di Mario Spiganti.
Il nostro socio Mario Spiganti ha scritto una riflessione a margine del convegno «Scrivere quasi la stessa cosa. La trascrizione come atto interpretativo nella pratica della storia orale». La pubblichiamo qui, segnalando che le videoregistrazioni delle cinque sessioni del convegno sono ora disponibili nel canale Youtube di AISO.
Propongo qui una mia riflessione maturata a seguito delle comunicazioni del convegno AISO, in particolare di Luisa Passerini, Fabio Dei, Francesca Socrate, Giovanni Contini, Donatella Orecchia e Silvia Calamai e al dibattito successivo.
Prima di tutto concordo sull’enfasi che è stata posta da molti sulla ricchezza delle lunghe sessioni di intervista/conversazione che si protraggono nel tempo, talvolta per anni, con le stesse persone, cogliendo in forma dialogica storie di vita esemplari.
Mettendo tra parentesi quanto è stato detto, dibattuto e condiviso negli anni sulla questione delle fonti orali, arrivo subito al punto focale della mia riflessione, che mi porta a considerare la videoregistrazione come una prima “forma di trascrizione”.
All’interno dei campi di ricerca di storia orale, qualsiasi tipo di relazione dialogica o intervista si svolge e conclude evidentemente in un contesto referenziale in cui spazio e tempo sono “reali”, con luoghi, inizi e termini dati. Tuttavia la realtà referenziale di quanto accade nel corso di una intervista è molto diversa da quanto è registrato in audio video (ma direi anche rispetto a quanto è registrato in forma solo audio o anche tramite appunti scritti o stenografati o altre possibili forme di codifica).
Spazio
A mero titolo di esempio osservo che nella realtà il luogo dell’intervista, per esempio la casa, di famiglia contadina o altro, abitata da generazioni o anche, talvolta, i paesaggi in cui ci si muove, possiedono delle risonanze emotive e affettive, legate ad esperienze di vita ed anche ad oggetti, che solo parzialmente si svelano all’intervistatore e non subito. E questa pregnanza connotativa dello spazio in cui avviene il dialogo sfugge a qualsiasi forma di registrazione. In questo caso restringo l’attenzione alla videointervista. Infatti:
- L’obiettivo delle macchine usate è estremamente selettivo, appiattisce le prospettive, talvolta riduce il campo al salotto “buono” o al focolare, magari rifatto e scelto come evocativo, in ogni caso restringe ambiente e campo ad una successione di inquadrature che appartengono concettualmente allo spazio inventato delle immagini in movimento, che non si può confondere con lo spazio reale, molto più vasto e in cui si muovono gli sguardi e le attività di deissi degli attori della conversazione. Personalmente spesso ho utilizzato nelle videointerviste due videocamere, delle quali una dotata di ottica a grandangolo spinto che consente una inquadratura contenente entrambi gli attori e più ambiente possibile, ma la questione non cambia di una virgola.
- Le inquadrature talvolta si concentrano – spesso per una scelta tecnicamente obbligata da vari fattori – solo sulla persona/e intervistata/e, a volte isolando volto o mani e innescando impatti emotivi che appartengono alle connotazioni del linguaggio cinematografico ma non a quello reale. Direi che qualsiasi inquadratura seleziona aspetti e produce sensi che non appartengono alla interazione reale.
- Lo spazio intorno è ovviamente diversamente conosciuto dai due attori, soprattutto quando familiare all’intervistato e colmo di storia e risonanze affettive. E spesso anche lo stesso intervistatore ha avuto modo di conoscerlo prima e dopo ed eventualmente nei successivi appuntamenti, cogliendo sempre nuovi aspetti e risonanze non contenute nella videoregistrazione ma che sono espresse in ulteriori approfondimenti analitici.
- Se poi lo spazio dell’intervista dialogica è neutro ad entrambi, tipo una sede istituzionale o sindacale o altro, la faccenda si complica notevolmente. Lo spazio narrato risulterà ancor più inventato dallo strumento di registrazione, ma non per questo non influente nella produzione di senso.
Tempo
Metto qui ovviamente tra parentesi il tempo delle narrazioni specifiche contenuto nei dialoghi tra i protagonisti della relazione e che portano spesso a periodi temporali assai lontani, e limito la riflessione al tempo durante il quale si svolge la videointervista.
- Il tempo di una intervista comprende anche ciò che la precede così come ciò che la segue e dipende dal livello di conoscenza reciproca che si aveva prima e che si stabilisce tra i due. È un classico tema ben presente nella letteratura di storia orale che ad apparecchi spenti saltino fuori cose “interessanti”, talvolta definite come addirittura le più importanti.
- Che si usi un taccuino, un registratore solo audio o una videocamera il risultato non cambia: il tempo della registrazione è diverso da quello dell’interazione, che non comprende solo le pause o i tempi morti ma anche quello della preparazione e dell’apparente scioglimento dialogico.
- La videoregistrazione, inoltre, talvolta si presenta con interruzioni del flusso o pause dovute a questioni tecniche o a cause le più disparate.
- La videoregistrazione, infine, spesso viene realizzata presupponendo che dovrà servire a realizzare forme di restituzione, in ambiti diversi e con utilizzi multimediali diversificati. Naturalmente questo implica una radicale ristrutturazione del Tempo, in previsione di necessari “montaggi”, e ciò avviene anche in fase di impostazione di videoripresa, tanto da determinare la scelta delle inquadrature da utilizzare. La questione del montaggio successivo, talvolta manipolante e dimostrativo, spesso insoddisfacente per chi ha effettuato le interviste (soprattutto se affidato ad esterni tecnici del settore), rende evidente come il “tempo” della documentazione audiovisiva sia radicalmente diverso da quello della interazione reale.
Concludo sostenendo che la videoregistrazione di una conversazione rappresenta, a mio avviso, già un primo livello di trascrizione (tramite utilizzo di codici propri a linguaggi audiovisivi ed altri rispetto allo svolgersi della relazione dialogica) rispetto alla intervista così come si è svolta nella realtà. Trascrizione che può essere più o meno corretta a seconda dei criteri utilizzati in fase di ripresa audiovisiva ma che non sarà mai una copia o duplicato della realtà di quanto registrato.
A partire da qui possono esserci naturalmente e vi sono ulteriori livelli di trascrizione e descrizione (trovo molto pertinente e positiva l’enfasi che alcuni interventi hanno posto sull’attività di descrizione a fianco delle procedure di trascrizione) che possono andare anche in direzioni diverse e complementari a seconda dell’approccio disciplinare seguito, storico, demo-antropologico, linguistico ecc.
Ovviamente concordo con l’opinione che le interviste, tanto in video che non, per poter essere considerate fonti per la ricerca devono essere quanto meno archiviate integralmente, catalogate, descritte e messe a disposizione dei ricercatori delle discipline interessate in archivi aperti alla consultazione. Un esempio ottimo è nell’intervento di Silvia Calamai.
Occorre infine ricordare che per la loro specificità le videoregistrazioni possono dare informazioni aggiuntive rispetto ad interviste documentate con altri strumenti e in qualche caso, ma non necessariamente, superiori. Per esempio, informazioni rispetto al contesto referenziale, a espressioni mimiche, posture, deissi, intonazioni, sguardi, linguaggi grafici e dei segni ecc. altrimenti difficilmente raggiungibili, ed anche rispetto a connotazioni ambientali e paesaggistiche.
Archiviazione e schedatura
Una fonte orale per essere tale deve poterlo essere per tutti i ricercatori ad essa interessati. Questo vale anche per le videoregistrazioni. Dunque, nulla di nuovo: dovrà essere accuratamente schedata, catalogata, certificata e archiviata in copie digitali (quando possibile distribuite in più archivi pubblici per opportuna ridondanza conservativa) accessibili ad altri ipotetici ricercatori di vari campi disciplinari.
L’archivio delle videoregistrazioni non dovrà contenere solo gli estratti video (comunque importanti e significativi), montati per la necessaria restituzione, più o meno vasta, e spesso assimilabili a forme di documentario (ma non lo sono!), ma soprattutto dovrà contenere gli originali girati integrali, in cui magari è possibile cogliere, almeno parzialmente o per quanto possibile l’interazione tra intervistatore e intervistato. La schedatura dovrà dare una descrizione del progetto di intervista nella sua complessità. Fonte non sarà solo la testimonianza dell’intervistato ma la stessa intervista nella sua globalità di relazione dialogica e di testo audiovisivo, con anche il suo carattere “autorale” quando lo abbia e depositato per archiviazione e con note descrittive di consultazione. In linea teorica altri ricercatori potranno realizzare ulteriori forme di trascrizione scritta funzionale alla propria ricerca. In questo modo anche la “verità” di particolari informazioni storiche espresse da testimoni di particolari eventi o situazioni può essere meglio vagliata e verificata.
Per esemplificare più concretamente quanto scritto segnalo, per chi volesse consultarli, tre video tratti da una serie di circa 30 realizzati a Carda, minuscola frazione montana dell’Appennino toscano. Qui ho cercato di cogliere attraverso anni e molte ore di interviste il passaggio del Novecento e del fronte di guerra nel 1944 in particolare. Si tratta di montati brevi realizzati fondamentalmente per una prima fase di “restituzione” delle interviste. Assumono la forma di “corti video” ma difficilmente riconducibili a documentari autonomi: non ne hanno né la caratteristica né la preoccupazione formale. Il documentario è un genere che merita un trattamento a parte e impossibile da affrontare qui. Solo mi sembra che oggi ci sia in proposito una gran confusione.
Tre video esemplificativi
GIOVANNI MARIA CARDINI RACCONTA
Estratto video di un lavoro in corso con cui cerco di raccogliere e descrivere la qualità e la competenza di uno dei miei amici intervistati, espressa nei suoi racconti di vita. Giovanni Maria (Gianmaria) Cardini, nato e vissuto a Carda (1928-2019), giovane ragazzino testimone delle vicende del 1944 e protagonista della vicenda che lo portò nel 1957 davanti a Mike Bongiorno in Lascia o Raddoppia? come concorrente in materia l’Orlando Furioso. Boscaiolo con la licenza elementare acquisita in scuola serale (come l’amico Marco Italiani e tutti gli abitanti di quelle generazioni anteguerra), poeta estemporaneo in ottava rima, scultore in legno e pietra. Narratore sublime.
Il video è in costruzione con l’obiettivo di operare una trascrizione biografica dal corpus complessivo delle video interviste. Si apre con un piano sequenza ottenuto con ottica grandangolare con cui si descrive parte dello spazio interno della sua casa, introducendo 2 personaggi, la figlia che porta da una stanza interna una busta contenente foto di famiglia che Gianmaria commenterà (introducendo personaggi come la nonna che saranno protagonisti di altri racconti di guerra, narrati da lui e da altri) e la moglie, appena intravista, che sarà protagonista di altra intervista.
Con inquadrature provenienti da conversazione realizzata in altro tempo si narra poi il suo incontro infantile con l’Orlando Furioso, mediato dal padre, boscaiolo e valente carbonaio. Osservo e sottolineo che il ragazzo sedicenne Gianmaria, terza elementare, nel 1944 possedeva già una formidabile competenza su Orlando Furioso e poesia improvvisata in ottava rima, con cui si cimentava già da anni con i più grandi: Marco Italiani e Denzo Mascalchi (morto militare nel 1942 e protagonista di un altro video). In questa parte del montato le inquadrature non sono più grandangolari e nel montaggio utilizzo anche dettagli di mani e libro, adottando per il sonoro un microfono esterno. Gianmaria inizia ad esprimere la propria formidabile competenza Ariostesca.
Si procede poi con videocamera gestita a mano libera e senza microfono aggiunto seguendo Gianmaria verso l’esterno, dove si trovano parte delle sculture in pietra e quindi verso il laboratorio delle sculture in legno. Questo è luogo della memoria dove lui conserva anche alcuni dei suoi quaderni di appunti e libri. In questa parte di video si tratta della memoria e della fantasia con cui Gianmaria si esprime, citando a braccia brani di Ariosto e Omero, esibendo una disarmante competenza poetica. Osservo come i legni su cui proietta la sua vena poetica di scultore sono tratti da sottoterra, radici di varie essenze arboree.
Anche nel ristretto spazio del laboratorio mi muovo a mano libera, con ottica grandangolare e senza cavalletto. Si dialoga tra vecchi amici. Obiettivo è il tentativo di descrivere la competenza profonda e narrativa della persona Gianmaria. Come si possono altrimenti comprendere e valutare i suoi racconti sulle vicende del 1944?
Archiviare e catalogare tutto ciò, soprattutto i girati è fondamentale. Gianmaria non è solo testimone degli avvenimenti legati al tempo di guerra ma di una serie di passaggi epocali del Novecento, che hanno trasformato non solo vita e cultura degli abitanti di Carda ma anche, e radicalmente, il paesaggio montano circostante al paese.
L’attenzione al paesaggio con le sue costanti trasformazioni reali e narrate è fondamentale, come testimonia la ricerca attenta di Antonio Canovi.
CARDA 6 AGOSTO 1944. LA DEPORTAZIONE
Estratto inedito nella nuova forma che qui presento e pensato assieme agli altri come restituzione al paese di parte delle interviste realizzate. In questo si parla di come avvenne in quel lontano giorno la deportazione in Germania di 40 uomini cardesi, durante il periodo dell’occupazione tedesca del paese. Si succedono diverse testimonianze, con inserimento di immagini fotografiche, che si trovano collocate nelle bacheche della sede del locale circolo ricreativo.
In apertura è Marco Italiani, nato e vissuto a Carda (1923-2018), poeta improvvisatore egli stesso oltre che profondo conoscitore della Divina Commedia e dell’Orlando Furioso; maggiore di età rispetto a Gianmaria Cardini, nel 1944 era un renitente alla leva. Parla camminando nella piazzetta o “piazzina” del paese. Luogo principe dell’evento Deportazione. Descrive minuziosamente gli avvenimenti muovendosi per la piazza e collocando nello spazio narrato i personaggi di cui parla. Racconta di come, con la complicità del padre, riuscì a sfuggire alla deportazione.
Il racconto è seguito da me con movimento di macchina effettuato a mano libera, utilizzando un’ottica grandangolare e restando il più vicino possibile a Marco per poter raccogliere il miglior audio possibile, dato che qui non utilizzo microfoni esterni.
Segue l’intervista ad Angiolo Cardini, vivente ed ultimo dei deportati, oltreché reduce dalla campagna di Russia. Tra le foto appese in bacheca al Circolo Ricreativo c’è collocata una sua immagine del 1945 in cui compare giovane con indosso una strana divisa militare e senza alcuna didascalia informativa. Come risulta dall’intervista si tratta di una divisa americana, ricevuta dagli alleati in Germania. La conversazione con lui si svolge presso i locali del circolo in cui sono esposte moltissime fotografie, in modalità necessariamente frontale e con enormi difficoltà per il suo elevato livello di sordità.
Orlandina Cardini, intervistata alla sua abitazione e presente in altre narrazioni, introduce poi altri deportati, presenti nelle fotografie visibili al circolo. Tra questi Marino Mascalchi, fratello di Nunziatina e cugino di Marco Italiani. Nel mio archivio personale ho ritrovato copia di un’intervista integrale del 2002 in cui Marino, morto alcuni anni fa, racconta la sua esperienza di deportato. Mi è sembrato importante inserirla qui integralmente e testimonia il possibile utilizzo corretto, a mio avviso, di repertori di archivio.
Intervista non mia ma di Sergio Spiganti (all’epoca videomaker) e Simone Duranti storico aretino. I due realizzarono nel 2002/03, con la mia collaborazione, un documentario sui partigiani della Squadra Volante della Teppa di Licio Nencetti. Nel corso della lavorazione raccolsero a Carda questa testimonianza, all’epoca non utilizzata.
Seguono i racconti di Marco Italiani che narra la vicenda del suo maestro artigiano Salvadore, di cui si parla a lungo in altre interviste, e di Orlandina Cardini che, giovanissima, fu testimone del drammatico evento della deportazione. Noto che in questa parte è utilizzata un’ottica grandangolare.
1957. GIOVANNI MARIA CARDINI PARTECIPA A «LASCIA O RADDOPPIA?»
Questo montato è un estratto da un lavoro più vasto titolato I due paladini e dedicato a Marco Italiani e Gianmaria Cardini e l’Orlando Furioso. L’unico dei miei lavori che ho chiamato incautamente Documentario, con scelte di montaggio e titolazioni che oggi non rifarei. Alla sua realizzazione collaborò anche Antonio Canovi.
Fu presentato a Reggio Emilia in occasione delle celebrazioni Ariostesche del 2016. Questo pezzo chiude il citato documentario narrando la vicenda di Gianmaria davanti a Mike Bongiorno, testimoniando l’irriducibile distanza e frattura tra TV di massa e cultura popolare (almeno quella non omologabile).
Tra i tre video che presento questo è l’unico in cui si può vedere una inquadratura totale in campo largo di Carda, che appare incastonata in mezzo a boschi fitti con molte conifere. Nel 1944 il paesaggio era radicalmente diverso, con estesa presenza di castagneti e con ampie radure in cui si coltivavano, prevalentemente ma non solo, grano di montagna e patate.
Come video presenta alcune caratteristiche interessanti che mi permetto di sottolineare. Naturalmente si tratta di un montato in cui si alternano varie inquadrature e cesure oltre a fotografie, bn televisive del 1957 e attuali della piazza di paese in cui si allestì il televisore per la visione della trasmissione.
Ma vorrei sottolineare come il punto di vista da cui provengono tutte le inquadrature della conversazione è unico e proviene da una videocamera ad ottica grandangolare posta su cavalletto accanto a me, senza altro controllo oltre al mio, e che consente una visione completa in totale di tutti i partecipanti, ai lati Antonio Canovi (s) e me (d). Al centro Marco Italiani e Gianmaria Cardini. Il girato non montato è tutto in inquadratura totale ed è consultabile in archivio. Le inquadrature ridotte che si alternano nel video sono ottenute digitalmente in fase di montaggio. Le scelte di montaggio che si susseguono con diverse inquadrature non sono casuali ma provengono dalla consapevolezza di usare i modi del montaggio cinematografico classico, detto anche “montaggio invisibile”. Modalità che non sempre uso. Altro ci sarebbe da aggiungere sulla compressione digitale delle immagini che ne riduce con evidenza visibile la qualità di definizione rispetto al girato originale e su altro ancora. Ma il discorso ci porterebbe troppo lontano.