BabyDocFilm, Deriva Film, Esperia Film, Italia 2008, 73’.
Carlo Marrapodi, 30 anni, calabrese, vive a Torino ed è un operaio della ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni. Nell’aprile del 2007 l’azienda decide di smantellare lo stabilimento torinese. In luglio Carlo è costretto a lasciare Torino (e sua amica Melita) per tornare in Calabria. Cassa integrazione. Inaspettatamente, in autunno, l’azienda richiama i lavoratori in linea. Per non perdere il diritto alla liquidazione gli operai fanno turni massacranti e in condizioni di sicurezza precarie. Pochi giorni dopo, tra il 5 e il 6 dicembre 2007, avviene la tragedia, nella linea 5 le fiamme travolgono i sette operai di turno. Carlo quel giorno aveva fatto il turno pomeridiano. Una telefonata all’alba lo avverte del disastro. La fabbrica chiude definitivamente e Carlo decide di tornare, definitivamente, in Calabria. Quest’ultimo viaggio assume la funzione di viaggio nella memoria, di rielaborazione, almeno parziale, del lutto, di sfogo della rabbia accumulata in anni di lavoro in condizioni di sicurezza precarie e mal retribuito. La testimonianza di Carlo, i suoi ricordi e il suo lungo viaggio in treno, il suo tentativo di ricostruirsi una vita nella sua terra di origine, il suo tentativo di gestire la rabbia e di non farsi sopraffare dallo sconforto ci fanno ragionare in maniera non banale sull’Italia di oggi, sugli endemici problemi legati alla precarietà del lavoro e sulle insufficienti misure di sicurezza. Ma ci restituiscono anche la storia di un giovane che rappresenta tanti suoi coetanei costretti a continui spostamenti, costretti a riconfigurare periodicamente i propri orizzonti e le proprie aspettative, ma che, nonostante questo, non si perdono d’animo.
Il film appare sincero e riuscito – nonostante l’evidente presenza di alcuni passaggi meno brillanti – proprio perché non pretende di ricostruire una verità oggettiva e perché non vuole dimostrare niente. È un film di parte, un film che assume un unico punto di vista, e senza risultare eccessivamente patetico cerca di andare in profondità, fondendo la rabbia con l’ironia, la rassegnazione con la speranza nel cambiamento. Carlo accetta che la sua vita diventi una storia, una narrazione. Accetta che il reale, in qualche modo, si leghi alla finzione, o quanto meno alla necessaria “costruzione” che il mezzo cinematografico sempre porta con sé. (Alessandro Cattunar)