di Francesca Socrate
Avviamo qui una nuova rubrica sul genere dell’intervista. L’intervista è infatti lo strumento di lavoro della storia orale.
La costruiamo (o altri l’hanno costruita e noi la utilizziamo), e senza l’intervista orale non ci sarebbero le nostre ricerche.
Eppure non ci sono regole precise che indichino il modo di condurre un’intervista di storia orale.
Non c’è un protocollo: l’intervista è un dialogo, un incontro, un’inter/vista, l’apertura di uno spazio narrativo per la storia di vita che la persona intervistata si sente di raccontare nella ricerca di un senso tra il passato dell’evento, il presente del racconto e, non di rado, il futuro dell’immaginario.
Non si fanno domande, o se ne fanno poche, per rompere il ghiaccio, per avviare il dialogo, per costruire quella particolare relazione, domande che si collochino comunque per lo più all’interno della cornice del racconto dell’intervistato/a. L’intervista può essere ripresa più volte nel corso del tempo, e segue una serie di regole che rispettino i diritti della persona intervistata e dell’intervistatore stesso (le Buone pratiche di Aiso sono una traccia di questo).
Certo, se c’è una specificità dell’intervista per la storia orale sta in primo luogo nell’obiettivo per cui viene raccolta: la collocazione in una prospettiva storica, appunto, dei fatti che ci vengono raccontati, ma ancora più dei fatti del modo in cui l’intervistato/a li ha vissuti e il senso che gli attribuisce al momento dell’intervista, a distanza. Sono storie di vita: “la vita di una persona non sta mai nei fatti (nel che cosa) ma nelle modalità (nel come) quei fatti furono vissuti”, scriveva Cesare Garboli. Quindi ci interessa il rapporto tra la storia individuale e il suo rapporto con la storia collettiva, tra la memoria individuale, la memoria collettiva e la memoria pubblica, il recupero di memorie dimenticate, sconfitte o messe ai margini da narrazioni dominanti o comunque più forti.
Ma qual è la specificità dell’intervista orale al di là degli obiettivi per cui viene raccolta?
Facile individuare alcune tipologie per differenza: non è un’intervista giornalistica, non è un questionario, una sfilza di domande cioè cui rispondere, non è un’intervista strutturata che prevede le stesse domande, in un ordine definito, per un numero determinato di persone da intervistare.
Ma per il resto il profilo di un’intervista orale è vago ed elusivo.
E vaga la sua specificità rispetto alle tante tipologie di interviste che oggi fondano il lavoro e la ricerca in aree disciplinari e artistiche le più diverse: pièce teatrali, documentari, opere letterarie, e poi ricerca antropologica o sociologica, storia del tempo presente ecc.
È da queste prime considerazioni che siamo partiti per proporre una riflessione sullo strumento dell’intervista orale, e specificamente sui modi e i tempi in cui questa viene volta a volta raccolta, e come viene usata, per capire in prima istanza quale sia oggi la sua specificità, posto che una specificità ci sia, e quali le affinità, le differenze, le sovrapposizioni e le contaminazioni con altre esperienze disciplinari e di genere. Ma forse, soprattutto, per capire e imparare, proprio alla luce di queste altre esperienze, come maneggiare adeguatamente questo dispositivo e realizzarne così potenzialità finora inespresse o solo eccezionalmente praticate.
Sono in campo questioni di metodo, di obiettivi e di sensibilità, questioni che toccano su vari piani il rapporto tra chi intervista e chi è intervistato e che, al di là di un’apparenza solo funzionale, sono cariche di implicazioni e di significati: i criteri di scelta degli intervistati, del luogo e dell’ambiente in cui fare l’intervista, del mezzo usato – audio o video -, del modo di porre le domande e quante e quali, della profondità e durata della relazione prima e dopo l’incontro, dei modi della restituzione del racconto, ecc. Questioni che arrivano a riguardare la stessa dinamica intersoggettiva e la sua messa in gioco, la messa in gioco cioè del ricercatore o della ricercatrice che raccoglie racconti.
Come procedere?
Abbiamo pensato di dedicare uno spazio, una sezione del sito al genere dell’intervista, in un progetto che chiami in causa la nostra stessa pratica di storiche e storici orali, raccoglitori come siamo di racconti autobiografici nella forma delle interviste orali.
Si tratterebbe cioè di una serie di interviste, condotte volta a volta da uno/a storico/a orale, a persone che utilizzano o hanno utilizzato l’intervista come strumento di indagine in ambiti diversi, compresa la stessa storia orale.
Queste “interviste sull’intervista” compariranno sul sito in forma di trascrizione, con il lavoro di ‘traduzione’ che questa seconda operazione comporta per rendere fruibile e leggibile il parlato in modo da non tradirne la qualità, compresi eventuali tagli per ragioni di lunghezza o per mantenere il focus sul tema centrale della rubrica. La versione integrale audio delle interviste sarà conservata da chi ha raccolto l’intervista cui si potrà rivolgere chi ne facesse richiesta per motivi di studio o ricerca.
- Un caffè al Pratello: dialogo con la regista Teresa Rossano sul documentario “Io sono femminista!”, di Giulia Zitelli Conti
- Intervista a Wilma Labate, regista di “Arrivederci Saigon”. Raccontare una storia senza materiale, di Francesca Socrate
- “Non c’è uno che domanda e uno che risponde, ma uno che aiuta un altro”. Intervista allo storico Manlio Calegari, di Jessica Matteo
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- Il teatro è qualcosa di più. Intervista a Maria Teresa Sega, di Hilde Merini
- Una storia orale lontana: Marco Buttino a Samarcanda, di Giovanni Contini
- “Vuoi parlare di o vuoi parlare con, scegli”. Intervisita a Luca Des Dorides sulla storia orale in lingua dei segni, di Chiara Paris
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- “El pacto de Adriana”. Intervista a distanza con Lissette Orozco, di Luisa Lo Duca
- “Le storie fanno chi siamo”. Intervista all’artista canadese Sarah Zakaib, di Jessica Matteo