Ulitsa Sadovaja, libro voluto dall’associazione di volontariato “Mondo in Cammino” e stampato per la collana editoriale “Carlo Spera editore X MIC” racconta il viaggio nella Russia contaminata di Elisa Geremia e Veronica Franzon. Queste due giovani ricercatrici hanno trascorso un mese a Novozybkov, una delle città russe maggiormente contaminate dall’esplosione della centrale nucleare di Cernobyl nel 1986 e dalla loro esperienza di ricerca e di vita è emerso questo libro appassionato in cui decine di voci diverse trovano uno spazio per esprimersi.
La situazione di questa cittadina della provincia russa viene infatti presentata attraverso la prospettiva dei suoi abitanti, delle persone che ci vivono e che ogni giorno devono affrontare i rischi portati dalla radioattività in un intreccio di sentimenti, spesso discordanti, che vanno dalla rassegnazione alla rabbia, dalla speranza alla non curanza. «Abbiamo incontrato spesso una grande predisposizione al dialogo, al confronto e alla voglia di conoscere anche il nostro punto di vista – sottolineano le autrici –. I toni prevalenti erano da una parte l’ironia ed il sarcasmo, dall’altra la rassegnazione di fronte ad uno Stato lontano e indifferente alle conseguenze, più che altro sanitarie, del fall out radioattivo». Le autrici si mettono in ascolto e attraverso la prospettiva analitica dell’antropologia del rischio – studio dei comportamenti umani e delle costruzioni culturali in situazioni di rischio per superare i limiti delle definizioni “tecnocentriche” di disastro fornite da geologi, fisici, ingegneri – cercano di rispondere ad alcuni interrogativi: come mai i 40.000 abitanti della città non sono stati evacuati? cosa significa fare i conti, giorno dopo giorno, con la radioattività? in che modo la contaminazione si è intrecciata alla cultura e alle abitudini delle persone?
Il libro contiene molti spunti di riflessione – i progetti di accoglienza dei bambini “chernobyliani”, i corsi di radioprotezione per studenti e insegnanti organizzati, tra innumerevoli difficoltà, da associazioni locali o internazionali, il diritto all’informazione ambientale sul nucleare – ma la sua forza è racchiusa nell’utilizzo sapiente ed equilibrato delle testimonianze dirette da cui emerge la frustrazione per uno stato praticamente assente e la volontà di sapere.
Massimo Bonfatti, presidente dell’associazione Mondo in Cammino, crede nella necessità di dare voce alla gente: «Molti anni di intervento internazionale nelle zone contaminate dall’incidente di Chernobyl hanno posto scarsamente in evidenza il punto di vista delle persone che vivono in territorio contaminato. Il nucleare ha diversi punti di vista di analisi: il punto di vista dell’ingegnere, il punto di vista del geologo, il punto di vista dell’architetto, il punto di vista del medico, il punto di vista del fisico, il punto di vista dello scienziato “tout court”, il punto di vista del politico, il punto di vista del costruttore, ecc. E tutti questi punti di vista danno al nucleare un’aura di importanza e di complessità con cui è difficile confrontarsi o, quel che peggio, verso cui si crede di non possedere strumenti adeguati e “professionali” per il confronto. Niente di più sbagliato!
Mondo in cammino ritiene che ci debba essere, invece, un punto di vista privilegiato: quello del cittadino comune che ha tutti i diritti, doveri e legittimità per intervenire nel dibattito e nelle scelte».
Nelle pagine voci e parole si susseguono, si rincorrono, si contraddicono in una escalation che culmina, nella parte conclusiva del libro, con la trascrizione completa di due interviste, quella allo scienziato Michail Vasilievič Kislov e quella a Pavel Ivanovič Vdovičenko, fondatore dell’associazione russo-tedesca Radimiči. Due testimonianze tra loro opposte che, se da un lato evidenziano come non esistano spiegazioni reali e ultime alla percezione del rischio nucleare e delle conseguenze della radioattività, dall’altro affermano la necessità di andare a fondo nelle questioni riguardanti il post Chernobyl.
In un contesto dove gli scaffali delle biblioteche contengono reportage descrittivi risalenti a più di dieci anni fa, alle pareti sono appese vecchie carte della contaminazione, dove la stampa offre una rivista specializzata che si limita a parlare di pensioni e risarcimenti, dove le informazioni mediche sono difficili da recuperare, la fonte orale diventa, ancora una volta, una fondamentale metodologia di ricerca sociale. In questo caso specifico le testimonianze degli abitanti di Novozybkov offrono inoltre un’occasione importante per aprire dibattiti e riflessioni sulla questione del nucleare non solo nelle zone contaminate, ma anche nel resto d’Europa e in Italia.
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