Ritorno al futuro. Movimenti, culture e attivismo negli anni Ottanta, numero monografico di “Zapruder”, n. 21, gennaio-aprile 2010, pp. 160
Recensione di Alessandro Casellato
L’ultimo numero di “Zapruder” è dedicato a movimenti, culture e attivismo negli anni Ottanta. Nell’editoriale Beppe De Sario definisce gli obiettivi: riscattare il decennio dall’immagine del semplice “riflusso” rispetto alla “stagione dei movimenti” che lo aveva preceduto; ridefinire i confini della politica, includendovi le nuove forme di soggettivazione che connotano le esperienze dei punk e di altri movimenti giovanili, quelle femministe, gay e lesbiche, o quelle comunitarie, neoetniche e postcoloniali che si costituiscono all’interno delle metropoli; collocare il caso italiano nel contesto europeo, rintracciando i molti fili che cominciano a infittirsi nel corso del decennio e che porteranno, in quello successivo, alla presa di coscienza della “globalizzazione” in atto e alla ricerca di risposte ad essa adeguate.
Gli obiettivi proposti sono stati pienamente raggiunti: senza impossibili pretese di completezza, va detto che una direzione è stata segnata e che gli ’80s si rivelano pronti, anche in Italia, per una stagione di studi che li faccia uscire dal cono d’ombra in cui sono stati confinati.
Un’unica assenza merita di essere qui notata e discussa: quella della storia orale. Stranamente nessuno dei contributi proposti utilizza le fonti orali, fatta eccezione per l’intervista a Porpora Marcasciano sulla sua esperienza di militante Glbtq (nella rubrica “Voci”) e il breve resoconto di Marco Caligari (che rappresenta però tematicamente un corpo estraneo rispetto al resto del volume, essendo dedicato a un laboratorio didattico sulla seconda guerra mondiale). Anzi, il contributo documentario più originale viene da una tipica fonte scritta trovata da Eros Francescangeli in un fondo del Ministero dell’Interno all’Archivio Centrale dello Stato: un’informativa dettagliatissima del questore di Milano relativa a paninari, punk, metallari, rockabilly e altre tendenze giovanili della metà degli anni Ottanta, che utilizza a fini polizieschi una inchiesta sociologica sulla “devianza e l’emarginazione”.
Certo questa assenza della storia orale non può essere dovuta a diffidenza preconcetta, dato che sia “Zapruder” che molti degli autori del numero la praticano normalmente. E allora è un caso o c’è qualche altro motivo più profondo che rende preferibile, per indagare un periodo così vicino e iperdocumentato quanto poco esplorato dalla storiografia, altre fonti più compatte, come riviste, libri, film? C’è bisogno di tracciare piste di avvicinamento e mettere punti di riferimento prima di scavare in profondità?
Una bella idea la lancia Andrea Brazzoduro, nel suo saggio dedicato a una “ricerca che non c’è”, ovvero alla rivolta algerina dell’ottobre 1988. In questo caso – scrive Andrea – la documentazione è stata sequestrata, gli archivi sono chiusi e gli attori istituzionali silenti. L’unica cosa che si potrebbe fare è “un’indagine minuziosa della generazione che l’Ottobre 1988 è scesa in strada”, passando però dalla semplice denuncia alla “analisi dei quadri culturali, della condizione economica e della collocazione geografica”.
È su questo terreno che la storia orale potrebbe avere il suo spazio, e non solo in relazione all’Algeria: interviste, storie di vita, indagine sul vissuto e sulla memoria di una generazione, magari anche uscendo dai circuiti militanti e radicali che sono al centro di “Zapruder” ma per verificare le tesi che lì vi sono contenute sul significato complessivo degli anni ’80: in quanti ambiti quel decennio fu vissuto come l’alba di una stagione che cominciava ad aprirsi piuttosto che come tramonto di un’altra arrivata ad esaurimento? Quali segni di passato prossimo venturo erano già emersi nella vita di tutti i giorni, nel mondo del lavoro piuttosto che dentro le famiglie? Quanti anni ’80 ci sono stati, nei diversi segmenti generazionali, nelle diverse realtà sociali, nella varia geografia di cui continuava ad essere fatta l’Italia, pur sotto la cortina omologante dell’industria culturale e della neotelevisione che proprio in quel decennio l’avvolse per intero? Un bella ricerca da fare. Grazie a “Zapruder” di avercene fatto cogliere l’interesse e la plausibilità.