passerini. Il tema degli operai di Torino, di sinistra, e per questo non fascisti, ma che invece lo sono. Queste cose accadono nella vita di tutti i giorni e bisogna saperle raccontare in un certo modo. Per la mia ricerca sull’Alto Adige è stato molto importante capire questo aspetto dell’interpretazione. Mi ricordo che mi sono messa a leggere il libro con il vocabolario, perché volevo capire ogni singola parola. L’ho letto ogni giorno, credo per due settimane, volevo capire tutto. Per me è stato un libro fondamentale, il quadro teorico della mia tesi. Quindi, come capire le interviste, come leggere tra le righe, rendersi conto che non si tratta tanto del contenuto o dei fatti, ma come vengono raccontati, per me è stato fondamentale.
[00:21:00] Patrick Urru: Certo. Quel libro è importante, come dicevi tu, gli operai che non hanno niente a che vedere con il fascismo, invece parlando capisci che le dinamiche sono più complesse.
[00:21:15] Martha Verdorfer: Esatto. Anche il modo in cui mostra una certa simpatia per le persone che ha intervistato, ma allo stesso tempo riesce ad avere una visione analitica e non crede a tutto ciò che queste persone dicono. Questo, secondo me, è molto importante quando si fa storia orale, perché puoi parlare con le persone solo se ti piace e se le prendi sul serio, ma allo stesso tempo devi essere consapevole che la realtà che ti viene raccontata è il frutto di un’interpretazione e tu non puoi prenderla così per buona.
[00:21:50] Patrick Urru: Sì, quello è un aspetto molto importante, sicuramente. La fase dell’interpretazione sta a te che fai l’intervista.
[00:22:05] Martha Verdorfer: Sì e questo è difficile. Poi mi ricordo che ascoltavo le mie interviste, credo di averle trascritte interamente, e quando trovavo una parte interessante la riascoltavo più volte, perché volevo proprio trascrivere le parole esatte.
[00:22:30] Patrick Urru: Tutto a mano immagino.
[00:22:32] Martha Verdorfer: No, avevo una macchina da scrivere elettronica. Poi spesso quando trascrivevo le interviste e davo una mia interpretazione, pensavo sempre: «E se la persona che legge poi non è d’accordo?», non era facile. Infatti, avevo intervistato anche la mamma del mio compagno di allora. Lei era caposquadra sotto il fascismo e poi maestra sotto il nazismo. Viveva a Ora e lì ci sono stati dei bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale e la casa della sua famiglia è stata distrutta. Poi, sono andati a vivere in una casa che era di una famiglia ebrea che era dovuta scappare. Lei mi ha raccontato questo fatto così: «Questa famiglia è andata via e allora siamo entrati noi in quella casa. Dopo la guerra, una donna di questa famiglia è tornata e ha detto che le mancava il ferro da stiro e ha chiesto se lo avevamo preso noi». Io l’ho interpretata un po’ così, che loro entrano in questo appartamento, sono forse consapevoli che la famiglia ebrea non se ne è andata via proprio volontariamente e che con questo racconto del ferro da stiro rubato ha cercato di relativizzare il senso di colpa dicendo a questa signora che loro non avevano rubato nulla. Quindi, una sorta di elaborazione del senso di colpa. La mamma del mio compagno di allora aveva poi letto la mia tesi e mi ha detto che non era d’accordo con questa interpretazione, allora ci siamo parlate e poi si è risolto tutto. Lei era insegnante, mi conosceva, quindi per questo ha letto la mia tesi, però la maggior parte delle persone che ho intervistato non l’hanno letta. Avevo inserito anche un’introduzione teorica e metodologica e questa è un po’ la differenza con le altre pubblicazioni che ho scritto dopo.
[00:24:45] Per esempio, quando ho scritto il libro sui disertori oppure sulle ragazze di servizio, ho subito pensato che le persone dovevano poter leggere questi libri, e quello sui disertori, in effetti, è stato letto da molti. È anche un libro diverso, non è così teorico, ho inserito le storie di vita dei disertori. Però poi mi sono anche detta che quando si fanno interviste, non è detto che le persone intervistate debbano anche leggere il libro. Cioè, penso che sia anche giusto dedicare uno spazio alla riflessione teorica, usare un linguaggio particolare che forse non tutti comprendono. Per la mia tesi ho usato uno stile accademico, però credo di non aver utilizzato parole difficili, anzi, credo di essere una persona che scrive chiaro, non sono un’amante delle parole straniere o cose di questo tipo. Certo, poi dipende anche del tema.
[00:26:10] Patrick Urru: Quindi dopo che hai scritto la tua tesi, qualcuno ti ha chiesto oppure, dopo l’intervista, è finita lì?
[00:26:24] Martha Verdorfer: No, infatti, nessuno mi ha chiesto nulla. Poi devi pensare che la ricerca è durata tanti anni, le prime interviste le ho fatte nel 1985, mi sono laureata nel 1989, in giugno, ma poi il libro è uscito nel 1990. Quindi sono passati anche cinque anni dalle prime interviste, avevo parlato con persone semplici che nel frattempo erano anche morte. Comunque, ho fatto anche delle presentazioni in giro.
[00:27:25] Patrick Urru: Forse hanno sentito che facevi delle presentazioni o anche semplicemente curiosi di sapere come è finita quella storia?
[00:27:35] Martha Verdorfer: No, niente. Ho ricevuto dei buoni riscontri, belle recensioni, ma dagli intervistati, nulla, a parte l’insegnante.
[00:27:50] Patrick Urru: Forse lei aveva questa consapevolezza, come dicevi tu, essendo anche insegnante. Aveva forse capito di più del progetto e di cosa stava succedendo?
[00:28:06] Martha Verdorfer: Sì e poi era anche più interessata.
[00:28:10] Patrick Urru: Quindi il libro è uscito nel 1990?
[00:28:15] Martha Verdorfer: Sì, giusto, nel 1990 a Vienna, per la casa editrice Verlag für Gesellschaftskritik che adesso non esiste più. Reinhard Sieder mi ha procurato il contatto di questa casa editrice, quindi devo dire che nonostante all’università di Innsbruck fossi stata lasciata sola, ero abbastanza inserita nel giro. Poi era forse un periodo in cui ci si sosteneva a vicenda, eravamo ancora una minoranza e dovevano affermarci un po’ rispetto agli altri accademici, forse è per questo che c’era questa solidarietà.
[00:29:03] Patrick Urru: Gli anni Novanta sono anni in cui si inizia a fare molti studi sulla memoria.
[00:29:20] Martha Verdorfer: Sì, e mi sono accorta che più mi dedicavo a queste tematiche e più mi interessavano. Il tema della ricchezza della memoria rispetto alla storia, certe volte mi sono detta che avrei dovuto fare anche ricerca in archivio. Devo dire la verità, non sono molto abituata, non ero una di quelle che andava spesso in archivio e mi rendo conto che forse mi manca questo tipo di ricerca, proprio perché fin dall’inizio mi sono dedicata di più alla storia orale. Certo, ho consultato anche fonti scritte e so cos’è un inventario, ma non mi sento a mio agio con la ricerca d’archivio.
[00:30:10] Patrick Urru: Sì, l’interesse principale era per le storie di vita.
[00:30:15] Martha Verdorfer: Sì, interesse, perché ho sempre raccolto storie di vita. Per esempio, con la ricerca sui disertori, anche Poldi mi aveva consigliato di usare la storia orale, perché ci sono pochissime altre fonti. Io e Poldi abbiamo lavorato insieme durante l’allestimento di una mostra dedicata alle Opzioni, un progetto a cui ha partecipato anche Walter. Io ero un po’ l’esperta di storia orale dei tre. Lì mi sono detta che avremmo dovuto lavorare in modo diverso, perché per la mia tesi avevo in un certo senso spezzettato le interviste e ragionato per temi, ma per la ricerca sui disertori ci siamo detti che dovevamo lasciare le storie di vita intere. Più tardi, invece, per il lavoro sulle ragazze di servizio abbiamo lavorato di nuovo per temi. Trovo che in qualche modo sia sempre necessario pensare a ciò che si vuole, a come si può fare meglio, perché naturalmente una cosa è questa storia di vita e questo filo rosso che l’attraversa, e altra cosa sono naturalmente i diversi temi. Questo aspetto del lavoro con le interviste è molto stimolante, quali decisioni prendere a livello di metodo e di contenuto e naturalmente poi come tutto questo influenza il prodotto finale.
[00:31:58] Patrick Urru: Sì, questa è la fonte orale che si presta a questa multi-possibilità, un po’ contenuto, un po’ storia. Dicevi che da questo libro è nata una mostra?
[00:32:15] Martha Verdorfer: No, la mostra era una cosa a parte, realizzata in occasione dei 50 anni delle Opzioni, 1939-1989. Una grande mostra finanziata dalla Provincia che è stata realizzata nel museo di arte contemporanea [Museion]. Eravamo un gruppo di giovani ricercatori, tutti più o meno della mia età e che avevano lavorato su questo tema, seguiti da studiosi più anziani come Alessandra Zendron, Leopold Steurer, Karl Stuhlpfarrer. È stato in quella occasione che ho iniziato a lavorare con Poldi e ho conosciuto Walter Pichler ed è un po’ in quell’occasione che è nata questa idea della ricerca sui disertori. Però questa mostra non ha nulla a che vedere con la storia orale, sono state fatte pochissime interviste, abbiamo lavorato molto con le fotografie.
[00:33:30] Patrick Urru: Non ti eri occupata delle interviste per questo progetto?
[00:33:38] Martha Verdorfer: No. Ho finito la mia ricerca per la tesi, poi è uscito il libro. Diciamo che a quel tempo non si usavano molto le “stazioni d’ascolto” nelle mostre, per questo non c’era una grande richiesta.
[00:34:05] Patrick Urru: Sì, non si sapeva neanche forse come inserirle nella mostra. Forse non c’era neanche la tecnologia. Dopo? Nel 1989 hai finito?
[00:34:25] Martha Verdorfer: Mi sono dedicata a questa mostra per un anno e praticamente nel 1991 ho iniziato a insegnare, perché, devo dire la verità – il lavoro con la mostra mi è piaciuto – volevo lasciare l’ambiente universitario. Anche tutta l’esperienza con la tesi non è stata piacevole. Il mio professore non si è mai interessato a questa tesi, però a un certo punto si è accorto che la consegna era prevista nel 1989, proprio in occasione dei 50 anni delle Opzioni, e allora si è comportato come se questa ricerca l’avesse voluta lui, e allora mi sono un po’ offesa, perché dico: «Ho fatto tutto da sola con l’aiuto di tante altre persone, ma non il tuo, e adesso la vuoi presentare come una tua ricerca?». Quindi, ero arrabbiata, volevo solo andarmene via. Poi lui ha fondato una collana e voleva pubblicare la mia tesi, come primo volume dedicato alle Opzioni, ma io non ho mai risposto, e ho pubblicato con la casa editrice Verlag für Gesellschaftskritik che mi aveva sempre sostenuto, e alla fine lui si è offeso per questo. Quindi non ne volevo più sapere di questa università, sono tornata in Alto Adige e ho iniziato a insegnare. All’epoca ero giovane, lavorare a scuola non era così faticoso come oggi, c’era meno burocrazia, quindi dopo la mostra, ho iniziato subito a lavorare a questo libro sui disertori.
[00:36:30] Abbiamo iniziato a fare queste interviste ai disertori, sapevamo che avremmo dovuto cercarli in provincia e non in città come Bolzano o Merano, proprio perché i disertori venivano dalle zone periferiche dell’Alto Adige, come per esempio Val Venosta, Val Passiria, e quindi ci siamo un po’ divisi le zone. Io sono andata in Val d’Ultimo e anche in Valle Aurina, perché andavo a fare sci di fondo da quelle parti, quindi al mattino facevo sci di fondo e il pomeriggio facevo interviste. Abbiamo subito iniziato a fare interviste nel 1990 e il libro è uscito nel 1993.
[00:37:12] Patrick Urru: Facevi solo tu interviste?
[00:37:15] Martha Verdorfer: No, tutti e tre. Io ho dato un po’ di indicazioni teoriche e metodologiche, poi alla fine non è che si può dire molto, devi ascoltare le persone e quello che hanno da raccontare.
[00:37:52] Patrick Urru: Hai dato indicazioni di metodo.
[00:37:55] Martha Verdorfer: Sì, però le interviste le abbiamo fatte tutti e tre. Qualche volta è capitato di farle anche in coppia, però il più delle volte da soli, anche perché ne abbiamo fatte tante, 60 circa.
[00:38:15] Patrick Urru: In tre anni?
[00:38:20] Martha Verdorfer: Sì. Il libro è uscito nel 1993, Poldi aveva già fatto delle interviste, perché aveva già lavorato con i disertori. Devo dire la verità che il libro lo abbiamo scritto anche abbastanza velocemente, praticamente, facevamo le interviste e quasi subito scrivevamo la storia delle persone. Conosci il libro? Perché potrei anche regalarti una copia.
[00:38:45] Patrick Urru: L’ho preso in prestito alla biblioteca provinciale Dr. Friedrich Teßmann per vedere di cosa parlava e come era strutturato.
[00:39:00] Martha Verdorfer: [Martha recupera una copia del libro dalla libreria]. Ho ancora qualche copia, posso regalartene una.
[00:39:03] Patrick Urru: Grazie.
[00:39:05] Martha Verdorfer: In questo libro abbiamo inserito le storie di vita. C’è sempre una breve introduzione sui luoghi, Val Passiria, Val Venosta, e poi le storie di vita. Quando facevo un’intervista, scrivevo quasi subito la storia, la rivedevo un po’, ma è andato tutto molto veloce. Diciamo che ci siamo dedicati poco all’interpretazione, certo, nell’introduzione abbiamo dato indicazioni sui luoghi, sui punti in comune tra le storie, però la scelta è stata quella di mettere al centro le storie di vita dei disertori.
[00:40:10] Patrick Urru: Queste interviste le hai trascritte oppure solo ascoltate? E poi, come dicevi tu, scrivevi il libro mentre le ascoltavi.
[00:40:23] Martha Verdorfer: Diciamo che non le abbiamo proprio trascritte. All’epoca credo di aver avuto già un computer, ascoltavo le interviste, trascrivevo, mettevo in ordine cronologico gli eventi raccontati, le rivedevo un po’. Poi se alcuni racconti erano particolarmente interessanti e non rispettavamo proprio l’ordine cronologico, abbiamo riportato tutto nel punto in cui era stato raccontato, abbiamo cercato di lasciare l’intervista così come era stata raccontata con alcune aggiunte nostre, per esempio, alcuni chiarimenti di tipo storico, oppure una riorganizzazione delle frasi che non erano così chiare, abbiamo aggiunto notizie sui luoghi, cose che la persona intervistata non ha raccontato. Quindi non erano vere e proprie trascrizioni delle interviste, ma abbiamo raccontato delle storie basate su interviste, che forse da un punto di vista scientifico non è proprio corretto, perché nel testo non abbiamo segnalato ciò che è stato detto dalla persona intervistata e quello che abbiamo aggiunto noi.
[00:41:50] Patrick Urru: Quello che avete aggiunto voi per completare l’informazione.
[00:41:58] Martha Verdorfer: Esattamente. Abbiamo cercato di rendere la storia comprensibile. [00:42:04] Patrick Urru: Quindi non c’è la forma dell’intervista nello scritto. È un racconto.
[00:42:06] Martha Verdorfer: Esatto. Probabilmente non è stata considerata positivamente da un punto di vista scientifico, perché non è proprio “impeccabile” da un punto di vista metodologico, ma è curioso, perché il libro è uscito nel 1993 e proprio in quel periodo si stava affermando la ricerca sui disertori. Lo scorso settembre sono andata a un convegno internazionale a Innsbruck, dedicato alla ricerca sui disertori. C’erano studiosi da tutte le parti del mondo, Scandinavia, Germania, Italia, Slovenia. Ad un certo punto mi si avvicina una ricercatrice austriaca, Maria Fritsche, che lavora in Svezia, una “luminare” nella ricerca sui disertori, e mi dice che il mio libro è stato per lei come la Bibbia. Il primo libro che affrontava questa tematica in un luogo geograficamente paragonabile all’Austria. «Davvero? Ma è una raccolta di storie di vita.» – «No, guarda, lì dentro ho trovato tutto quello che mi serviva». Io ero veramente emozionata, perché non era una pubblicazione scientifica, però alla fine credo che questo libro sia veramente molto ricco di contenuti.
[00:43:35] Patrick Urru: Dicevi che è stato anche il libro più letto?
[00:43:38] Martha Verdorfer: Esattamente. Un libro che è stato letto dalle persone che sono state intervistate.
[00:43:41] Patrick Urru: Forse anche per la forma che avete usato. Lo sentivano più loro forse?
[00:43:54] Martha Verdorfer: Non credo che sia solo una questione di forma, ma anche di tema, perché è un libro con una valenza particolare. Quando è uscito abbiamo organizzato un incontro con gli intervistati; ci siamo trovati a Bolzano, alla Kolpinghaus. Alcuni di loro si conoscevano, si frequentavano, ma altri che erano stati per esempio rinchiusi nel Lager di Bolzano non si erano più visti da allora, e si sono ritrovati in quell’occasione e devo dire che è stato toccante. Poi dopo abbiamo organizzato altri incontri.
[00:44:33] Patrick Urru: Avete organizzato questi incontri subito dopo la fine del progetto?
[00:44:35] Martha Verdorfer: Esattamente. Se non ricordo male, era stata una presentazione solo per loro in occasione dell’uscita del libro. Ognuno ha ricevuto una copia naturalmente ed è stato bellissimo, una bellissima festa. L’abbiamo ripetuta ancora una volta l’anno dopo, subito dopo un anno perché molti di loro erano già molto anziani ed è stato bello. Poi, bisogna dire che la pubblicazione di questo libro ha avuto anche una sorta di conseguenza politica. All’epoca, Herbert Denicolò, un esponente del gruppo Arbeitnehmer [cosiddetta ala sociale del partito SVP] all’interno della SVP, che nel frattempo è morto, era consigliere provinciale e anche consigliere regionale, impegnato nel KVW [Katholischer Verband der Werktätigen, Associazione cattolica dei lavoratori]. Dopo l’uscita del libro ha portato in Consiglio provinciale una proposta che equiparava gli anni di diserzione a quelli di servizio nella Wehrmacht. Perché gli anni nella Wehrmacht contano per la pensione e si possono avere le prove di un servizio effettivo, ma per i disertori questo non è possibile, non si può dimostrare. Alla fine, i disertori hanno ricevuto una somma di denaro, un’azione simbolica, ma è stata anche una sorta di liberazione che è arrivata anche grazie a questa ricerca.
[00:46:10] Patrick Urru: Le interviste per questo progetto e quelle per la tua tesi le hai depositate da qualche parte?
[00:46:25] Martha Verdorfer: Allora, le ho registrate tutte su cassette, quelle per la ricerca sulle ragazze di servizio, invece, erano in digitale. Le cassette con le interviste per la tesi, alcune sono a Ora, le avevo consegnate a Georg, il mio compagno di allora, così le poteva ascoltare. C’è da dire che alcune erano in buone condizioni, altre meno, alcune proprio non si sentiva più nulla, solo un rumore di sottofondo e le ho buttate. Quelle per la ricerca sui disertori invece le ho consegnate al Centro audiovisivi della Provincia [Amt für Film und Medien], ti posso anche far vedere la lista. Loro le hanno poi digitalizzate. Poldi, qualche volta ha registrato e qualche volta ha solo preso appunti. [Martha recupera la lista delle interviste depositate nel Centro audiovisivi della Ripartizione Cultura tedesca].
Vedi, queste sono tutte le interviste conservate nell’archivio del centro audiovisivi, vedi, “Intervista con Franz Klotz, 1999, raccolta a Scena”.
[00:47:55] Patrick Urru: Queste sono le schede che hanno fatto loro?
[00:48:00] Martha Verdorfer: Queste sono 31 interviste.
[00:48:03] Patrick Urru: Sono solo le tue?
[00:48:05] Martha Verdorfer: No, ci sono anche quelle raccolte da Walter e da Poldi, però per la maggior parte sono mie, perché, per esempio, Walter ha detto che non trovava più le registrazioni, non lo so.
[00:48:18] Patrick Urru: Invece Leopold, un po’ ha scritto e un po’ ha registrato?
[00:48:22] Martha Verdorfer: Esattamente. Quelle della mia tesi invece, credo che nel frattempo siano perdute, mi sono trasferita spesso, penso che alcune siano ancora a Lana, però penso che non si riesca a sentire più nulla.
[00:48:43] Patrick Urru: Dici perché si sono rovinate nel tempo?
[00:48:45] Martha Verdorfer: Sì. Prima di tutto, le cassette che avevo comprato non erano un granché, poi le ho ascoltate veramente tantissime volte, poi le avevo conservate in una scatola da scarpe in cantina, con l’umidità si sono rovinate. Poi non avevo più neanche un apparecchio per ascoltarle. Però poi con la ricerca sui disertori mi sono detta: «Adesso mi comporto diversamente!» e le ho portate al Centro audiovisivi.
[00:49:25] Patrick Urru: Questa è la scheda che hanno fatto loro?
[00:49:29] Martha Verdorfer: Esattamente. Poi lì al Centro mi hanno fatto notare che all’inizio dell’intervista non avevo dato nessuna informazione. Non avevo fatto come hai fatto tu oggi che hai detto che giorno era e con chi stai parlando. Poi l’ho fatto anche io, ma all’inizio nessuno mi aveva detto di farlo, che è importante farlo perché stai creando una fonte.
[00:49:50] Patrick Urru: Però eri lì a disposizione dei dipendenti del Centro audiovisivi per dare tutte le informazioni che servono. Io sono andato sul loro sito, però queste non le ho trovate.
[00:50:00] Martha Verdorfer: Sai perché? Perché io avevo consegnato il materiale un po’ di tempo fa, però loro non mi hanno mai preparato l’atto di donazione. Le hanno digitalizzate, ma probabilmente non sono ancora state caricate sul sito proprio perché mancava la firma sull’atto di donazione, poi la marca da bollo, il timbro.
[00:50:29] Patrick Urru: Ho capito. Io ho guardato l’anno scorso.
[00:50:31] Martha Verdorfer: No, guarda, io ho firmato l’atto di donazione poco tempo fa, perché praticamente mi hanno detto che l’avevano preparato, ma che era rimasto lì. Poi ho dovuto far firmare l’atto anche a Walter e a Poldi.
[00:50:47] Patrick Urru: Certo, perché c’erano anche loro in effetti.
[00:50:49] Martha Verdorfer: Esattamente. Adesso è tutto in ordine, quindi credo che nei prossimi due mesi si potranno anche consultare.
[00:50:57] Patrick Urru: Ero andato a vedere il loro sito, perché adesso c’è questo nuovo catalogo Argo che mette insieme tutte le biblioteche dell’Alto Adige. Allora, per curiosità, ho fatto una ricerca inserendo la parola “intervista”…
[00:51:25] Martha Verdorfer: Penso che in futuro metteranno anche le mie interviste lì sopra.
[00:51:29] Patrick Urru: L’anno scorso infatti non le ho trovate, ma ho trovato queste interviste di una giornalista, che penso sia morta, Elisabeth Baumgartner. Se non ricordo male, nel 2006 hanno preso questo fondo di interviste e hanno costruito un archivio di storia contemporanea. Un progetto Interreg, Italia-Austria. E adesso avranno anche le vostre. Questo documento lo posso tenere Martha?
[00:52:35] Martha Verdorfer: Questo è mio, ti posso fare una copia se vuoi.
[00:52:49] Patrick Urru: No, non occorre. Adesso lo so che saranno nell’archivio. Nei prossimi mesi guardo e sicuramente finirà tutto in Argo. Bene che sia salvato tutto lì.
[00:53:07] Martha Verdorfer: Due interviste sono di Walter, perlopiù sono mie o quelle dove siamo in due, Poldi e io. Lui da solo penso che non abbia registrato niente.
[00:53:24] Patrick Urru: Adesso pensavo che solo a Bolzano ci sono tre istituzioni che conservano interviste: l’Archivio storico delle donne, il Centro audiovisivi tedesco e la biblioteca provinciale italiana Claudia Augusta. Mi piace molto questa idea del catalogo unico Argo così poi rimane tutto insieme.
[00:53:47] Martha Verdorfer: Se non riescono a fare il Polo bibliotecario, almeno abbiamo un catalogo unico.
[00:53:55] Patrick Urru: Molto interessante Martha. Possiamo dire allora che questo progetto sui Deserteuren si è concluso nel 1993?
[00:54:05] Martha Verdorfer: Sì, nel 1994 abbiamo fatto un altro incontro con tutti i disertori. Devo dire che con alcuni di questi intervistati abbiamo mantenuto anche un’amicizia che è durata fino a quando sono morti. Una volta all’anno andavamo a trovarli. Penso che questo sia un aspetto importante della storia orale. Ti siedi lì con queste persone, anziani che sono spesso da soli, rimani due ore ad ascoltare questi racconti, alcuni sono anche molto importanti, e alcuni ti chiedono se torni a trovarli ancora una volta. Certo, poi tutto dipende anche dalla simpatia che puoi avere per una persona, ma in generale è un vero e proprio impegno che ti prendi, come se fosse un tuo parente, che vai a trovare una volta l’anno oppure fai una telefonata ogni tanto. È anche impegnativo, perché alcune volte, con tutto quello che si ha da fare, mi fermo e penso: «Non è facile tenere i rapporti con tutte queste persone». Poi, devo dire la verità, io sono anche una che si dimentica, invece Poldi si ricorda tutto, «Guarda Martha che oggi c’è lui che ha il compleanno, ricordati di chiamarlo». Penso che tutto questo sia bellissimo e che c’entri con il fare storia. Si fa storia per avere anche un mondo in cui le persone si sentano a proprio agio, per aiutarle a capire qual è il loro posto nel mondo, per far vedere che hanno fatto qualcosa di importante e così via. Penso che la storia possa essere certamente una disciplina al servizio delle persone, ma quando diventa quasi un servizio sociale, a volte può essere estenuante. È bello, meraviglioso, ma a volte è quasi troppo, non riesco a gestirlo.
[00:56:36] Patrick Urru: É vero quello che dici. Un impegno per chi fa storia orale di mantenere questa relazione nel tempo.
[00:56:53] Martha Verdorfer: Sì, è una relazione che costruisci.
[00:56:57] Patrick Urru: Credo che sia importante mantenerla questa relazione. Mi piace infatti questo momento di incontro che avete organizzato alla fine del progetto, che li avete coinvolti, anche per restituire qualcosa.
[00:57:15] Martha Verdorfer: Sì, l‘avevamo proprio pensata in questo senso; loro dovevano essere i primi a vedere questo libro. È stato bellissimo.
[00:57:27] Patrick Urru: Quindi, per ricapitolare, abbiamo parlato della tesi, di questo libro sui disertori del 1993 e poi quali altri progetti hai seguito che hanno avuto un legame con la storia orale?
[00:57:50] Martha Verdorfer: Negli anni Novanta mi sono dedicata di più al tema delle politiche della memoria. Nel 1995, in occasione dei 50 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, sono usciti un paio di volumi. Poi sai, in questi casi diventi subito l’esperta del tema, «Sei esperta di storia orale, allora sei esperta di cultura della memoria e del ricordo». Quindi nel 1995 ho scritto alcune cose su questi temi, mi interessava soprattutto l’aspetto legato ai monumenti, al paesaggio commemorativo e ho scritto questo libro: Bozen Innsbruck: zeitgeschichtliche Stadtrundgänge [Uscito anche in lingua italiana, Bolzano Innsbruck: itinerari di storia contemporanea]. Dovrei anche avere una copia del libro in italiano. [Martha si alza per recuperare il libro dalla libreria].
Questo libro è uscito nel 2000 ed era pensato anche un po’ per le scuole. Ho inserito 14 itinerari per la città di Bolzano e 14 per Innsbruck; luoghi della memoria di queste città. Sempre nello stesso anno è uscito anche questo libro: [Frauen Stadt Geschichte(n): Bozen Bolzano: vom Mittelalter bis heute. Uscito anche in lingua italiana, Storie di cittadine: Bolzano Bozen: dal Medioevo ad oggi]. Anche questo libro si presenta come una guida della città di Bolzano, dove parlo di memoria in relazione alla storia delle donne.
Seconda parte
[00:00:01] Patrick Urru: Adesso riprendiamo con la seconda parte di questa intervista. Stavamo parlando di alcuni lavori fatti nel 2000. Abbiamo parlato di questo libro, Bolzano Innsbruck: itinerari di storia contemporanea, e adesso stavamo guardando questo Storie di cittadine: Bolzano Bozen: dal Medioevo ad oggi. Martha mi stava raccontando di queste ricerche degli anni 2000 dove si è concentrata maggiormente sullo studio della memoria, delle dinamiche della memoria, del ricordo, legate al territorio della città di Bolzano, ma anche alla Provincia e al Tirolo, con la prima pubblicazione che coinvolge anche Innsbruck per esempio.
[00:01:20] Martha Verdorfer: Devo dire che in quel periodo ho fatto anche molte guide in città. Ho accompagnato diversi gruppi, insegnanti, operatori museali, classi del liceo, ma anche delle scuole elementari, anche gruppi di donne. Per me la storia è sempre qualcosa di molto vivo e mi piace proprio raccontarla.
[00:02:22] Patrick Urru: Molto Public History.
[00:02:24] Martha Verdorfer: Sì, esatto. E penso che proprio attraverso la storia orale, la storia riesca a prendere vita. Penso anche che per far capire la storia alle persone bisogna proprio raccontarla, anche attraverso i nomi delle strade e i monumenti. La storia non si racconta da sola, siamo noi che dobbiamo raccontarla e possiamo farlo in vari modi. E questa è una cosa che mi affascina devo dire la verità.
[00:02:55] Patrick Urru: Forse con questo progetto del libro sulle cittadine, recuperi un po’ quel tuo interesse per la storia delle donne, quel tempo in cui hai formato quel gruppo di storiche a Innsbruck. Forse ritorna un po’ questo interesse per la storia delle donne? La voce delle donne nella storia?
[00:03:18] Martha Verdorfer: Sì, penso che sia legato anche a quello. L’esperienza mi ha insegnato che da soli è difficile, l’ho capito a Innsbruck quando mi sono occupata di storia orale per la mia tesi. Se non avessi avuto un aiuto dall’esterno, visto che dall’università non ne avevo, non ce l’avrei mai fatta. E con la storia delle donne è stata la stessa cosa. Quando ho lasciato Innsbruck e sono ritornata in Alto Adige, sono riuscita a inserirmi, ho conosciuto molte persone con il progetto della mostra sui 50 anni delle Opzioni, ma la storia delle donne era sparita. Si è iniziato a parlarne di nuovo nel 2000, quando ho incontrato Siglinde Clementi e abbiamo iniziato a pensare ad un Archivio storico delle donne. L’Archivio come associazione è nato nel 2003, Siglinde credo sia stata la prima persona che ho conosciuto, lei è più giovane di me ed era rientrata a Bolzano da Vienna. Ci siamo incontrate, poi lei aveva conosciuto un altro paio di donne, io, devo dire ero in un ambiente molto maschile, e insieme abbiamo fondato l’Archivio e la storia delle donne è tornata in primo piano. Poi, devo dire la verità, che dopo il libro sulle ragazze di servizio mi sono detta: «Adesso scrivo solo sulle donne, perché c’è così tanto da dire». Mi rendo conto che tutti parliamo di parità di diritti, ma poi alla fine emerge sempre quanto il nostro mondo sia ancora maschile e quanto siano maschili le nostre idee, e quindi penso che ci sia ancora molto da fare prima di poter cambiare davvero qualcosa. Credo che sia importante fare gruppo, credo che sia utile che esistano gruppi organizzati a livello sociale, politico, e di ricerca, perché da soli non si riesce veramente a fare qualcosa, a smuovere qualcosa.
[00:06:05] Patrick Urru: Certamente. Come dicevi tu è importante l’incontro con un’altra persona o con un gruppo che sostengono queste ricerche, queste idee e valori che vuoi portare avanti. Tu dicevi Martha che forse quando sei tornata, anche con Siglinde, hai visto che mancava un interesse per la storia delle donne in Provincia?
[00:06:35] Martha Verdorfer: Sì, perché c’erano sicuramente movimenti di donne, però non c’era nessuno che si occupava di storia delle donne; l’università è nata solo nel 1997. Adesso ci si occupa di storia delle donne all’università, c’è il Centro di competenza Storia regionale che forse fa qualcosa grazie a Siglinde, ma prima non c’era nulla. Sì, come detto, c’erano gruppi come l’AIED o altri, ma nulla a livello di ricerca storica. Quindi l’Archivio storico delle donne ha avuto un ruolo fondamentale, soprattutto con l’apertura della sede nel 2005.
Il libro sulle ragazze di servizio non aveva nulla a che fare con l’Archivio, quella ricerca è nata da rapporti personali. Conoscevo il tema, perché la mia prozia, quando era giovane, era andata a lavorare a Roma e aveva imparato a cucinare in un convento. La mamma di una mia amica di Prato allo Stelvio era andata a lavorare a Milano e avevamo parlato insieme di questa esperienza. Un giorno, con questa mia amica storica ci siamo dette che dovevamo fare una ricerca su questo tema. Allora ho iniziato a lavorare part time a scuola, al 75%, perché altrimenti non ce l’avrei mai fatta. L’Archivio storico delle donne è stato sicuramente un luogo importante, perché lì abbiamo presentato il progetto, mentre la ricerca era in corso, prima dell’uscita del libro, ne abbiamo parlato insieme. [Il titolo del libro è Wie die Schwalben fliegen sie aus: Südtirolerinnen als Dienstmädchen in italienischen Städten; 1920-1960].
[00:08:30] Un episodio divertente è quello legato al coinvolgimento della terza autrice di questa ricerca, Ursula Lüfter che non è una storica, ma una giornalista. Con la mia amica avevamo deciso di mettere un annuncio sui giornali locali per comunicare che stavamo cercando donne che in gioventù si erano trasferite in varie città italiane per andare a lavorare come ragazze di servizio. E si è presentata Ursula, che era molto più giovane di noi, ma non come donna che aveva lavorato fuori città, ma come donna interessata alla ricerca, pronta a darci una mano. Lei era della Val Pusteria e per noi era perfetto, perché lei ha potuto coprire quella zona, insieme alla Valle Isarco; la mia amica Adelina Wallnöfer si è occupata della Val Venosta e io della zona di Bolzano, Merano, Bassa Atesina. Alla fine è stata una combinazione perfetta.
[00:09:28] Patrick Urru: Così ha coperto anche una zona che forse non sareste riuscite a raggiungere.
[00:09:33] Martha Verdorfer: Infatti, perché non era proprio vicino, cioè per fare un’intervista avevi bisogno almeno di due ore, ti serviva almeno un’ora o anche di più per arrivare, alla fine andava via un giorno per un’intervista. Mi ricordo un episodio. Un giorno, io e Adelina andiamo nella Valle di Mazia, sopra la Val Venosta, era giugno o giù di lì, e dovevamo intervistare una signora. Arriviamo e non troviamo nessuno. Si era chiusa nel pollaio. Era andata a recuperare le uova e sai che la porta del pollaio si chiude con un gancio di legno.
[00:10:18] Patrick Urru: Sì, una specie di chiavistello a leva.
[00:10:20] Martha Verdorfer: Esatto. La leva era caduta.
[00:10:22] Patrick Urru: Sì, è caduta e l’ha chiusa dentro?
[00:10:23] Martha Verdorfer: Esatto, è rimasta chiusa dentro. Era una signora di 80 anni, e ci siamo dette, «non c’è nessuno», e poi abbiamo sentito battere, siamo andate ad aprire, questa signora è uscita fuori con la mano sanguinante. Lì ci siamo dette «possiamo scordarci l’intervista», era veramente agitata. Invece, nessun problema, si è seduta e ha fatto l’intervista, una follia. E un’altra volta, penso in Val Venosta, mi è capitato di arrivare con il bel tempo, e poi guardi fuori dalla finestra e vedi che sta nevicando e pensi che hai montato le gomme estive sulla macchina. Ti capitavano queste cose, che sul momento pensi: «Aiuto!», ma poi ti fai anche una risata.
[00:11:11] Patrick Urru: Questo progetto in che anno è iniziato?
[00:11:15] Martha Verdorfer: Mi sembra nel 2003.
[00:11:19] Patrick Urru: Quasi in contemporanea con la creazione dell’Archivio storico delle donne. [00:11:22] Martha Verdorfer: Sì, probabilmente c’è stato anche un impulso, anche se era un progetto che non c’entrava con l’Archivio. Mi sembra che fosse il 2003, sì, perché mi sono messa part time, mi sembra, per tre anni, perché non ero più così giovane e sarebbe stato molto faticoso. Poi non volevo consumare ancora tutte le mie ferie, i fine settimana, basta. Però è stato bellissimo, perché incontri molte persone interessanti.
[00:12:10] Patrick Urru: Anche in questo caso mi sembra che l’interesse per il tema sia nato perché alcune persone vicino a te avevano vissuto quell’esperienza.
[00:12:35] Martha Verdorfer: Sì, diciamo che il tema era nell’aria da un po’. Ne avevo parlato anche con Poldi, anche con Adelina siamo andate avanti un po’ a parlarne, penso sia stata lei a lanciare l’idea e io ho accettato. Lei era molto interessata al tema, conosceva molte donne in Val Venosta, poi ne abbiamo trovate molte altre. Penso che abbia chiesto a me, perché sapeva che mi occupavo di storia orale e perché senza interviste non si poteva fare un granché, non c’erano molte altre fonti.
[00:13:43] Patrick Urru: Questo è un progetto che è andato avanti tre anni?
[00:13:48] Martha Verdorfer: Sì, con le interviste siamo state relativamente veloci.
[00:13:53] Patrick Urru: Quante interviste avete fatto?
[00:13:59] Martha Verdorfer: Credo, tra le 70-80 interviste. Ne abbiamo fatte parecchie. Le abbiamo trascritte parzialmente. Ciascuna di noi faceva 2-3 interviste, poi ci trovavamo e vedevamo un po’ quali temi erano emersi durante gli incontri. Così abbiamo creato un primo indice che poi chiaramente è un po’ cambiato nel corso della ricerca. Non è stato semplice, perché ci siamo divise i temi: origini della famiglia, il viaggio verso le città, le esperienze sul luogo di lavoro. Però dovevamo poter lavorare su tutte le interviste, ma ognuna di noi aveva solo le proprie registrazioni. Quindi abbiamo lavorato sulle trascrizioni, non ci siamo scambiati i documenti audio. Era la prima volta che mi capitava di lavorare su interviste fatte da altri e qualche volta mi arrabbiavo, «perché non hai approfondito quell’argomento» o cose di questo tipo. Qualche volta abbiamo fatto una seconda intervista oppure abbiamo chiamato per farci raccontare meglio una cosa. È stato difficile, anche trovare all’interno di interviste non mie, qualcosa che potesse c’entrare con il tema che dovevo trattare.
[00:16:33] Patrick Urru: Poi anche partire dalle trascrizioni non era facile.
[00:16:40] Martha Verdorfer: Sì, infatti, per questo credo che le abbiamo trascritte tutte completamente, proprio perché dovevamo scambiarcele.
[00:16:50] Patrick Urru: Quelle interviste dove le avete conservate?
[00:16:55] Martha Verdorfer: Sono conservate nell’Archivio storico delle donne. Le avevamo registrate digitalmente.
[00:17:05] Patrick Urru: Solo le tue oppure anche quelle raccolte dalle altre?
[00:17:10] Martha Verdorfer: La maggior parte… Adesso che mi ci fai pensare, erano già registrazioni digitali? No, forse non tutte, perché adesso mi è venuto in mente che Ingrid Facchinelli le aveva riversate da cassetta in digitale. No, anzi, erano tutte cassette, perché il registratore digitale lo abbiamo comprato per l’Archivio, quindi nel 2006 o giù di lì. Erano tutte cassette e Ingrid Facchinelli le ha digitalizzate.
[00:18:29] Patrick Urru: Le ha digitalizzate in casa oppure nel Centro audiovisivi?
[00:18:35] Martha Verdorfer: Ingrid Facchinelli era un membro dell’Archivio, le ha digitalizzate in archivio. Lei ci sapeva fare con la tecnologia, aveva collegato il registratore al computer con un cavo. Però doveva rimanere sempre lì, perché doveva controllare che tutto filasse liscio, anche per girare la cassetta e cambiare lato.
[00:19:11] Patrick Urru: Sì, doveva rimanere lì a controllare che andava tutto bene.
[00:19:23] Martha Verdorfer: Erano tutte cassette. Quelle digitali sono le interviste che abbiamo fatto per l’Archivio storico delle donne, proprio perché il registratore l’abbiamo comprato nel 2006 e le prime interviste le abbiamo raccolte subito nel 2006-2007. Le interviste per la ricerca sulle ragazze di servizio erano ancora su cassetta.
[00:19:50] Patrick Urru: Mi ricordo di questo progetto, perché ho trovato una registrazione della serata di presentazione alla biblioteca Claudia Augusta. C’eri tu insieme a Ursula Lüfter e avete presentato questo progetto. Era il 2006 e Giorgio Delle Donne aveva organizzato quella serata per presentare il progetto Archivio orale che non era ancora finito. Aveva invitato Cesare Bermani, uno storico orale italiano importante, e aveva invitato anche voi. Trovi la registrazione della serata sul sito Mixcloud. Ti mando direttamente il link così la puoi ascoltare, perché la ricerca è un po’ complicata tra tutte le registrazioni che la biblioteca ha caricato. Interessante anche questo incontro con Siglinde Clementi che mi raccontavi prima, se non andiamo troppo lunghi, magari mi puoi raccontare di come è nato questo Archivio storico delle donne?
[00:22:30] Martha Verdorfer: All’inizio eravamo io, la Siglinde Clementi, Alessandra Spada, Margareth Lanzinger che adesso è a Vienna, poi Ingrid Facchinelli, così nel 2003 abbiamo fondato l’associazione. All’epoca Alessandra Spada era consigliere comunale a Bolzano e ha fatto un po’ di attività di lobbying, in consiglio comunale c’erano diverse donne, e sono riuscite a proporre questo progetto di un Centro interculturale delle donne, dove non c’era solo l’Archivio, ma anche la Biblioteca della donna con la Marina Manganaro, c’era anche un bar.
[00:23:42] Patrick Urru: Il Café delle donne?
[00:23:45] Martha Verdorfer: Esatto. Ha cambiato gestione varie volte, non ha funzionato molto bene, poi è stato dato in affitto a privati. Dopo il libro sulle ragazze di servizio, credo di aver lavorato di più per l’associazione, per vedere cosa potevamo fare con l’Archivio storico delle donne, come potevamo fare rete, quali eventi potevamo organizzare e così via. All’inizio è stato abbastanza difficile, c’erano anche delle tensioni interne, devo dire, c’è stato anche un cambio nel direttivo, non è stato semplice.
[00:24:42] Patrick Urru: Non eri più sola.
[00:24:45] Martha Verdorfer: Sì, infatti. Invece l’ultimo libro che è uscito, nel 2020, è proprio legato all’Archivio ed è dedicato a questo gruppo, Frauen für Frieden [Donne per la pace]. Nell’estate del 2017 o 2016, non mi ricordo bene, si presenta in archivio la donna che aveva fondato questo gruppo nel 1980, Irmtraud Mair. Si è presentata con due borse, «Bene, questo è l’Archivio storico delle donne, noi abbiamo questo materiale, ma non vogliamo che finisca a prendere polvere in archivio, vogliamo che venga utilizzato per qualcosa». Un archivio “normale”, provinciale per esempio, poteva dire, «prendo il materiale, ma non ho l’interesse a lavorarci subito, lo lascio lì». L’Archivio storico delle donne, naturalmente, è un po’ diverso, perché l’Archivio delle donne, non può limitarsi a conservare le cose, deve fare qualcosa, e per noi è stata una nuova sfida. Poi le Frauen für Frieden sono venute da me e mi hanno chiesto di scrivere il libro. Mi conoscevano, ero di madrelingua tedesca, avevo scritto vari libri, conoscevo il movimento. Avrebbe potuto farlo benissimo anche qualcun altro, Cinzia Villani aveva scritto libri, anche Alessandra Spada, però il materiale era in tedesco e alla fine era chiaro che l’avrei fatto io e mi andava bene così.
[00:26:45] Per questo progetto ho fatto molta ricerca d’archivio. A un certo punto ho pensato anche di scrivere questo libro basandomi solo su fonti d’archivio, però alla fine sentivo che mi mancava qualcosa, mi mancavano le persone. E allora ho iniziato a parlare con queste donne del gruppo. Ce l’hai questo libro? Posso regalartene una copia. [Martha si alza e prende una copia del libro dalla libreria. Il titolo del libro è Die Frauen für Frieden: gegen Aufrüstung und Krieg: Südtirol 1980-1986].
[00:27:15] Patrick Urru: No, l’ho sempre preso in prestito alla biblioteca Teßmann.
[00:27:23] Martha Verdorfer: Ne ho ancora, quindi sono felice di regalartene una copia.
[00:27:27] Patrick Urru: Grazie.
[00:27:28] Martha Verdorfer: Qualcuno mi ha fatto notare che forse il capitolo Gesichter und Lebenswege [Volti e vite], ti faccio vedere, dove ho raccontato del ruolo che hanno avuto le donne, dove le ho presentate singolarmente… Qualcuno mi ha detto che questa parte è un po’ lunga, forse lo è, però io mi sono detta che se devo parlare del gruppo, devo per forza parlare anche delle donne, delle persone che compongono questo gruppo, la vita delle persone era fondamentale per me. Sicuramente è dovuto alla mia lunga esperienza con la storia orale, al fatto che per me la storia è strettamente legata alla vita delle persone.
[00:28:58] Patrick Urru: Poi, dovendo lavorare su materiale d’archivio era ancora più forte questa necessità.
[00:29:02] Martha Verdorfer: Può essere. Per esempio, è stato importante il fatto di conoscere già questo gruppo. All’epoca avevo 20 anni, ma avevo partecipato ad alcune cose organizzate da loro.
[00:29:20] Patrick Urru: Ecco, era proprio la domanda che ti volevo fare. Se eri parte di questo gruppo. E se avevi vissuto quel periodo in prima persona.
[00:29:35] Martha Verdorfer: Sì, ma non ero parte del gruppo, anche perché in quel periodo ero a Innsbruck. Per me è stato importante parlare con queste donne, incontrarle anche in gruppo, osservare la dinamica di gruppo anche se era passato molto tempo, osservare le gerarchie all’interno del gruppo. Per me è stato molto istruttivo, mi ha dato un’idea di come funzionano questo tipo di gruppi. Penso che poi le dinamiche all’interno di gruppi di donne siano diverse da quelle dei gruppi formati da soli uomini o misti, ma anche dai gruppi di donne che si occupano del tema della donna. Osservare queste dinamiche all’interno di una stanza è stato molto interessante, vedere che ci sono anche divisioni, visioni diverse, parlare con queste donne mi ha aiutato a conoscere meglio questo gruppo.
[00:31:10] Patrick Urru: Hai registrato anche le interviste?
[00:31:20] Martha Verdorfer: Sì, le ho registrate. Sia le interviste singole, sia le interviste di gruppo. In questo caso ho chiesto a Pia Profanter di darmi una mano. Non so se la conosci, è un’operatrice di ripresa e mi ha aiutato a fare videointerviste. Sì, perché quando si fanno interviste di gruppo così è più facile capire chi sta parlando. Abbiamo fatto una ripresa di due ore, poi Pia ha fatto un montaggio di 20 minuti e lo abbiamo proiettato all’Archivio storico delle donne. C’erano anche delle ragazze giovani che non erano neanche nate quando c’era questo gruppo Frauen für Frieden e alla fine della presentazione hanno detto: «Forti queste donne!». È stato bellissimo, il modo di parlare di queste donne, cosa è stato importante per loro, e vedere come donne più giovani, molto lontane da quel tempo, siano riuscite comunque a sentirsi parte di quel mondo proprio grazie alle interviste. Poi Pia ha realizzato un bel montaggio, quindi è stato proprio bello.
[00:33:10] Patrick Urru: Quindi tu eri lì con loro durante queste interviste di gruppo.
[00:33:15] Martha Verdorfer: Sì, esatto. Io non vengo ripresa dalla videocamera, si sentono solo le mie domande, la videocamera inquadra le donne che sono sedute una vicina all’altra. Una ripresa un po’ statica, però si capisce chi parla ed è stato divertente. Mi piacerebbe fare delle videointerviste.
[00:33:43] Patrick Urru: Vorresti provare?
[00:33:45] Martha Verdorfer: Sì, però io non sono proprio un’esperta della ripresa, questa tecnologia va troppo veloce per me. Non saprei neanche come posizionare la videocamera, per esempio adesso non andrebbe bene se ti riprendessi, perché la luce mi arriva proprio di fronte dalla finestra. Tutte queste accortezze insomma. Poi, penso che sia importante rimanere concentrati su quello che la persona ti dice, se poi devo pensare anche alla videocamera, non lo so.
[00:34:28] Patrick Urru: É un problema soprattutto quando si è da soli. Come dici tu, hai sempre il pensiero.
[00:34:34] Martha Verdorfer: Mi interesserebbe provare, ma non la vedo una cosa realistica per me adesso, sono troppo vecchia forse, troppo lavoro per me.
[00:34:50] Patrick Urru: Io ho provato, ma non riesco a fare qualcosa di professionale. Poi a me interessa vedere sempre intervistato e intervistatore, vedere l’interazione. Quando sei da solo è difficile, non sai come metterti e quindi è un po’ complicato. Poi magari qualcuno il video non lo vuole, diciamo che forse il registratore dopo un po’ te lo dimentichi. C’è anche quel tema in effetti. Anche queste interviste sono nell’Archivio storico delle donne?
[00:35:40] Martha Verdorfer: Sì, esatto.
[00:35:42] Patrick Urru: In questo progetto hai fatto solo tu interviste?
[00:35:45] Martha Verdorfer: Sì. Non ho intervistato tutte le donne, solo alcune, con altre abbiamo solo parlato, senza registratore. Con Irmtraud Mair e Thussy Marini per esempio ho fatto delle interviste più lunghe. Forse ho registrato 3-4 interviste e con le altre ho solo parlato.
[00:36:10] Patrick Urru: Tu poi continui a fare interviste per l’Archivio storico delle donne? O il tuo lavoro è sempre legato a progetti?
[00:36:20] Martha Verdorfer: No, fin dall’inizio il lavoro di raccolta di interviste dell’Archivio è sempre stato slegato da progetti. Adesso sto pensando che quando andrò in pensione vorrei proprio concentrarmi sulle interviste raccolte fino adesso e dedicare un progetto a quelle. Direi che quelle utilizzabili, più interessanti, sono almeno 80, che riflettono l’esperienza diverse realtà di entrambi i gruppi linguistici. All’inizio eravamo in 6-7 a fare interviste, per i primi due anni, ne abbiamo fatte molte, poi alla fine siamo rimaste in tre, poi due e adesso sono rimasta solo io. Ormai sono 10 anni, forse 7 anni che sono da sola a fare interviste. Ho fatto anche interviste in italiano, ma di solito le faccio in tedesco e ne riesco a fare 2-3 all’anno, perché di più non riesco e questo mi dispiace, però il lavoro a scuola sta diventando sempre più pesante, sono ritornata a lavorare full time. Però c’è sempre la voglia di fare interviste, cerchiamo anche persone che ci possono dare una mano, però devi anche saperle fare le interviste. Quindi quando fra 3-4 anni andrò in pensione, potrò dedicare più tempo a questo progetto.
[00:38:25] Patrick Urru: Quindi fin dall’inizio l’archivio ha raccolto interviste?
[00:38:35] Martha Verdorfer: Sì, nel 2005 abbiamo aperto la sede, nel 2007 abbiamo iniziato con le interviste. Abbiamo costruito un piccolo gruppo, abbiamo fatto formazione, studiato un po’ la modulistica necessaria, liberatorie, e i primi anni, fino al 2010, abbiamo fatto molte interviste. Poi, io e Ingrid siamo andate anche a Graz dove c’è un archivio di storia orale all’università e abbiamo chiesto come erano organizzati, ci hanno detto che conservavano sia l’audio, sia le trascrizioni, e così abbiamo fatto anche noi. In questi anni poi l’archivio è stato consultato da giornalisti, registi, sceneggiatori teatrali, scrittori, persone che cercano input per i loro lavori. Poi, come ho già detto, bisognerebbe continuare a fare interviste. Fra 10 o 20 anni questo archivio sarà ancora più interessante, ma prima o poi bisognerà farci anche qualcosa. Non possiamo sapere in che modo le persone si avvicineranno a queste interviste. Penso di avere già un buon bagaglio di conoscenze teoriche e metodologiche e penso anche che mi piacerebbe lavorare con queste interviste, non voglio solo farle, ma al momento è difficile.
[00:40:40] Patrick Urru: Raccoglierai comunque sempre storie di vita di donne che hanno la loro storia da raccontare e che hanno un legame con il territorio.
[00:40:50] Martha Verdorfer: Esatto. Storie di vita di donne che vivono o hanno vissuto in Alto Adige per un certo periodo o che si sono trasferite qui.
[00:41:03] Patrick Urru: Quindi non storie di vita legate a un ambito lavorativo specifico per esempio.
[00:41:10] Martha Verdorfer: No, ma all’inizio ci abbiamo pensato, però poi, quasi subito in realtà, abbiamo pensato che era meglio raccogliere storie di vita e farci guidare dal filo rosso della storia e poi vedere cosa veniva fuori. Anche perché noi non sappiamo bene quali aspetti della vita delle donne sono importanti, magari noi parliamo di bambini e famiglia o chiediamo altre cose specifiche, allora preferiamo lasciare che il racconto scorra seguendo una linea biografica, così forse riusciamo a capire meglio cosa vogliono raccontare le donne e cos’è importante per loro.
[00:42:00] Patrick Urru: Sì, l’approccio è, raccontami la tua vita, sentiti libera di raccontarmi quella che è la tua vita.
[00:42:08] Martha Verdorfer: E poi sono le donne stesse a fissare i punti focali del racconto.
[00:42:10] Patrick Urru: Sì, non dire, raccontami quello, proprio per lasciare la propria narrazione della propria storia.
[00:42:25] Martha Verdorfer: Devo dirti una cosa. Alle 18 c’è l’inaugurazione di una mostra al Centro Trevi, sulla migrazione dei ladini, c’è la Luciana Palla e c’entra anche il Frauenarchiv, ancora un quarto d’ora posso restare, perché vado in bici, ma volevo andare a questa manifestazione.
[00:42:50] Patrick Urru: Io direi che possiamo finire qui, perché abbiamo affrontato molti temi.
[00:42:58] Martha Verdorfer: Casomai mi puoi chiamare e chiedere.
[00:43:00] Patrick Urru: Volentieri. Poi quando faccio la trascrizione ci confrontiamo che se manca qualcosa lo possiamo aggiungere oppure se c’è da precisare qualcosa lo possiamo fare. Io ti ringrazio, volevo solo vedere con te la liberatoria. Registro ancora questo passaggio. Il consenso informato che ti avevo mandato via e-mail. Ho portato due copie, se puoi compilarle tutte e due, una rimane a te e una a me. Come detto, qui puoi inserire i tuoi dati personali. [Martha compila il modulo del consenso informato]. Ho inserito le informazioni che ti ho anche detto all’inizio dell’intervista, perché raccolgo questa intervista, che la depositiamo all’Archivio storico delle donne, che una parte della trascrizione che vediamo insieme va sulla rubrica “Interviste sull’intervista” del sito AISO e poi che una parte della trascrizione, se è interessante per la mia tesi, la inserisco. Adesso firmo le due copie, così una può stare nell’archivio. E questa invece è l’informativa sul trattamento dei dati personali che è allegata al modulo del consenso informato.
[00:46:35] Direi che abbiamo finito. Ti ringrazio.
[00:46:40] Martha Verdorfer: È stato bello, mi è piaciuto anche, perché parlando rifletti anche un po’ ed è interessante rievocare certi ricordi, per esempio, mi sono ricordata che ho registrato le interviste su cassetta.
[00:47:05] Patrick Urru: Ti ringrazio dell’ospitalità e del tempo che mi hai dedicato. L’intervista è chiusa, oggi è sempre lunedì 11 aprile, sono le 17:35 e l’intervista è finita, grazie.
[00:47:25] Martha Verdorfer: Grazie.